Al Salone del libro di Torino ho conosciuto, e poi ammirato, le opere dello storico Giuseppe Mendicino, collaboratore di Doppiozero e di Meridiani Montagna, antenna sensibile puntata sulla vita di grandi scrittori come Mario Rigoni Stern, Dino Buzzati, Rolly Marchi. Alla sua luminosa collana Mendicino ha aggiunto la biografia inedita di un autore che mi fa compagnia: Nuto Revelli, Vita guerre libri (Priuli & Verlucca, pagine 130, 14 euro).
Ai lettori forti è familiare la figura di Revelli, del quale ricorrono quest’anno i cento anni dalla nascita in comune con Primo Levi (due anni dopo arriverà al mondo Mario Rigoni Stern), già combattente sul fronte russo come tenente del battaglione alpino Tirano, Revelli è stato comandante partigiano di Giustizia e Libertà nelle colline e montagne della sua terra, il Cuneese. Nel dopoguerra, per nulla distratto dal suo lavoro di commerciante di metalli e pur tenendosi distante dalla politica attiva, ha scritto opere (vissute in prima persona) di testimonianza storica e di forte etica civile, dando voce con uno stile narrativo nitido e antiretorico ai caduti e ai dispersi della guerra e ai dimenticati del mondo contadino:
Dalla difesa del mondo dei vinti traspare anche un’attenzione indignata e dolente verso l’abbandono di tanti borghi, la devastazione ambientale, la scomparsa di competenze e memorie. Di grande attualità, soprattutto, è l’invito che Revelli fa a non cadere nell’indifferenza, a respingere il conformismo e la prepotenza, a farsi “ribelli per giusta causa”, per la giustizia e la libertà:
Oggi che si sente la necessità del ritorno dell’educazione civica nelle aule scolastiche, credo fare cosa utile indicando soprattutto ai docenti, come utile strumento di lezioni, questo i libri, le parole, l’esempio di Revelli insieme a quelli degli altri due “amici di una vita” Rigon Stern e Levi, uomini che hanno attraversato le tragedie del Novecento, rimanendo legati tra loro da un forte legame di stima reciproca.
L’incipit
Nell’introduzione del suo libro, Mendicino riporta le parole con cui Mario Rigoni Stern salutò la scomparsa dell’amico Nuto Revelli. Esse rendono una sintesi perfetta del mondo del suo amico.
L’ultima pagina
Nuto Revelli è scomparso il 5 febbraio 2004. Riposa accanto alla moglie Anna nel cimitero di Spinetta, una frazione di Cuneo. Il suo studio, in corso Brunet a Cuneo, è rimasto pressocché immutato e pare quasi restituire l’immagine di Revelli, chino sulla scrivania, assorto nella lettura e nella scrittura. Mancano solo le sue carte, che allora riempivano gli scaffali e che adesso sono riposte nei faldoni della Fondazione. Appesa al muro c’è una foto che aveva colpito anche Corrado Stajano: tre giovani partigiani che camminano con dignità verso la fucilazione, scortati da soldati fascisti, forse delle brigate nere. A far da didascalia si possono leggere alcune parole riprese dall’ultima lettera di un condannato a morte della Resistenza, Giacomo Ulivi, 19 anni:
È un invito a non cadere nell’indifferenza, a respingere il conformismo e la prepotenza, uno sprone a restare sempre “ribelli per la giusta causa”, per la giustizia e per la libertà.
Le necessarie premesse della libertà, secondo Nuto, erano lo studio e l’esercizio della ragione, contro l’ignoranza e la retorica:
Seguendo le tracce del lavoro di ricerca e di scrittura di Revelli ho provato un grande rammarico: mi sarebbe piaciuto parlare a lungo con lui, ascoltarlo. Ci restano i suoi libri, le sue parole e il suo esempio. (g.m.)
PROPOSITO / LA MIA INTERVISTA AL FIGLIO DI NUTO, MARCO
Il mio eroe? Piero Gobetti
con le sue Energie Nove
È il giovane martire antifascista
lo spirito guida del figlio di Nuto,
come mi confidò in un’intervista
per Sette del Corriere della Sera
Caro Revelli, lei come figlio del partigiano-scrittore Nuto, come docente di Scienza della politica all’università e padre di un giovane che studia legge, quale figura esemplare si sente di trasmettere a suo figlio e ai suoi coetanei?
“Quella di un giovane che ha lasciato un’immensa impronta nella storia italiana: Piero Gobetti, l’alunno-maestro evocato da Augusto Monti. Un esempio perché, al di là della straordinaria produzione di scritti pubblicati in sette anni, dai 18 ai 25 anni (quando le sue condizioni di salute, aggravate dalle violenze fasciste, causarono la sua prematura morte nell’esilio francese) è riuscito a fare della propria vita un’opera degna grazie a una straordinaria forza di volontà”.
Mi colpisce di lui l’urlo lanciato con il suo giornale, Energie Nove, affinché fossero immesse energie giovani nel tessuto non solo politico dell’Italia.
“Ma con uno spirito opposto all’attuale giovanilismo e nuovismo. Le sue energie nove implicavano una disperata volontà di serietà e un’intensità di lavoro, una riforma culturale e morale in un’Italia malata di faciloneria come purtroppo accade anche oggi. Pensi che con la sua fidanzata, da liceali, avevano studiato il russo e tradotto autori della letteratura russa. La sua istintiva opposizione al fascismo era un no alla ciarlataneria, alla superficialità, all’unanimismo”.
Quando ha sentito parlare di Gobetti per la prima volta?
“L’ho trovato in casa tra i libri di mio padre. Poi, quando sono arrivato all’Università di Torino, nel 1966, uno dei primi luoghi che ho frequentato era il Centro Gobetti, che non era una casa-museo ma il posto dove si riuniva una Torino ribelle: lì c’era il Comitato Spagna libera, lì s’erano incontrati quelli che in Italia avevano organizzato gli aiuti alla Resistenza algerina, di lì era passato Danilo Dolci. Era un covo di eretici: io penso che tocchi agli eretici salvare la patria”.
Mi è capitato di posare lo sguardo su un articolo di Gobetti per l’Unità del 1918, dopo la Grande Guerra: “L’Italia ha vinto, ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l’Italia avrebbe vinto assai prima e assai meglio […] È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia un’altra. Più lunga, più aspra, più spietata”.
“L’altra guerra cui Gobetti alludeva era quella della riforma del Paese. E la sua preoccupazione era che l’ostacolo principale alle riforme necessarie era la classe politica scadente. Come vede, una diagnosi di grande attualità. Per questo Gobetti mi affascina e spero che venga riscoperto da tutti quelli che si trovano a disagio di fronte alle classi dirigenti che ci hanno portato in questa emergenza economica, morale e politica”. (Fonte: “Sette”, lo storico magazine del “Corriere della Sera”, novembre 2014)
Dalla collana “Il mio eroe”:
- Giovanni Palatucci (1909-1945), scelto da Ennio Di Francesco, già commissario di Polizia e fautore del Movimento democratico della riforma della polizia
- Giuseppe Caronia (1884-1977), grande pediatra che salvò molti ebrei e antifascisti a rischio della sua vita, è l’eroe scelto da Italo Farnetani, il medico dei piccoli
- Roberto Baggio sceglie il maestro buddhista Daisaku Ikeda, che ha dedicato la vita a sradicare le cause della violenza
- E Gianni Boncompagni scelse Arturo Benedetti Michelangeli, il più grande pianista del mondo tifoso di Enzo Ferrari e Topolino
- Nerio Alessandri: quel giorno nella vita di mr. Technogym, il romagnolo che fa muovere il mondo: “Il mio eroe? Un altro innovatore che, come me, partì da un garage: Steve Jobs“
- Dario Fo elogia il Ruzzante: “Fu un vero rivoluzionario, l’unico che, in forma satirica, ha parlato del suo tempo”
- Urbano Cairo: “Se scalo le montagne lo devo a un filosofo-faro: Napoleone”
- Antonio Cederna, giornalista e battagliero difensore della città, del paesaggio, della bellezza italiana
- Brunello Cucinelli dona bonus culturale ai suoi 1.450 dipendenti e sceglie Marco Aurelio
- E don Ciotti mi indicò il suo eroe: Tonino Bello, vescovo degli ultimi
- Michael Collins: era italiano il gregario spaziale rimasto a orbitare intorno alla Luna. Ecco chi me lo raccontò
- Zorro, cent’anni fa nasceva la leggenda del giustiziere mascherato (l’eroe di Etro)
- Un eroe e un amore che, mi confidò, abitavano nella mente di Luciano De Crescenzo
- Rossana e Carlo Pedretti: le loro vite nel segno di quel genio di Leonardo
- E Roberto Bolle mi confidò: “Il mio eroe? Adam, bambino soldato d’Africa”
- Fabrizio Barca: “il mio uomo faro? Amartya Sen. Quell’economista e Nobel indiano ha dato una risposta alle paure e alla arida globalizzazione”
- Raffaella Carrà: “Felicità è aver avuto una nonna come Andreina mia maestra in una Romagna che era piena di note e di libertà”
- Lo spirito guida di Massimo Giletti? Toro Seduto, un leader lontano da potere e profitto
- E Mauro Corona mi confessò: “Devo a Mario Rigoni Stern la mia rinascita”
- Quando Maria Rita Parsi mi illuminò il suo spirito guida: Giovanni Bollea, esploratore delle menti bambine
- Giuseppe Masera: “per chi come me ha dedicato una vita nella battaglia alla leucemia infantile, la figura di Giovanni Verga assume i contorni di un gigante”
- Nel glossario di Andrea Camilleri inserite la voce: Mandrake, l’idolo che mi confessò
- Quando il grande giornalista Enzo Bettiza mi indicò il suo eroe vivente: Mario Draghi, italiano europeo che punta su competenza e controllo