“Questo Fontana sarà anche un brav’uomo ma non lo conosce nessuno”. Così reagirono Berlusconi e la Meloni alla proposta di Salvini, che proponeva il sindaco leghista di Varese come candidato del centro destra alla presidenza della Regione Lombardia. “Dobbiamo inventarci qualcosa che aumenti la sua notorietà” concordarono i tre leader. “Qualcosa di forte, che faccia parlare di lui i giornali”.
Fu convocato il capo dell’ufficio-strategie. “Ci vuole un intervento clamoroso, su un tema caldo”, sentenziò.
“Per esempio?”, chiesero i tre.
“Per esempio sui migranti: potrebbe dire che mettono a rischio la razza bianca”.
“Ma è una cazzata. Siamo sicuri? Ci daranno dei razzisti, ci spareranno addosso da tutte le parti…”, obiettò timidamente Berlusconi.
“E allora?”, replicò Salvini. “Fontana finirà sulle prime pagine di tutti i giornali. Non è quello che vogliamo? E poi: non tutti gli spareranno: vedrai che i nostri, da Feltri a Belpietro, troveranno le parole per difenderlo. E alla fine, dopo che Fontana sarà diventato famoso, diremo che è stato un lapsus…”
Il più colto dei tre, Berlusconi, lo interruppe: “Ma dai! Anche questa è una cazzata. Un lapsus è un errore di pronuncia o di scrittura: viene dal latino, lapsus calami o lapsus linguae, errore involontario di penna o di lingua, che altera il senso di una parola. Qui invece è tutto un concetto….”.
“Lascia perdere il latino, che è roba vecchia. Il concetto può essere espresso meglio ma non è una cazzata”, intervenne la Meloni.
Berlusconi insistette: “È come dire che in America Obama ha messo in pericolo la razza bianca. La mette molto più in pericolo Trump, citando il suo bottone più grande del mio. È un lapsus che può causare la fine del mondo. Il nostro per fortuna si limita alla fine della razza bianca”.
Fu così che la domenica seguente, confortato dalla sostanziale condiscendenza di amici e alleati, Attilio Fontana (foto in alto) sparò la sua cazzata dai microfoni di radio Padania.
A PROPOSITO
“Una sola razza: umana”.
Firmato: Albert Einstein
Quando arrivò negli Stati Uniti, al grande scienziato Albert Einstein gli impiegati dell’ufficio immigrazione chiesero di indicare su un modulo a quale razza appartenesse. Ed Einstein spiazzò tutti scrivendo: “umana”. Allora sembrò una provocazione: era il 1933 e lo scienziato, fuggiva dalla sua Germania proprio perché erano iniziate le persecuzioni contro gli ebrei come lui.
La stessa risposta fu data da Carlo Pedretti, destinato a diventare uno dei maggiori studiosi di Leonardo da Vinci, scomparso nei giorni scorsi a 90 anni, quando a scuola, al ginnasio Laura Bassi di Bologna, il professore dette a tutti gli allievi un modulo da riempire. Era il periodo del regime fascista e della questione razziale. Dopo nome e cognome, sul modulo veniva la voce: “Razza”. Pedretti mi raccontò in un’intervista per l’Europeo:
Emilio Lavagnino, invece, storico dell’arte e ispettore centrale del Ministero dell’Educazione, protagonista durante la Seconda guerra mondiale di due viaggi dei capolavori ricoverati nel Montefeltro marchigiano fino in Vaticano, con Pasquale Rotondi in un concorso pubblico, alla voce “Razza” lui che non eccelleva in altezza aggiunse “Bassotta”. Fu posto in pensione per non aver aderito alla repubblica di Salò.