Una calcolatrice in vetrina mi ricorda la figura di Mario Tchou, l'ingegnere informatico di origine cinese che portò l'Olivetti e l'Italia all'avanguardia nel mondo.
testo di Angelo Paratico per Giannella Channel
Giorni fa passavo per via Marconi, a Verona, il solito percorso che mi porta in ufficio. Come faccio ogni mattina, guardo la vetrina di un negozio di articoli usati e scorgo la mitica Disumma della Olivetti, costruita a partire dal 1947: uno spettacolo di calcolatrice, ancora funzionante e in buono stato. La Olivetti aveva invaso il mondo con quel calcolatore elettro-meccanico, stampante su carta e in grado di fare le quattro operazioni base e il primo a dare somme negative. Un suo modello si trova oggi al Museum of Modern Art (più conosciuto come MoMa) di New York. Entro e chiedo quanto costa, quaranta euro, mi dicono. Nulla, per un capolavoro simile. Dico che ci penso su e vado in ufficio, nel pomeriggio concludo una serie di ragionamenti la cui somma è: si vive una sola volta e poi chi se ne frega? Esco per andare a prendermela, ma mi dicono che l’hanno appena venduta. Dispiacere e sollievo si mescolano nel mio animo inquieto.
La prima calcolatrice elettrica scrivente, la Divisumma 14, presentata nel 1947.
Questo piccolo incidente mi “libera dei ricordi” come si dice oggi e mi torna in mente la grande Olivetti di Ivrea. Ci andavo da bambino perché mio padre, durante la guerra, c’era stato per due anni come sergente istruttore.
Nel 2011, quando vivevo a Hong Kong, avevo pubblicato un articolo sul South China Morning Post dedicato a Mario Tchou, il geniale ingegnere che permise la creazione del primo computer a transistor e che pose la Olivetti all’avanguardia nel mondo in questo settore. L’articolo venne ripreso e girato in tutto il mondo, soprattutto in Cina.
Mario Tchou è stato un pioniere nell’uso dei transistor e ha costruito con essi uno dei primi computer mainframe (un tipo di computer caratterizzato da alti livelli di prestazioni di sicurezza e affidabilità, Ndr) al mondo. Ed ha anche guidato un gruppo che ha creato il primo desktop al mondo.
Dalla natìa Roma negli Stati Uniti. Mario Tchou nacque a Roma nel 1924. Suo padre, Tchou Yin, fu un diplomatico, la cui moglie, Evelyn Wang, fu una donna che si batteva per i diritti delle donne, soprattutto in Cina. Tchou fu uno studente brillante e popolare. La casa dei suoi genitori, a Roma, era aperta ai figli di importanti romani, e alcuni ricordano ancora il cortile dell’ambasciata cinese come un luogo ideale per giocare a calcio. Dopo essersi laureato in ingegneria nel 1945 e aver vinto una borsa di studio, Tchou fu inviato negli Stati Uniti.
Durante il suo soggiorno americano, conobbe Mariangela Siracusa, una studentessa italiana alla Columbia University e la sposò. Nel 1952 era già professore assistente alla Columbia, per ingegneria elettrica e direttore del prestigioso Marcellus Hartley Laboratory. Lavorava sotto alla guida di John R. Ragazzini, che durante la Seconda guerra mondiale aveva contribuito allo sviluppo di calcolatori analogici e sistemi di controllo.
Fermi segnala Mario a Olivetti. Nel 1954, Tchou ebbe un incontro fatale con Adriano Olivetti, proprietario dell’azienda Olivetti. All’imprenditore di Ivrea l’aveva segnalato Enrico Fermi, non un passante…I due avevano una personalità simile e fu amore a prima vista. L’industriale convinse Mario a tornare in Italia, dove fu messo a capo di una squadra che creava un computer commerciale e gli fornì dei fondi. Il team di ingegneri era tutto italiano, ad eccezione di Martin Friedman, un canadese. Sandro Sartor faceva parte del gruppo di 50 ingegneri e ricorda ancora oggi Tchou, con queste commosse parole: “Era l’uomo più intelligente che abbia mai incontrato in vita mia, ed era così bravo a tenere insieme quel gruppo di giovani eccentrici“.
Nel settembre 1957, il team creò il primo prototipo, chiamato Zero, nome poi cambiato in Elea 9001. Utilizzava valvole e tubi catodici. In quel momento, Tchou decise un importante cambio di direzione: il loro prossimo computer non avrebbe avuto valvole. Uno dei suoi ingegneri, Giorgio Sacerdoti, ricorda quel giorno: “La decisione fu presa durante una riunione urgente convocata da Tchou, una domenica pomeriggio del 1957. I transistor, a quel tempo, erano qualcosa che si vedeva solo nei laboratori e il loro utilizzo era estremamente rischioso, con il grosso pericolo di ritardi e difettosità. Tutto questo fu chiaramente illustrato da Tchou, durante la sua introduzione, quando però ci fu detto che aveva deciso di prendere quella strada. Questa sua decisione dimostra come fosse in grado di vedere lontano nel futuro“.
I transistor non erano facilmente reperibili sul mercato e non se ne trovavano abbastanza in Europa. Per questo motivo, Olivetti fondò una nuova azienda per produrli. È ancora attiva con il nome di ST Microelectronics.
Fu in quel periodo che il suo primo matrimonio di Mario finì con una separazione. Aveva intrapreso una nuova relazione con una giovane pittrice, Elisa Montessori, che gli diede due figlie. Il nuovo computer era quasi pronto quando decisero di trasferirsi in una nuova sede, a Borgo Lombardo, vicino a Milano. Da 50 persone, Tchou doveva ora gestirne 500, tutti ingegneri.
Il nuovo computer si chiamava Elea 9003. La sua memoria era grande come un campo da tennis e la sua console aveva le dimensioni di un distributore automatico di Coca Cola. Nonostante le sue grandi dimensioni, il design era molto attraente e costruito secondo un piano modulare. Era opera di un giovane e allora non molto conosciuto designer industriale, Ettore Sotsass. Quel computer precedette di diversi mesi il primo computer mainframe completamente transistorizzato di IBM.
Nonostante il costo elevato, le prestazioni della macchina erano impressionanti per l’epoca e circa 35 grandi aziende piazzarono degli ordini. Una di quelle unità funziona ancora oggi in un istituto tecnico: dove gli studenti possono entrare fisicamente nella sua memoria, come nel film Tron.
Nel 1960 stavano lavorando a un nuovo computer, meno potente ma più economico; il risultato sarebbe stato l’Elea 6001. Tra il 1961 e il 1965 furono vendute più di 100 unità a università e laboratori.
All’inizio del 1960, Olivetti ebbe un ictus fatale nello scompartimento di un treno. Aveva 59 anni. E Tchou lo seguì a ruota, nel 1961, prima della presentazione di Elea 6001. Amava le auto veloci ed ebbe un incidente fatale sulla Milano Torino, all’altezza del casello di Santhià, causato dalla nebbia. Morì insieme al suo autista Francesco Frinzi.
Il suo team di ingegneri – guidato dal braccio destro di Tchou, Piergiorgio Perotto – continuò a produrre quel modello più piccolo e più potente, che si sarebbe rivelato il primo vero computer desktop al mondo. Si chiamava Programma 101 o più familiarmente “Perottina” e quando fu presentato a una fiera, a New York nel 1965, fece scalpore, con il New York Times e il Wall Street Journal che gli dedicarono la prima pagina.
Hewlett-Packard ne acquistò 100 unità e poco dopo uscì sul mercato con un modello identico. L’azienda Olivetti fece causa e la vinse, ma senza Tchou e Adriano Olivetti, i due creativi che avevano portato l’Italia nell’era digitale spaventan do l’America, aveva perso il suo vantaggio. Adriano non seguiva il bilancio aziendale e i banchieri posero come condizione per dei nuovi prestiti la vendita della loro divisione elettronica a General Electric, dato che molti dissero che l’elettronica non aveva futuro. Questo era il pensiero anche di Vittorio Giuseppe Valletta, il quale lanciò un fatwa. sorta di condanna a morte, durante un’assemblea di Confindustria, affermando che “il futuro sta nella meccanica e non nell’elettronica”.