Al Salone del libro di Torino ho conosciuto, e poi ammirato, le opere dello storico Giuseppe Mendicino, collaboratore di Doppiozero e di Meridiani Montagna, antenna sensibile puntata sulla vita di grandi scrittori come Mario Rigoni Stern, Dino Buzzati, Rolly Marchi. Alla sua luminosa collana Mendicino ha aggiunto la biografia inedita di un autore che mi fa compagnia: Nuto Revelli, Vita guerre libri (Priuli & Verlucca, pagine 130, 14 euro).

Ai lettori forti è familiare la figura di Revelli, del quale ricorrono quest’anno i cento anni dalla nascita in comune con Primo Levi (due anni dopo arriverà al mondo Mario Rigoni Stern), già combattente sul fronte russo come tenente del battaglione alpino Tirano, Revelli è stato comandante partigiano di Giustizia e Libertà nelle colline e montagne della sua terra, il Cuneese. Nel dopoguerra, per nulla distratto dal suo lavoro di commerciante di metalli e pur tenendosi distante dalla politica attiva, ha scritto opere (vissute in prima persona) di testimonianza storica e di forte etica civile, dando voce con uno stile narrativo nitido e antiretorico ai caduti e ai dispersi della guerra e ai dimenticati del mondo contadino:

In tutte le case contadine esiste almeno un segno della vita militare, delle guerre antiche e recenti. In molte case contadine il segno è la fotografia del Caduto. Non si può parlare del mondo contadino ignorando le guerre. Le guerre erano una maledizione perenne, le guerre erano peggiori della tempesta.
Nuto Revelli - Vita Guerre Libri

Benvenuto “Nuto” Revelli (Cuneo, 1919 – 2004). I suoi libri sono stati tutti pubblicati da Einaudi: La guerra dei poveri (1962, per Rigoni Stern “il più bel libro italiano sulla Seconda guerra mondiale”), La strada del davai, Mai tardi, L’ultimo fronte, Il mondo dei vinti (appena ristampato), L’anello forte (Le donne, sulle quali si è retta la società contadina durante la guerra), Il disperso di Marburg, Le due guerre. Nel 1945 sposa Anna Delfino, nasce il figlio Marco nel 1947. Nel 1999 l’Università di Torino gli ha conferito la laurea honoris causa per la Scienza dell’educazione.

Dalla difesa del mondo dei vinti traspare anche un’attenzione indignata e dolente verso l’abbandono di tanti borghi, la devastazione ambientale, la scomparsa di competenze e memorie. Di grande attualità, soprattutto, è l’invito che Revelli fa a non cadere nell’indifferenza, a respingere il conformismo e la prepotenza, a farsi “ribelli per giusta causa”, per la giustizia e la libertà:

Volevo che i giovani sapessero, capissero, aprissero gli occhi. I giovani devono conoscere la società in cui vivono. Come diceva Pertini, i giovani non hanno bisogno di prediche, hanno bisogno di esempi. Conoscere la storia è un antidoto al sonno della ragione, serve a non ripetere errori e tragedie del passato. Guai se i giovani d’oggi dovessero crescere nell’ignoranza, come eravamo cresciuti nella generazione del Littorio. Oggi la libertà li aiuta, li protegge. La libertà è un bene immenso, senza non si vive, si vegeta.
Giuseppe Mendicino

Giuseppe Mendicino (Arezzo, 1960), dal 2018 segretario comunale nel comune di Treviglio, ha pubblicato per Priuli & Verlucca Mario Rigoni Stern. Vita, guerre, libri e Portfolio alpino. Coautore di Il dialogo segreto. Le Dolomiti di Dino Buzzati (Nuovi sentieri), Rolly Marchi. Cuore trentino (Nuovi Sentieri) e Mario Rigoni Stern. Un uomo, tante storie, nessun confine (Priuli & Verlucca), ha curato per Einaudi Mario Rigoni Stern. Il coraggio di dire no. Collabora con le riviste Doppiozero e Meridiani Montagne.

Oggi che si sente la necessità del ritorno dell’educazione civica nelle aule scolastiche, credo fare cosa utile indicando soprattutto ai docenti, come utile strumento di lezioni, questo i libri, le parole, l’esempio di Revelli insieme a quelli degli altri due “amici di una vita” Rigon Stern e Levi, uomini che hanno attraversato le tragedie del Novecento, rimanendo legati tra loro da un forte legame di stima reciproca.

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Come per Revelli, anche per Primo Levi (Torino 1919-1987) si celebra quest’anno il centenario della nascita. Fu lui, Levi, a definire Revelli e Mario Rigoni Stern “un trifoglio”, perché “accomunati da sofferenze analoghe, di guerra e di prigionia, da un medesimo codice di valori e dalla volontà di scrivere per salvaguardare la memoria di esperienze terribili”.

L’incipit

Nell’introduzione del suo libro, Mendicino riporta le parole con cui Mario Rigoni Stern salutò la scomparsa dell’amico Nuto Revelli. Esse rendono una sintesi perfetta del mondo del suo amico.

Arrivammo su al Préit, dove ancora viveva con le sue vacche e un cane l’ultimo abitante, che ci accolse nella sua casa-stalla e insieme mangiammo polenta e formaggio. Era questa la nostra gente, quella della Guerra dei poveri, dell’Ultimo fronte, del Mondo dei vinti. Che ne sapevano di questa gente quelli che erano laggiù per le città e le pianure? Che ne sapevano, che ne sanno ora quelli che ci governano? Ciau Nuto! Anche se ti hanno fatto Generale nel ruolo d’Onore e Dottore honoris causa per noi rimani il cuneese del Tirano, il capobanda di Giustizia e Libertà ma anche il marito di Anna, il padre di Marco. Il testimone, il portavoce, l’amico che non ha mai ceduto. Ciao Nuto, vai con Primo, con Duccio, con Dante, con gli ultimi e con tutti quelli che sono morti per combattere l’ingiustizia. Vai, vai per le montagne della libertà, dove non ci sono confini.
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Mario Rigoni Stern (Asiago, 1921- 2008), ha definito il volume di Revelli “La guerra dei poveri” (Einaudi, 1962) “il più bel libro italiano sulla Seconda guerra mondiale”. (Foto di Vittorio Giannella)

L’ultima pagina

Nuto Revelli è scomparso il 5 febbraio 2004. Riposa accanto alla moglie Anna nel cimitero di Spinetta, una frazione di Cuneo. Il suo studio, in corso Brunet a Cuneo, è rimasto pressocché immutato e pare quasi restituire l’immagine di Revelli, chino sulla scrivania, assorto nella lettura e nella scrittura. Mancano solo le sue carte, che allora riempivano gli scaffali e che adesso sono riposte nei faldoni della Fondazione. Appesa al muro c’è una foto che aveva colpito anche Corrado Stajano: tre giovani partigiani che camminano con dignità verso la fucilazione, scortati da soldati fascisti, forse delle brigate nere. A far da didascalia si possono leggere alcune parole riprese dall’ultima lettera di un condannato a morte della Resistenza, Giacomo Ulivi, 19 anni:

No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere, tutto è successo perché non ne avete voluto più sapere.

È un invito a non cadere nell’indifferenza, a respingere il conformismo e la prepotenza, uno sprone a restare sempre “ribelli per la giusta causa”, per la giustizia e per la libertà.

Le necessarie premesse della libertà, secondo Nuto, erano lo studio e l’esercizio della ragione, contro l’ignoranza e la retorica:

Io vorrei che ogni 25 aprile diventasse un momento di confronto, di verifica, di riflessione e non di sola celebrazione, non ho mai creduto nella Resistenza imbalsamata, credo negli Istituti storici della Resistenza che salvano dalla dispersione un patrimonio prezioso di documenti e di memorie, un patrimonio che a mio giudizio vale quanto cento monumenti e altrettante cerimonie più o meno retoriche.

Seguendo le tracce del lavoro di ricerca e di scrittura di Revelli ho provato un grande rammarico: mi sarebbe piaciuto parlare a lungo con lui, ascoltarlo. Ci restano i suoi libri, le sue parole e il suo esempio. (g.m.)

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PROPOSITO / LA MIA INTERVISTA AL FIGLIO DI NUTO, MARCO

Il mio eroe? Piero Gobetti

con le sue Energie Nove

È il giovane martire antifascista

lo spirito guida del figlio di Nuto,

come mi confidò in un’intervista

per Sette del Corriere della Sera

Marco Revelli

Marco Revelli (Cuneo, 1947). Laureato a Torino in Giurisprudenza. Un figlio, Michele, fa legge all’università. Insegna Scienza della politica e filosofia del diritto all’Università del Piemonte orientale.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Caro Revelli, lei come figlio del partigiano-scrittore Nuto, come docente di Scienza della politica all’università e padre di un giovane che studia legge, quale figura esemplare si sente di trasmettere a suo figlio e ai suoi coetanei?

“Quella di un giovane che ha lasciato un’immensa impronta nella storia italiana: Piero Gobetti, l’alunno-maestro evocato da Augusto Monti. Un esempio perché, al di là della straordinaria produzione di scritti pubblicati in sette anni, dai 18 ai 25 anni (quando le sue condizioni di salute, aggravate dalle violenze fasciste, causarono la sua prematura morte nell’esilio francese) è riuscito a fare della propria vita un’opera degna grazie a una straordinaria forza di volontà”.

Mi colpisce di lui l’urlo lanciato con il suo giornale, Energie Nove, affinché fossero immesse energie giovani nel tessuto non solo politico dell’Italia.

“Ma con uno spirito opposto all’attuale giovanilismo e nuovismo. Le sue energie nove implicavano una disperata volontà di serietà e un’intensità di lavoro, una riforma culturale e morale in un’Italia malata di faciloneria come purtroppo accade anche oggi. Pensi che con la sua fidanzata, da liceali, avevano studiato il russo e tradotto autori della letteratura russa. La sua istintiva opposizione al fascismo era un no alla ciarlataneria, alla superficialità, all’unanimismo”.

Piero Gobetti

Piero Gobetti (Torino, 1901 – Neully-sur-Seine, 1926) è stato un giornalista, politico e antifascista. Fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione Liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale.

(CREDIT Giacomo Giannella / Streamcolors)

Quando ha sentito parlare di Gobetti per la prima volta?

“L’ho trovato in casa tra i libri di mio padre. Poi, quando sono arrivato all’Università di Torino, nel 1966, uno dei primi luoghi che ho frequentato era il Centro Gobetti, che non era una casa-museo ma il posto dove si riuniva una Torino ribelle: lì c’era il Comitato Spagna libera, lì s’erano incontrati quelli che in Italia avevano organizzato gli aiuti alla Resistenza algerina, di lì era passato Danilo Dolci. Era un covo di eretici: io penso che tocchi agli eretici salvare la patria”.

Mi è capitato di posare lo sguardo su un articolo di Gobetti per l’Unità del 1918, dopo la Grande Guerra: “L’Italia ha vinto, ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l’Italia avrebbe vinto assai prima e assai meglio […] È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia un’altra. Più lunga, più aspra, più spietata”.

“L’altra guerra cui Gobetti alludeva era quella della riforma del Paese. E la sua preoccupazione era che l’ostacolo principale alle riforme necessarie era la classe politica scadente. Come vede, una diagnosi di grande attualità. Per questo Gobetti mi affascina e spero che venga riscoperto da tutti quelli che si trovano a disagio di fronte alle classi dirigenti che ci hanno portato in questa emergenza economica, morale e politica”. (Fonte: “Sette”, lo storico magazine del “Corriere della Sera”, novembre 2014)

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Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog che vuole essere una bussola verso nuovi orizzonti per il futuro, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo” e, a quattro mani con Maria Rita Parsi, “Manifesto contro il potere distruttivo”, Chiarelettere, 2019), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

Dalla collana “Il mio eroe”: