Negli ospedali italiani al tempo del coronavirus viviamo tempi drammatici e, insieme, eroici ma anche chiarificatori, che mi fanno ricordare un artista simbolo di difensore, poco conosciuto, del Sistema sanitario nazionale.
Il nostro sistema pubblico, investito dallo tsunami dell’emergenza, è vicino al collasso e solo l’impegno, appunto, eroico degli operatori (medici, infermieri, tecnici: aggiungo il mio elogio a quelli più autorevoli già espressi in queste ore, di cronista ma anche di paziente dimesso un mese fa dall’ospedale Morgagni di Forlì, reparto Otorinolaringoiatria, curato da donne uomini e macchinari diretti con impeccabile efficienza dal primario Claudio Vicini) ha impedito effetti devastanti sul sistema ospedaliero. Un sistema pubblico che era già in emergenza prima dell’arrivo del nuovo virus. La copertina dell’ultimo Espresso, con il titolo “Sanità distrutta, nazione infetta” (che riprende il titolo di una leggendaria inchiesta degli anni Cinquanta) fotografa la situazione: “Mancano medici, infermieri, posti letto. Anni di tagli hanno dissanguato il servizio pubblico”. L’inchiesta di Gloria Riva fotografa dati impietosi: “Mancano 56 mila medici, 50 mila infermieri e sono stati soppressi 758 reparti in 5 anni. Per la ricerca c’è solo lo 0,2 per cento degli investimenti. Così la politica ha dissanguato il sistema pubblico”. (Dati diversi, ma pur sempre inquietanti, fornisce l’ex ministro Carlo Calenda a Corrado Formigli nel programma tv de La7, Piazzapulita, di giovedì 27 febbraio 2020: “In Italia mancano 8.000 medici e 35.000 infermieri”).
“A furia di tagli”, è il commento del direttore di Repubblica, Carlo Verdelli, 3 marzo, “abbiamo debilitato le nostre difese immunitarie, fino a renderle assolutamente inadeguate a fronteggiare la gestione ordinaria, figurarsi un ciclone come quello che si sta abbattendo su un Paese che ha colpevolmente deciso di ammainare una delle bandiere della propria Costituzione, il diritto alla salute per tutti i cittadini. Non potrà essere l’eroismo degli operatori impegnati allo sfinimento nelle zone rosse o gialle, dagli scienziati di epidemiologia agli addetti alle pulizie, a contenere il danno. Si stancheranno, quegli eroi, a un certo punto saranno costretti ad abbassare la guardia proprio nel momento in cui, invece, bisognerebbe alzarla e tenerla altissima”.
Dalla politica arriva un’ammissione e un impegno: “Rafforzeremo subito il Sistema sanitario nazionale che è stato penalizzato negli anni scorsi”, ha promesso lo stesso 3 marzo a Serena Bortone di Agorà il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano.
E a me è tornato in mente quell’artista di Reggio Emilia che da anni, invece che pilatescamente lavarsene le mani come è accaduto da gran parte dei politici, lancia un allarme a colpi di bellezza contro l’attacco al Sistema sanitario nazionale. “Dono i miei quadri agli ospedali, così sostengo la sanità pubblica”: mi ricorda al telefono, ricontattato, Giordano Montorsi. Regalare opere d’arte per sostenere il sistema pubblico, che a molti potrà sembrare di valore simbolico ed espressione di una bella utopia, è un impegno cui Giordano tiene da tempo con coerenza: dalla Campania alla Liguria, dalle Marche alla stessa Emilia Romagna, sono ormai molte le strutture pubbliche sanitarie (e anche associazioni di volontariato) che hanno usufruito delle sue donazioni:
Avevo incontrato Montorsi nei locali a Milano nell’Accademia delle Belle Arti di Brera dove insegnava Tecniche e tecnologie per le arti visive (prima era stato docente all’Accademia di Venezia, oggi è in pensione) e poi l’avevo ritrovato nel Montefeltro marchigiano, quando aveva donato una sua opera al piccolo ospedale di Sassocorvaro che serve un bacino di oltre 30 mila abitanti e da lì aveva reso pubblico un manifesto attuale, per questi giorni in cui vedo valorosamente impegnati tutti i componenti della Sanità pubblica: “Piccolo manifesto di Sassocorvaro per l’arte e la pubblica sanità”. Rileggo un brano di quell’ammirevole manifesto:
… Molti nel mondo ci invidiano il funzionamento del nostro Sistema sanitario, nonostante le sue fragilità e le sue contraddizioni. Io stesso ho potuto sperimentare personalmente il valore di un’assistenza, che mi ha consentito di uscire da situazioni assai difficili. Ma ovunque rivolga lo sguardo, ormai forte di un’esperienza di anni, misuro l’importanza di assicurare a tutti, universalmente, un pieno diritto alla salute, del resto sancito dalla nostra bella Costituzione.
Ecco perché assisto sgomento ai tanti tentativi di ridimensionamento sostanziale di questo Sistema così prezioso. Dietro il paravento delle economiche necessità di risparmio della spesa pubblica, sento il profilarsi, insidioso e suadente, della miope imitazione di modelli di altri Paesi, che puntano a esasperate privatizzazioni o a configurare due livelli di assistenza, quelli minimi garantiti a tutti, ma di bassa o media qualità, e quelli riservati a chi ha davvero i mezzi economici per garantirsi una accurata cura e prevenzione. Sullo sfondo, gli interessi non troppo nascosti dei grandi fondi finanziari o delle più importanti compagnie assicurative.
Ho speso una vita intera, da semplice artista, per esplorare le mille vie della creatività, alla ricerca di una bellezza autentica, oltre ogni convenzione. Ma nulla mi è apparso più bello del gesto di un medico, di un infermiere, di un operatore sanitario, quando si assumono in modo virtuoso la responsabilità della cura, alleviando le umane sofferenze. E questa bellezza deve essere alla portata di tutti, indipendentemente dai ceti, dalle provenienze, dalle opinioni.
Non nego ovviamente l’importanza di provvedimenti riformatori e anche di razionalizzazione della spesa, ma essi devono essere orientati a rafforzare i servizi e non a indebolirli e non a privatizzarli in modo indiscriminato.
Un artista non è certo un politico, ma non può vivere, come nessuno di noi che si trova ospite del tempo, in un suo mondo privilegiato, per quanto prezioso e inquieto. Ho infatti sempre pensato che l’arte possa ritrovare molte delle sue ispirazioni perdute, alimentandosi del confronto concreto con la vita delle donne e degli uomini, che si trovano oggi a fare i conti con nuovi pericoli, ma anche con nuove potenzialità.
Del resto non poche sono le affinità elettive tra la gratuità del dono dell’artista e la gratuità del dono della cura. Quel dono che si fa bellezza.
Ecco perché con l’affidamento di una mia opera al Comune di Sassocorvaro, un piccolo comune, ma che fa della bellezza e dell’arte un capitolo importante della sua storia e identità culturale, avendo qui dato ricovero e salvezza, con la vicina Carpegna e Urbino, ai principali capolavori dell’arte italiana durante la Seconda guerra mondiale, vorrei lanciare un appello al mondo dell’arte, ai tanti amici e colleghi, con i quali ogni giorno mi trovo a discutere, per difendere la sanità pubblica in Italia, anche attraverso tante donazioni e tante discussioni, in una mobilitazione civile e culturale di cui la nostra fragile democrazia ha oggi così urgente bisogno.
Lo chiamerò PICCOLO MANIFESTO DI SASSOCORVARO PER UN INCONTRO VIRTUOSO TRA L’ARTE ITALIANA E LA PUBBLICA SANITÀ al quale sin da ora chiedo di aderire, disponibile a valutare, con tutti coloro che lo vorranno sottoscrivere, le più diverse iniziative in ogni parte della nostra magnifica Italia”.
La cerimonia di consegna dell’opera all’ospedale di Rapallo, la penultima, era stata integrata dal Simposio internazionale “Arte come cura dell’anima” in cui medici ed esperti hanno parlato di come l’arte possa aprire nuovi orizzonti nella cura e nella ricerca del benessere. In ultimo a Modena con la donazione della sua creazione “Apotema Shock” ad Aseop Onlus “La Casa di Fausta”, l’associazione a sostegno di Ematologia oncologica pediatrica che supporta e ospita le famiglie dei piccoli pazienti ricoverati al Policlinico di Modena.
Montorsi ha scelto di utilizzare la sua arte personale per sostenere, come ama ripetere, la sanità pubblica “che è un bene comune, supremo e universale e tale deve rimanere”. In molti avevano reagito a quel mio testo di allora con commenti positivi ma anche con un immancabile termine: “Utopia”. Utopia, quella di Giordano? Si è visto che è invece una urgente, concreta necessità. E, comunque, come scrive Oscar Wilde,
Fotogallery
Otto opere donate da Montorsi
agli ospedali pubblici italiani
Giordano Montorsi (Scandiano, 1951) è stato docente di “Tecniche e tecnologie delle arti visive” presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Nella foto è ripreso nel cortile dell’Accademia nell’ultimo giorno di lavoro prima del pensionamento e, nell’immagine d’apertura, con l’opera da lui donata all’ospedale emiliano di Correggio. Montorsi ha pubblicato “La mutevole precisione della forma. La la land: storia di un’opera”, ed. Mimesis 2016. Contatto: 0522.877506, 338.3125025; mail: montorsimoss@gmail.com
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(via mail)
Condivido quanto scritto sulla difesa della sanità pubblica.
Ogni iniziativa è utile.
Personalmente, vista la situazione attuale, ho contattato rappresentanti politici del comune di Scandiano (Reggio Emilia) perché si attivino per una raccolta fondi a favore della sanità.
Grazie a Montorsi, a Lei Giannella e a tutti coloro che sostengono la sanità per tutti.
Come americano, applaudo alla risposta dell’Italia alla pandemia di coronavirus. Spero che il nostro governo possa vedere la grande importanza di un sistema sanitario forte come quello in Italia. Applaudo anche al contributo di Giordano Montorsi. È un uomo eccezionale, e sono molto orgoglioso di conoscerlo e chiamarlo un membro della mia famiglia!
(via mail)
Sono Emilio Barbaglia, nel 1974 ero militare a Palermo con un suo caro amico all’11° autoreparto: parlo di Giordano Montorsi, docente a Brera e da poco in pensione per raggiunti limiti d’età. I comandanti l’avevano incaricato di affrescare la parete di un locale (14 metri) con un tema di suo piacimento. Ha eseguito un capolavoro contro il tema “guerra” (pensi un po’, in una caserma!). Avendo lavorato in una “Tipografia d’arte grafica” di Milano dopo quasi 50 anni ho indagato in internet su Giordano e, avendo trovato sue notizie, abbiamo cominciato lo scambio di e-mail, scambio di foto con relative emozioni con la richiesta finale di Giordano di mandarle foto del lavoro svolto. Manca la foto della classica stecca del congedante, un capolavoro in metallo fatta come una bacheca con delle stecche dorate in lunghezze diverse con in cima targhette con i relativi nomi dei congedanti; un capolavoro!
Con questo la saluto sperando di non averla disturbata. Le allego delle foto di Giordano al lavoro sulla parete della caserma per darle l’idea del lavoro che Giordano ha fatto. Io sono quello nel mezzo alla destra di Giordano nella fotografia con i tre militari in mimetica.