Cesena, 29 dicembre –
Tutta Napoli sul palco del Carisport strapieno di romagnoli e di altri venuti da lontano per ascoltare Renzo Arbore e la sua Orchestra italiana (in prima fila anche una famiglia friulana e una milanese rientrata da Hong Kong), ma nel camerino dello showman italiano più conosciuto al mondo affiora la storia di due fratelli romagnoli che hanno contribuito al successo del grande jazz americano: Pete e Conte Candoli, figli di emigranti provenienti da Bagnarola, frazione di Cesenatico.
Gliel’ho portata io, prima del concerto, insieme a un pacchetto di ciccioli, le gustose specialità romagnole ottenute dalla lavorazione del grasso del maiale, alla presenza di Guido Pistocchi, il trombettista di Cesena considerato uno dei grandi strumentisti della scena jazzistica italiana (nel corso della sua ultracinquantennale carriera, ha avuto modo di collaborare come solista, con alcuni tra i più noti esponenti della musica italiana e molto apprezzato è stato, e sarà un’ora dopo, il suo “Tributo ad Armstrong”, nel quale ha proposto i brani più conosciuti del celebre trombettista-cantante statunitense Louis Armstrong, imitandone la voce e il modo di suonare: su di lui tornerò in un prossimo testo).
La storia di Pete e Conte Candoli, che ho ricostruito qui di seguito grazie alla ricerca dello storico romagnolo Ennio Ferretti, è stata accolta da Renzo con emozione intanto perché lui, figlio di Foggia e storico del jazz americano e “storico” presidente di Umbria Jazz, racconta che l’amore contagioso per questo genere nacque quando arrivarono gli americani a Foggia:
Cedo la parola a Ferretti, collaboratore della rivista di storia e cultura romagnola Confini.
Figli d’arte: anche il padre suonava la tromba
Fra quei militari statunitensi, c’era anche l’arruolato Pete Candoli. Lui era il figlio primogenito di Antonio e Silvia Medri, originari di Bagnarola di Cesenatico, tra i 4.000 italiani ammessi in quel 1921 dalle autorità americane a sbarcare nel Nuovo Mondo. Destinazione: Mishawaka, nello stato dell’Indiana, dove il capofamiglia aveva trovato lavoro in una fabbrica di stivali e scarpe di gomma. Qui nel 1923 nacque Walter Joseph, che poi adottò il più orecchiabile nome di Pete.
Il fratello Conte venne alla luce il 12 luglio del 1927. A dire il vero il nome che gli fu imposto alla nascita fu Secondo, un nome tuttora molto diffuso in Romagna, ma fu con il nome di Conte che egli divenne famoso. (Nel 1930 nacque la sorella Gloria, tuttora vivente e una dei 47 mila abitanti di Mishawaka).
In casa Candoli la musica era di casa. Papà Antonio aveva molti strumenti ed egli stesso suonava la tromba e faceva parte di un complessino insieme con altri italiani. Fu lui stesso a incoraggiare i figli ad avvicinarsi alla musica fin dalla loro più giovane età e sempre lui diede loro le prime lezioni di tromba.
A 13 anni Conte stava già dimostrando un certo talento. Fu suo fratello maggiore Pete, già trombettista affermato (a 18 anni già suonava con jazzisti del calibro di Woody Herman, Nelson Ridle, Don Costa, Henry Mancini) che, nel 1944, durante le vacanze estive, lo raccomandò a Woody Herman per la sua band. Herman lo scritturò, ma questa fu solo una breve parentesi, perché a quel punto intervenne la madre Silvia che pretese che il figliolo finisse i suoi studi prima di fare il musicista a tempo pieno. Nell’estate del ’45, conseguito il suo diploma, Conte entrò stabilmente nell’orchestra di Woody Herman.
I due fratelli si trovarono così a suonare insieme, prima con Herman poi con Stan Kenton.
C’erano a quel tempo molte coppie di fratelli che suonavano nella stessa orchestra, ma il caso di Pete e Conte Candoli fu del tutto eccezionale per il rapporto di grande affetto e stima che li legava. Addirittura tra il 1957 e il 1962 essi fondarono e diressero insieme, in perfetta armonia, un complesso di grande successo: The Candoli Brothers Sextet.
Verso la fine degli anni ’40 Conte si separò momentaneamente dal fratello per suonare il bebop in complessi più piccoli, acquistando la fama di interprete di jazz di primo piano.
Il bebop, che è uno stile che si sviluppò soprattutto a New York a metà degli anni ’40, rappresentò una grossa una grossa novità nel campo jazz. Esso è caratterizzato da tempi molto veloci con esecuzioni che prevedono la breve esposizione di un tema seguito da numerose improvvisazioni e, in chiusura, dalla breve riproposizione del tema iniziale. Gli esecutori suonavano quindi a memoria, senza arrangiamenti scritti, sviluppando semplicemente un canovaccio.
Fra i più famosi interpreto di questo stile musicale possiamo citare Dizzy Gillespie (tromba), Charlie Parker (sax alto), Miles Davis (tromba) e naturalmente i fratelli Candoli.
Anche se Pete Candoli é meglio conosciuto come solista di tromba nella musica jazz, il suo curriculum e le sue competenze spaziano in ben altri campi. Egli è stato ugualmente esperto sia di musica classica che di musica pop e ha tenuto seminari in varie università e college. Egli ha composto e arrangiato musica, fra gli altri, per Judy Garland, Ella Fitzgerald e Peggy Lee.
La grande abilità tecnica posseduta da Pete Candoli era la sua capacità di utilizzare lo “staccato”, cioè la capacità di suonare due o più note articolandole con una breve pausa fra l’una e l’altra. Negli strumenti a fiato ciò si ottiene con una opportuna e non sempre facile azione della lingua sul bocchino.
Pete era anche un grande uomo di spettacolo. Talvolta, durante le pause dell’orchestra, egli si presentava sul palco vestito da Superman e si esibiva saltellando con agilità da una parte all’altra come avrebbe fatto il vero Superman, favorito anche da un fisico molto aitante. A un certo punto poi attaccava un travolgente assolo con grande entusiasmo del pubblico in sala.
Pete ebbe una vita sentimentale piuttosto movimentata. Si sposò tre volte: la prima volta con l’attrice Vicky Lane, dalla quale ebbe una figlia, Tara. La seconda volta con Betty Hutton, attrice all’epoca abbastanza nota anche in Italia soprattutto per il musical Anna prendi il fucile di cui era l’attrice protagonista. La Hutton era al suo quarto matrimonio. Ebbero una figlia, Carolyne. La terza volta Pete si sposò con la cantante e attrice Edie Adams. È morto l’11 gennaio del 2008 a Los Angeles all’età di 84 anni.
Conte Candoli, 770 incisioni e ben 123 album
La straordinaria carriera di Conte Candoli si svolse in parallelo a quella del fratello Pete; anzi, molto spesso essi si trovarono a operare in perfetta simbiosi, suonando nelle stesse orchestre e addirittura, come abbiamo detto, creando fra il 1957 e il 1962 un complesso di grande successo: The Candoli Brothers Sextet. Conte aveva un modo di suonare assolutamente personale. Anche se ammirava molti trombettisti come Harry James e Roy Eldridge, il suo stile risentiva principalmente degli schemi del maturo Dizzie Gillespie.
La discografia di Conte è quanto mai ricca: comprende circa 770 incisioni separate e ben 123 album. Conte si è esibito in tutto il mondo con i grandi del jazz dell’epoca, da Jerry Mulligan a Stan Kenton.
È apparso in molti film, ha lavorato in tanti special di Frank Sinatra. Si è infine stabilito quasi definitivamente in California, perché impegnato nel Tonight Show, forse il più noto e longevo varietà televisivo americano.
Come il fratello, anche Conte si sposò tre volte. Il primo e il secondo matrimonio furono di breve durata e da essi non nacquero figli. Dalla terza moglie, che si chiamava Christine, ebbe invece una figlia, Marcia, morta nel 2006 a 51 anni.
Conte muore il 14 dicembre 2001 a Palm Desert, in California.
I Candoli e l’Italia
Il tentativo di rintracciare dei possibili parenti viventi del ceppo Candoli a Cesenatico è stato quanto mai infruttuoso… Da queste ricerche sono emersi un paio di aneddoti che hanno superato con sufficiente attendibilità i tanti anni da quando sono accaduti.
Il primo racconta che Pete, già arruolato nell’esercito americano, fu spedito a Foggia e poi a Napoli verso la fine della guerra. Quando rientrò in famiglia pare abbia apostrofato la mamma con un
La verità era che in famiglia, anche nella lontana città di Mishawaka, si parlava il più schietto dialetto romagnolo!
L’altra curiosità: negli anni Sessanta Conte, all’apice della sua carriera, tenne un concerto a Milano davanti a un pubblico che, per l’occasione, non fece mancare i più calorosi applausi.
Alla fine fattosi silenzio in sala, Conte si rivolse all’uditorio gridando in dialetto romagnolo: “Un gn’è nisun de Ziznadgh?” (Non c’è nessuno di Cesenatico?).
Voce dal fondo della platea: “Ai so’ me!”. Era Quarto Maltoni, all’epoca primo clarinetto dell’orchestra della RAI.
Così Renzo Arbore se n’è tornato a Roma, dopo la serata di Cesena, consapevole che il grande jazz americano ha radici anche in Romagna.
* Ennio Ferretti (Cesenatico, 1936), laureato in Lingue straniere, ha insegnato francese in varie scuole d’Italia (Noci e Barletta in Puglia, Bucchio e Cesena in Romagna). Da sempre appassionato di enigmistica, ha iniziato a pubblicare giochi su riviste specializzate fin dagli inizi degli anni ‘90. Ha pubblicato una guida cicloturistica. Dal mare alla collina (itinerari da Cesenatico); A spasso con Edipo (2005), antologia di giochi enigmistici; La battaglia di Cesenatico (2010) su un episodio poco noto della guerra austro-napoletana del 1815. Alcune sue ricerche di storia locale sono apparse sulla rivista Confini. Nel 2016 ha dato alle stampe Versi Di-versi, 55 poesie in forma di Limerick. L’ultima sua fatica letteraria: Diario di un maestro di montagna (Sicograf di Cesenatico, 2019). È sposato con la pittrice Anna Maria Nanni (con lui nella foto).
Quando lo intervistai per Sette*
Renzo ed Enzo: con Arbore e Biagi le notti italiane erano il simbolo di un’altra Rai, di un’altra Italia
“Quel grande giornalista era un maestro affidabile”, mi raccontò lo showman
GIANNELLA: Caro Arbore, tante tappe, tante esperienze, tanti incontri: con la tua estrosa Orchestra italiana continui meritatamente a fare il pieno. Chi, in particolare, ti ha lasciato le regole del buon vivere?
ARBORE: Enzo Biagi, giornalista affidabile. Lo ammiravo, con altri grandi vecchi come Roberto Murolo: mi hanno insegnato che, affrontando l’esistenza con serenità, si possono raggiungere traguardi lontani. E poi, io amo le storie di vita vissuta, le biografie, i “come eravamo”. Nella mia libreria ho tutti i suoi libri, da Onora il padre in poi. E oggi sul mio comodino c’è il Dizionario delle cose perdute di Francesco Guccini.
Mi colpisce l’aggettivo da te usato: affidabile.
Affidabilità è una parola rara, ma la reliability, così la chiamano gli americani, è la qualità principale richiesta all’estero. E dei testi del reporter Biagi non puoi mai dire: “Questa è un’esagerazione per vendere più copie o per ossequio alla dittatura dell’Auditel” (quanti misfatti sono fatti in nome dell’Auditel!).
Hai sintetizzato due crisi: quella del reporter, sempre più rari, e quella della tv che abusa di falsità e trucchi.
Lui faceva tv vera, come mi sforzavo di fare io. Io con Quelli della notte e lui con Linea diretta, stessa ora, due diverse reti, ci dividevamo il pubblico insonne. Un giorno mi disse: “Noi siamo stati contemporanei”. Gli risposi: “Sono più felice io come tuo contemporaneo nella vita, perché mi stai insegnando molte cose”. Anche nel campo musicale. Facevamo delle gare a chi ricordava le canzonette del passato. Lui, più anziano, cominciava con canzoni più lontane nel tempo. La sua preferita? Aranci di Wilma De Angelis. Gliela feci cantare in diretta: “Bimbe innamorate, gli aranci comprate, hanno il sapore d’un bacio d’amore”.
Un filo vi univa: e vi ha unito anche nella classifica stilata per Cinquanta, il programma di Pippo Baudo sul primo mezzo secolo di storia della Tv. Al primo posto tra i migliori programmi di sempre della Rai si classificò Il fatto di Enzo. Al secondo posto la tua Altra domenica.
Quella graduatoria era lo specchio di un’altra Rai e di un’altra Italia, quella che lui definiva “normale”: quella che per l’Auditel non fa notizia e che va forte all’estero. L’Italia del volontariato, della solidarietà, della Ferrari e di Bocelli, del cinema di qualità come quello di Federico Fellini e Tonino Guerra e della migliore cucina, dei grandi architetti e designer, di Ferrero e degli italiani da esportazione. Di questo mondo Biagi era il miglior testimone.
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