LE SCULTURE (RI)TROVATE DI ILARIO CUOGHI. UNA MOSTRA A MILANO (SPAZIO LEMON JUICE, DAL 30 SETTEMBRE) PER UN CREATIVO SENZA ETA’

testo di Vanni Cuoghi* per Giannella Channel

“Di quel che abbiamo non ci manca niente”
(detto popolare parmense)

Quando il 25 aprile 1945 i partigiani liberarono la città di Aosta fecero, al centro di quella che oggi è Piazza della Repubblica, un grande falò in cui bruciarono arredi, documenti, divise e altre vestigia del governo fascista che aveva sede proprio nel palazzo prospiciente la piazza.

Un bambino raccolse dei gagliardetti su cui era ricamato il fascio littorio e li portò alla mamma che era una sarta. La donna si accorse che erano di seta e chiese al bambino di portargliene altri.

Cucendoli insieme, avrebbe realizzato il vestitino per la comunione dell’altra sua figlia, nascondendo i simboli del fascio con un altro ricamo e trasformandoli in tante piccole farfalle.

Quella donna era mia nonna Iolanda e quel bambino mio papà Ilario. Deve essere stata quell’educazione, non tanto al riuso (parola veramente abusata oggi), ma alla capacità di riconoscere nuove possibilità in ciò che abbiamo momentaneamente messo da parte, che ha formato il modus operandi di mio padre e forse anche il mio.

Lo studio a Genova con vista mare. Ilario oggi ha ottantasei anni e ogni mattina va in studio, un nido creativo sulla parte alta di Genova da cui si scorge il mare. Cerca, in una grande vasca di legno, i ritagli delle lamiere di scarto con cui ha forgiato in passato le grandi sculture, frammenti che si sono accumulati nel corso degli anni. Emergono cosi pezzi che sono “il negativo” di altri e sembra quasi che le nuove forme prendano vita dando volume e peso a ciò che, in altre sculture, ha interpretato il ruolo di vuoto, perimetro o assenza.

Trovati i pezzi, prima di comporli e rimodellarli, Ilario prepara delle sagome di cartone aventi le stesse forme delle lamiere ritrovate e ne realizza la maquette.

Organizza i tagli, gli incastri e le forme in modo che, compositivamente, la forma adempia a quelle funzioni formali che l’artista cerca.

Papà ama giocare con le sue opere, le monta e le rimonta secondo un ordine non sempre prestabilito, perché a volte il caso ha più immaginazione di noi.

 

Sculture da viaggio, “portatili”. Citando le sculture da viaggio di Marcel Duchamp e Bruno Munari, Ilario scompone le proprie in tre o quattro sagome che avvolge in fogli di carta velina, pronte per essere trasportate e rimontate dove si desidera. Sono manufatti che stanno in una piccola valigia e che possono avere quel potere di farci sentire accompagnati dall’Arte in qualsiasi momento.

Nella mostra di Milano [inaugurazione sabato 30 settembre 2023, dalle 11.00 alle 19.00, dura fino al 22 ottobre: SPAZIO LEMON JUICE in via Rucellai 10,  MM1 Precotto, Ndr] ci sono anche sette gioielli, sette sculture a parete pronte per essere indossate.

In un periodo come il nostro in cui le categorie sono ritenute limitanti, la scultura-gioiello può generare nuovi confronti e nuove riflessioni con lo spazio-corpo ospitante.

ALBUM

Nel segno di Ilario: “I gioielli sono le stelle che le donne si buttano addosso” (Tonino Guerra)

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Anello in oro.

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Bracciali in oro e smeraldi.

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Collier in oro e smeraldo.

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Orecchini in oro e perle.

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Parure in oro, argento e lapislazzolo.

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Collier in oro, perle e rubino stellato.

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Collier in oro, corniola e perle.

I gioielli di Ilario sono ispirati all’oreficeria barbarica e longobarda. Le pietre dure sono incastonate e la lamina d’argento o d’oro viene incrudita da sapienti colpi di martello che formano delle zigrinature o delle texture su cui la luce gioca attraverso rifrazioni diverse.

L’artista non ha mai applicato le tecniche tipiche dell’oreficeria tradizionale proprio per dare quella continuità formale che, partendo dalla scultura monumentale, arriva direttamente al gioiello stesso.

Le regole che valgono per le grandi dimensioni vengono applicate anche quando il formato si riduce.

Bentornato a Milano papà, una nuova missione ci aspetta!

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