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Una veduta di Grottammare (AP).

Provo a dividere il mio intervento in due parti (la prima più personale e sentimentale).

Radici e immaginario

Mi è capitato di osservare che forse l’unica cosa bella della “globalizzazione” è che uno si può sentire di casa ovunque. Le famigerate radici (care a leghisti e alle logiche identitarie) hanno a che fare in buona parte con l’immaginario, e ogni volta dobbiamo sceglierle, come ha osservato anche Edward Said! Io, per esempio, che sono romano, con lontane ascendenze pugliesi, mi sento di casa a Lisbona, a New York, etc., ma in Italia soprattutto nelle Marche, una regione felicemente declinata al plurale, come gli Abruzzi e le Puglie. Ci andavo in vacanza da piccolo, in quella specie di struggente lungomare “da camera” che è Grottammare, e poi grazie a Gino Troli, Lucilio Santoni e altri amici ci vengo sempre più spesso. E anzi ogni volta mi manca quel paesaggio (il “paesaggio italiano” per definizione, dolce ed equilibrato, tra le colline arrotondate e l’Adriatico odoroso, punteggiato di campanili, con le chiese arrampicate sull’Appennino, impreziosite da affreschi e pale d’altare), paesaggio che non riesco a immaginare offeso e stravolto, come è oggi a causa del sisma. E provo attrazione per il carattere dei suoi abitanti (del tutto omologo a quel paesaggio), che Guido Piovene negli anni Cinquanta identificava in una intelligenza ironica, che si accontenta del poco, in laboriosità e mitezza, in uno “scetticismo sottile che è come l’altra faccia della bontà”, e che è messo oggi a durissima prova. Può darsi che si tratti di un mito, forse vanificato dalla omologazione degli ultimi decenni, ma come ogni mito è impastato di proiezione psicologica e anche di concreta realtà, di esperienza e utopia. E Dio sa quanto all’Italia contemporanea, smarrita in un presente senza memoria, in un cieco consumismo privo di qualsiasi saggio anticorpo, sarebbe utile un po’ di quell’antico senso della misura, di quella umile saggezza.

Perché il futuro non crolli

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Il poeta, scrittore e regista Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975).

Ho già sfiorato Pasolini – che diceva di provenire dai ruderi, dalle pale d’altare e dai borghi abbandonati dell’Italia centrale (in Poesia in forma di rosa) – che forse più di ogni altro scrittore nella seconda metà del ‘900 ha amato il nostro passato, il nostro umanesimo, di un amore straziante e infantile. Ma vorrei riprenderlo quando scrive

Solo l’amare, solo il conoscere

conta, non l’aver amato

non l’aver conosciuto…

(“Il pianto della scavatrice”, dalle Ceneri di Gramsci). Pasolini diffidava della speranza e riteneva che senza il senso del futuro non ci sarebbe il potere. In che senso? Credo che tutto si giochi qui e ora, nel nostro presente. L’unica risposta al male – naturale e storico -, alla violenza indifferente della natura e all’incuria colpevole degli uomini, consiste nel costruire adesso, e dunque nell’anticipare, un futuro diverso e più solido, dentro il quotidiano, dentro le innumerevoli forme di cooperazione e di cittadinanza attiva, dentro tutte quelle esperienze – civili, culturali, sociali, etc. – in cui il nostro grande passato, il nostro umanesimo, congelato nei musei e nell’accademia, viene come collaudato e riprende miracolosamente vita.

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Filippo La Porta (Roma, 1952) è un giornalista, saggista e critico letterario. Le sue opere principali sono a questo link.

13. Continua. Turismo solidale: a questo link
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Invito alla visita

telefono-iconaIl salvataggio e la messa in sicurezza dei tesori delle Marche “museo diffuso” portano per il momento a escludere viaggi nell’area colpita dal sisma. Ma il resto delle Marche, da Gradara al Montefeltro, da Fano a Urbino, da Senigallia a Jesi, dalla Riviera del Conero all’entroterra di Ancona, da Loreto a Osimo, aspettano i nostri e vostri occhi curiosi di turisti solidali.