Giovedì 11 marzo il neoambasciatore dell’Argentina in Italia Roberto Carlés ha omaggiato un grande musicista che quel giorno avrebbe compiuto cento anni incontrando in diretta streaming Daniel Rosenfeld, produttore del docu-film sulla vita di quel gigante della musica e dello spettacolo: Piazzolla, la rivoluzione del tango, nato dalla collaborazione tra Exit Media e l’ambasciata. Quel giorno è arrivato anche Astor Piazzolla, una vita per la musica, libro di Maria Susana Azzi, per l’editore Sillabe. Il nome completo non c’è mai perché sarebbe troppo lungo inserirlo nel titolo: Astor Pantaleón Piazzolla. Questo suo nome completo contiene la sua storia, identica a buona parte del popolo argentino. Pantaleone, infatti, è il nome di suo nonno, pescatore partito da Trani, alla volta dell’Argentina. Si cercava lavoro, dignità, oltre l’Oceano. Un viaggio che, anni dopo, ha dato al paese sudamericano uno dei massimi esponenti della sua musica e cultura. Mondiale, non solo argentina.

Astor nasce a Mar del Plata, sull’oceano Atlantico, l’11 marzo del 1911. È figlio unico. L’albero genealogico ci porta decisamente in Italia. La madre è Assunta Manetti, i cui genitori (Luigi e Clelia Bertolani, sposi nel 1888) arrivano in Argentina dai monti della Garfagnana lucchese, da Massa Sassorosso, frazione del comune di Villa Collemandina. Nello stesso tempo a Mar del Plata sbarcano da Trani, incantevole Atene della Puglia all’epoca avara di futuro, Pantaleone Piazzolla e la moglie: a uno dei figli maschi danno il nome di Vicente.

Assunta e Vicente (chiamato “Nonino” dai figli di Astor, da qui Adios Nonino tra i suoi brani più celebri) si conoscono in quel periodo, s’innamorano e si sposano. Ed è qui, tra il porto di pescatori e le poche case estive, per lo più di signori dell’alta borghesia, che l’11 marzo 1921 Vicente Piazzolla battezza suo figlio, il suo unico figlio, con un nome inventato: Astor. Vicente, infatti, è convinto di rendere omaggio a un suo amico italiano, non sa che quel suo stesso amico di nome Astorre non aveva fatto altro che scherzare sul proprio nome facendosi chiamare da tutti Astor.

Nel 1924, l’anno in cui Gershwin presenta la sua Rapsody in blue, la famiglia Piazzolla con il piccolo Astor di appena mille giorni, si trasferisce, in cerca di fortuna a New York. Nel 1930 Astor, 9 anni, si avvicina alla musica grazie a Bela Wilda (il suo primo maestro, a sua volta allievo di Rachmanicov) suonando il bandoneòn, una particolare fisarmonica tipica delle orchestre di tango, portato in Argentina (e venduto per una bottiglia di whisky) da un marinaio della Germania dove è nota per eseguire musiche in chiesa.

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Così Astor Piazzolla (foto sopra) raccontò le origini del bandoneòn:

Il bandoneòn ha una strana storia. Nasce in Germania inventato nella metà dell’Ottocento da un certo Carl Friedrich Uhlig. Si chiamava konzertina e Heinrich Band, maestro di musica, dopo averlo migliorato lo aveva messo in vendita chiamandolo, appunto, bandoneòn. Lo strumento era arrivato verso la fine del secolo a Buenos Aires con una nave irlandese e un marinaio l’aveva venduto per una bottiglia di whisky.

Il pezzo musicale è stato registrato nel 1976.

Carlos Gardel, il più grande interprete di tango del tempo, appena sente suonare il giovanissimo Astor, lo invita incidere qualche tema per il film “El dia que me quieras”. Astor ha appena 14 anni.

Marino Piazzolla

Marino Piazzolla (San Ferdinando di Puglia, 1910 – Roma, 1985), poeta, critico, filosofo e pittore. Per sua volontà testamentaria fu istituita la Fondazione Piazzolla (fondazionepiazzolla.it), ente non commerciale e apartitico, riconosciuta dalla Regione Lazio nel 1988 con lo scopo di diffondere cultura.

Piazzolla, tornato in patria, nel 1946 forma la sua prima orchestra collezionando premi prestigiosi per le sue musiche. Va a Parigi per studiare insieme alla compositrice Nadia Boulanger: incontra e seduce con le sue musiche tanti emigrati all’ombra della Torre Eiffel (come il poeta e scrittore Marino Piazzolla, classe 1910, originario di San Ferdinando di Puglia, che ne parlerà per tutta la vita: lui, dopo un lungo soggiorno a Parigi e contatti con André Gide, è vissuto a Roma fino al 1985 rimanendo in contatto con grandi firme della cultura come Vincenzo Cardarelli, Giorgio Caproni, Corrado Govoni).

Tornato in patria, Astor nel ’55 fonda l’Octeto Buenos Aires e da quel momento il tango, il suo tango, non è più lo stesso. Piazzolla concepisce, infatti, il tango come musica da ascoltare più che da ballare. In Argentina non la prendono così bene. Per gli argentini, infatti, il tango non può essere classificato come genere musicale, è un simbolo, una bandiera, una manera de vivir.

L’Argentina dei primi anni del Novecento accoglie migranti provenienti da tutta l’Europa, anzi da gran parte del globo e questa mescolanza incredibile di usi e costumi trova nel tango il punto d’incontro tra le differenti culture. Il tango affida alle melodie temi profondi come il tempo, l’amore, la morte; testi malinconici esprimono la nostalgia e il dolore degli emigranti, costretti a lasciar la loro patria in cerca di fortuna ma lasciando in quei luoghi perduti una parte della propria anima. I compositori della cosiddetta vecchia guardia sono tutti italiani: Osvaldo Pugliese, Carlos Di Sarli, Francisco De Caro e altri ancora. Il tango come “pensiero triste che si balla” diventa un punto fermo per tutti gli argentini. Piazzolla, col suo tango ricco di strumenti musicali inusuali come le percussioni, la batteria, la chitarra elettrica, il basso, crea un nuovo genere: il tango nuevo. La musica di Piazzolla irrompe e sconvolge la tradizione provocando la furia e il disprezzo degli estimatori del tango classico. Per tutti diventa “el asesino del tango”.

È proprio in Italia, quasi a chiudere un cerchio, che Astor Piazzolla raggiunge forse l’apice della sua musica. Arriva nel nostro Paese già nel 1972, anno in cui, oltre a realizzare due concerti, registra la trasmissione Teatro 10 presentata da Alberto Lupo. Ospite fisso per la trasmissione è Mina che, estasiata dalla musica di Piazzolla, registra Ballada para mi muerte rendendola straordinariamente unica. Piazzolla ritorna in Italia nel 1974 e realizza in uno studio di Milano, uno dei suoi dischi più noti: Libertango. Nella sua orchestra sono presenti tra gli altri, Pino Presti al basso e Tullio De Piscopo alle percussioni e batteria. Libertango, il cui titolo è costituito dalle parole libertad e tango, è considerato il passaggio ufficiale di Piazzolla dal tango tradizionale al tango nuevo, in quella che segna la svolta “elettrica e rivoluzionaria”.

Un’altra voce italiana accompagna le musiche di Piazzolla, la bella e imperiosa Milva. El Gato Piazzolla e Milva fanno una tournèe per tre anni consecutivi. “Ad Astor piaceva la mia voce, il colore scuro, i toni bassi” dirà Milva in un’intervista spiegando lo speciale legame che univa i due artisti. Astor ritorna diverse volte in Italia. Un concerto in particolare è ricordato, perché il maestro, dopo numerose ricerche, invita tutta la sua famiglia “italiana” a un concerto esclusivo il 29 marzo 1987 nella basilica di Trani dove si sposò il nonno prima di varcare l’oceano Atlantico. In quell’occasione si ritrovano buona parte dei membri del suo albero genealogico, per di più sconosciuti tra loro, che realizzano una serata indimenticabile fatta di ricordi e di musica.

Tra i brani più famosi e pluripremiati, oltre a Libertango, ricordiamo Adios Nonino, Oblivion e Hora Zero del quale ha detto:

Questo è il disco più importante che ho fatto nella mia carriera. Qui c’è l’anima della mia gente, al di fuori del folclore, al di fuori del finto melodramma che popola tanta tanguetudine. C’è il dolore, la sofferenza, il bisogno di libertà e c’è l’amore per l’uomo e per la natura. E’ un manifesto che potrebbe piacere ai Verdi ma che in realtà è diretto a tutti gli uomini che abbiano a cuore il destino comune.

Astor Piazzolla muore a Buenos Aires il 4 luglio 1992.

Francobollo Astor Piazzolla centenario

Il francobollo che celebra il centenario della nascita di Astor Piazzolla.

L’Argentina è nota terra di rivoluzionari che diventano icone e Piazzolla non è da meno. Attraverso un ponte che unisce l’Italia e l’Argentina, scopriamo che a Mar del Plata l’aeroporto è intitolato proprio ad Astor Piazzolla. A migliaia di chilometri di distanza, nella piccola frazione di Massa Sassorosso, di fronte alla chiesa dove si sposarono i nonni materni, troviamo largo Astor Piazzolla mentre a Trani, patria natìa dei nonni paterni, è possibile percorrere via Astor Piazzolla.

Un’ultima considerazione. In questo nostro viaggio abbiamo ricordato un incontro, forse quello più importante che Astor Piazzolla ha avuto, quello con Carlos Gardel, da lui considerato “il nostro più grande compositore, un mito, un simbolo per tutti”. Gli argentini sono conosciuti soprattutto per il tango. Ma se si osservano con più attenzione, da vicino, nella loro quotidianità, ci si rende conto che si riservano uno speciale privilegio, uno strano esercizio mentale, tutto loro. La capacità di attendere, quasi sperare, che le cose più importanti finiscano, per poi poterne provare immancabilmente nostalgia. È facile individuare nelle pieghe della vita di numerosi musicisti di tango questa sorte d’inquietudine ma nulla esprime meglio questo moto argentino dell’animo del concetto di volver, tornare, il più toccante tango di Carlos Gardel.

Alla fine di questo nostra esplorazione del pianeta Piazzolla, ammettiamo di non aver scoperto nessun asesino, ma abbiamo senz’altro scoperto uno dei fili, invisibili, che legano l’Italia a paesi lontani. Il bandeneòn è uno strumento particolare: chi lo suona si muove in modo unico, quasi a simulare a volte un’onda, a volte un abbraccio. Lasciamoci accompagnare da un’ideale colonna sonora musicale che, avvolgendoci nel suo sensuale abbraccio, ci ha trasportati in un fantastico viaggio lungo 11.441,91 km di pura poesia, di puro tango.

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A PROPOSITO

Il suo magistrale erede? Mario Stefano Pietrodarchi, tifoso di Tonino Guerra

Mario Stefano Pietrodarchi con Tonino Guerra

Pennabilli (Rimini), 2009: il musicista Mario Stefano Pietrodarchi con Tonino Guerra.

Quando Tonino Guerra era in vita, il Teatro Vittoria di Pennabilli si riempiva ogni anno di note del bandoneòn suonato con magistrale perizia da Mario Stefano Pietrodarchi (Atessa, Chieti, 26 dicembre 1980: la sua densa biografia). Dal taccuino di una serata in quel teatro tornato a vivere da poco grazie agli ospiti eccellenti (tra i quali il fondatore di Slow Food Carlin Petrini, l’archeologa arborea Isabella Dalla Ragione e l’architetto-designer argentino Emilio Ambasz) venuti per l’annuale Festa degli antichi frutti trovo queste parole del grande poeta e sceneggiatore romagnolo d’esportazione:

La prima cosa che si deve imparare per ballare il tango è essere capace di rifilare il ginocchio negli spazi lasciati dalla ballerina.

Mario, uscito con lode aveva incontrato Tonino a Casteldfidardo in occasione di uno spettacolo musicale. “Oggi l’emergenza sanitaria mi impedisce di tornare a Pennabilli e anche nelle tante città del mondo che mi chiamano per concerti, dalla cara Armenia alla Svizzera, dalla Danimarca a Lerici o Civitanova Marche”, mi aggiorna l’amico Mario da Neuchatel dove sta preparando serate in occasione del centenario di Astor Piazzolla, suo idolo.

Prima che la pandemia frenasse i suoi continui pellegrinaggi artistici nel mondo, Mario promuoveva uno spettacolo musicale/multimediale, dal titolo Dizionario Fantastico di Tonino Guerra, con musiche originali scritte dal giovane maestro pescarese Andrea Scarpone: “È un viaggio fantastico/multimediale con commenti musicali e voce recitante, sulle lettere dell’alfabeto italiano”.

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Minsk: Mario Stefano Pietrodarchi & l’Orchestra Nazionale da Camera Bielorussa

eseguono (da 0:00 a 3:45) Libertango di Astor Piazzolla.

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