A febbraio facciamo rivivere la poesia, soffocata nel Nicaragua dalla libertà perduta

Da quindici anni ogni febbraio in questo paese del Centro America si svolgeva uno dei Festival di poesia più importanti del mondo, con molte centinaia di poeti che arrivavano da ogni parte del pianeta. Quest’anno la Festa è stata sospesa. Troppa violenza contro un popolo di ragazzi che chiede libertà. Un giornalista ci scrive: “Facciamo rivivere il Festival sul blog!”

SPEAKER’S CORNER | LA GEOGRAFIA INTIMA

testo di Andrea Semplici* per Giannella Channel

A febbraio facciamo rivivere la poesia, soffocata nel Nicaragua dalla libertà perduta

Da quindici anni ogni febbraio in questo paese del Centro America si svolgeva uno dei Festival di poesia più importanti del mondo, con molte centinaia di poeti che arrivavano da ogni parte del pianeta. Quest’anno la Festa è stata sospesa. Troppa violenza contro un popolo di ragazzi che chiede libertà. Un giornalista ci scrive: “Facciamo rivivere il Festival sul blog!”

SPEAKER’S CORNER | LA GEOGRAFIA INTIMA

testo di Andrea Semplici* per Giannella Channel

Il Nicaragua è un paese lontano. Lontano da questa Europa. È un piccolo paese del Centroamerica. Il Nicaragua è terra di poeti. Per la mia generazione (almeno per chi aveva cuore e passione per le sfide dei popoli), il Nicaragua fu un sogno, la realtà di una rivoluzione che superava l’immaginazione. Certo, il sogno sbiadì, vennero, come sempre, anni bui, difficili. Ma la storia del sandinismo rimase dentro di noi.

Pochi anni fa sono tornato, dopo decenni, in Nicaragua. Inseguendo poeti. E ho ritrovato la mia terra. In questi anni ho scritto un libro (La rivoluzione perduta dei poeti) attorno al mistero della poesia in Nicaragua (fossi un editore curioso, darei un’occhiata, Ndr). Non ho altro che parole per saldare debiti di gratitudine.

Da quindici anni, a metà febbrario, a Granada, splendida città coloniale, si svolge uno dei Festival di poesia più importanti al mondo. Più di millecinquecento poeti di ogni parte del mondo hanno letto, in questi anni, le loro poesie nella piazza di Granada. Migliaia di persone le hanno ascoltate. Una grande storia. Una grande festa. Ho scritto molto su questo festival. Là ho scoperto la poesia.

Ad aprile dello scorso anno il paese è insorto. Una ribellione improvvisa, sopita per anni, per scrollarsi di dosso un governo che aveva tradito la storia dell’ultima rivoluzione del ‘900. I poeti erano stati il canto di quella Rivoluzione. Erano stato uccisi, avevano sparato. Avevano combattuto, erano ministri nel primo governo sandinista. Nella ribellione, fra aprile e giugno, sono state uccise centinaia di uomini e donne. Molti erano ragazzi giovanissimi. Oggi vi sono arresti ed espulsioni. Migliaia di nicaraguensi hanno scelto la strada dell’esilio. Molti dei miei amici sono fuggiti, non avevano altra scelta. Altri hanno perso il lavoro. Altri si nascondono. Il potere si sta vendicando: non sopporta chi desidera niente altro che la libertà.

I poeti dell'ultima edizione (2018) del festival di Granada.

Il Festival della poesia questo febbraio è stato sospeso. ‘Non ci sono le condizioni’ di sicurezza. Il paese è in lutto. Non c’è niente da festeggiare, dicono i poeti. “La poesia está en duelo”, scrive Gioconda Belli, la più conosciuta nel mondo fra le scrittrici nicaraguensi:

Non può esserci poesia in un momento nel quale il paese è sprofondato nella repressione e nella violenza.

Non porto fortuna ai paesi che amo. Davvero è stato vano il sacrificio del popolo del Nicaragua? Davvero Ricardo, Gaspar, Eduardo, Camilo, Josè sono morti invano? Davvero dobbiamo strappare le bandiere rosse e nere del sandinismo? A Managua è stato bandito il bianco e l’azzurro dei drappi nazionale: è reato sventolare la bandiera del proprio paese. “No se diga que mi tiempo fue inutil”, ha scritto, nelle sue memorie, la poetessa Vidaluz Meneses.

A volte prende lo sconforto: “A cosa è servito se tutto è uguale a prima?”. È un momento, si rialzano le teste, riprendono le grida: la lotta dei muchachos del 1979, capaci di abbattere un tiranno, è la stessa dei muchachos del 2018. “Il Nicaragua è un vaso di Pandora, pieno di sorprese”. Un giovane rapper, Erick Nicoy, canta sulle barricate: “Ricordati: noi siamo quelli che hanno cacciato Somoza…”. Gioconda Belli guarda i ragazzi della ribellione:

Los de antes ya no somos necesarios. Se hereda el ardor contra los tiranos.
Quelli di prima non sono più necessari. Si eredita l’ardore contro il tiranno.
Questo febbraio non ci sarà il Festival di poesia di Granada. È saggia la decisione dei poeti del Nicaragua: non è tempo di festa. È triste la decisione dei poeti del Nicaragua: la poesia è antidoto contro la violenza. Leggiamo le poesie del Nicaragua agli angoli delle strade del mondo. Facciamolo in Italia. Facciamo per noi. Per quei ragazzi lontani.

Carneval poetico di Granada.

Un tempo, oltre trent’anni fa, Julio Cortazár, innamorato perso del Nicaragua, scrisse:

In questo momento rivoluzionario, la poesia è il pensiero più amato dai nicaraguensi.

Io spero che sia ancora così ‘in questi mesi di una nuova rivoluzione’.

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* Andrea Semplici è giornalista e scrittore. Dirige la rivista trimestrale on-line Erodoto 108, erodoto108.com (“L’unico vero giornalista è uno scrittore affermato, un fotografo e un nomade di professione”) e cura un blog: andreasemplici.it, presentato così: “Un giorno ho incrociato, nel mondo virtuale, guarda caso, uno scrittore argentino, Hernan Casciari che spiegava che ciò che comincia con un blog può trasformarsi in qualsiasi cosa… a seconda dei momenti, provo a crederci… che i post di un blog (ma come scrivo!) possano diventare barchette di carta da affidare a qualche corrente e che alla fine siano nave per attraversare un oceano”.

Fotogallery / di Andrea Semplici

Granada 2018: che la festa (ri)cominci

Poeti, viaggiatori e abitanti che lo scorso febbraio si ritrovarono nella città coloniale, e nei dintorni, per il Festival della poesia: che ognuno di loro (e di noi lettori) dedichi una lettera di poesia al Nicaragua

Diamo il via al nostro Festival dei poeti “da” e “per” il Nicaragua libero. Partiamo con poesie amate di Ernesto Cardenal, Gioconda Belli e Fernando Silva

Ernesto Cardenal Martínez (Granada, 1925) è un poeta e teologo nicaraguense. Protagonista della rivoluzione in Nicaragua del 1979, fu nominato ministro della Cultura dal nuovo governo guidato da Daniel Ortega. Nel 1983, durante la sua visita in Nicaragua, papa Giovanni Paolo II lo invitò a dimettersi: essendosi rifiutato, fu sospeso a divinis. Continuò a rivestire la carica fino al 1987, quando il suo ministero fu soppresso per ragioni finanziarie. Due anni prima venne a Firenze, dove tenne un recital. Nel 1989 Cardenal e Dietmar Schönherr hanno fondato, a Granada, la Casa de los Tres Mundos, un progetto di cultura e sviluppo. Durante il governo sandinista Cardenal promosse e coordinò una campagna di alfabetizzazione, che gli valse un riconoscimento mondiale da parte dell'Unesco. Grazie a quella campagna, almeno 500.000 nicaraguensi impararono a leggere e a scrivere. Cardenal abbandonò il FSLN nel 1994, in polemica con quella che lui interpretò come deriva autoritaria nella gestione del partito da parte di Daniel Ortega. Per i suoi libri segnaliamo questo link.

PREGHIERA PER MARILYN MONROE

di Ernesto Cardenal

Signore

accogli questa ragazza conosciuta in tutta la terra con il nome di Marilyn Monroe

anche se questo non era il suo vero nome

(ma Tu conosci il suo vero nome, quello dell’orfanella violentata a 9 anni

e la piccola commessa che a 16 aveva voluto ammazzarsi)

e che adesso si presenta davanti a Te senza nessun maquillage

senza il suo Addetto Stampa

senza fotografia e senza firmare autografi

sola come un astronauta davanti alla notte spaziale.

Essa sognò da bambina che si trovava nuda in una chiesa

(secondo quel che racconta il Time)

davanti a una folla prostrata, con le teste sul pavimento

e doveva camminare in punta di piedi per non pestare le teste.

Tu conosci i nostri sogni meglio degli psichiatri.

Chiesa, casa, antro, sono la sicurezza del seno materno

ma anche qualcosa più di ciò…

Le teste sono gli ammiratori, è chiaro

(la massa di teste al buio sotto il fiotto di luce).

Ma il tempio non sono gli studi della 20th Century Fox.

Il tempio – in marmo e oro – è il tempio del suo corpo

in cui sta il Figlio dell’Uomo con una frusta in mano

a cacciare i mercanti della 20th Century Fox

che hanno fatto della Tua casa di preghiera un covo di ladri.

 

Signore

in questo mondo contaminato di peccati e di radioattività

Tu non incolperai soltanto una piccola commessa.

Che come ogni piccola commessa sognò di essere una stella del cinema.

E il suo sogno divenne realtà (ma come la realtà del technicolor)

essa non fece altro che agire secondo il copione che le demmo:

Quello delle nostre stesse vite. Ed era un copione assurdo.

Perdonala Signore e perdona noi

per la nostra 20th Century

per questa Colossale Super-Produzione

nella quale tutti abbiamo lavorato.

Essa aveva fame di amore e le abbiamo offerto tranquillanti.

Per la tristezza di non essere santi

le venne raccomandata la Psicoanalisi.

Ricorda Signore la sua paura crescente della macchina da presa

e l’odio per il maquillage – mentre insisteva a truccarsi a ogni scena –

e come divenne più grande l’orrore

e più grave la mancanza di puntualità negli studi.

Come ogni piccola commessa

sognò di essere una stella del cinema.

E la sua vita fu irreale come un sogno che uno psichiatra interpreta e archivia.

Le sue storie d’amore furono un bacio con gli occhi chiusi

che quando si aprono gli occhi

si scopre che è stato sotto i riflettori

e spengono i riflettori!

e smontano le due pareti della stanza (era un set cinematografico)

mentre il Regista si allontana col suo quaderno

perché la scena è ormai stata girata.

O come un viaggio in yacht, un bacio a Singapore, un ballo a Rio

il ricevimento nella dimora del Duca e della Duchessa di Windsor

visti nella stanzetta dell’appartamento miserabile.

Il film terminò senza il bacio finale.

La trovarono morta sul letto con una mano sul telefono.

E i detectives non seppero chi stava per chiamare.

Fu come uno che ha fatto il numero dell’unica voce amica

e sente solo la voce di un disco che gli dice: WRONG NUMBER.

O come uno che ferito dai gangsters

allunga la mano verso un telefono staccato.

 

Signore

chiunque fosse quello che stava per chiamare

e non chiamò (e forse non era nessuno

o era Qualcuno il cui numero non sta nella guida telefonica di Los Angeles)

rispondi Tu al telefono!

(Traduzione di Antonio Melis)

Gioconda Belli (Managua, 1948) è una poetessa, giornalista e scrittrice nicaraguense. Ha al suo attivo quattro libri di narrativa, nei quali vengono esplorati alcuni temi ricorrenti, come le vicissitudini politiche del suo paese e la lotta sandinista, il femminismo e l'emancipazione della donna. È anche autrice di diverse raccolte di poesie, caratterizzate da una poetica sensuale e femminile. A questo link, tutti i suoi libri. Sarà in Italia, a Pordenone, tra il 9 e 16 marzo, per il festival “Dedica”, a lei dedicato.

DELLA DONNA CHE SONO

di Gioconda Belli

Della donna che sono

mi succede, a volte, di osservare nelle altre, la donna che potevo essere;

donne garbate esempio di virtù,

laboriose brave mogli, come mia madre avrebbe voluto.

Non so perché

… tutta la vita ho trascorso a ribellarmi a loro.

Odio le loro minacce sul mio corpo

la colpa che le loro vite impeccabili,

per strano maleficio mi ispirano;

mi ribello contro le loro buone azioni,

contro i pianti notturni sotto il cuscino,

contro la vergogna della nudità sotto la biancheria intima, stirata e inamidata.

Queste donne, tuttavia, mi guardano dal fondo dei loro specchi;

alzano il loro dito accusatore

e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo

e vorrei guadagnarmi il consenso universale,

essere la “brava bambina”, la “donna per bene”, la Gioconda irreprensibile,

prendere dieci in condotta

dal partito, dallo Stato, dagli amici, dalla famiglia, dai figli

e da tutti gli esseri che popolano abbondantemente questo mondo. In questa contraddizione inevitabile

tra quel che doveva essere e quel che è,

ho combattuto numerose battaglie mortali,

battaglie inutili, loro contro di me

– loro contro di me che sono me stessa –

con la psiche dolorante, scarmigliata,

trasgredendo progetti ancestrali, lacero le donne che vivono in me

che, fin dall’infanzia, mi guardano torvo

perché non riesco nello stampo perfetto dei loro sogni,

perché oso essere quella folle, inattendibile, tenera e vulnerabile

che si innamora come triste puttana

di cause giuste, di uomini belli e di parole giocose

perché, adulta, ha osato vivere l’infanzia proibita

e ho fatto l’amore sulle scrivanie nelle ore d’ufficio,

ho rotto vincoli inviolabili e ho osato godere

del corpo sano e sinuoso di cui i geni di tutti i miei avi mi hanno dotata.

Non incolpo nessuno. Anzi ringrazio dei doni.

Non mi pento di niente, come disse Edith Piaf:

ma nei pozzi scuri in cui sprofondo al mattino, appena apro gli occhi,

sento le lacrime che premono, nonostante la felicità che ho finalmente conquistato,

rompendo cappe e strati di roccia terziaria e quaternaria,

vedo le altre donne che sono in me, sedute nel vestibolo

che mi guardano con occhi dolenti e mi sento in colpa per la mia felicità.

Assurde brave bambine mi circondano e danzano musiche infantili … contro di me;

contro questa donna fatta, piena,

la donna dal seno sodo e i fianchi larghi,

che, per mia madre e contro di lei, mi piace essere.

E DIO MI FECE DONNA

di Gioconda Belli

E Dio mi fece donna,

con capelli lunghi,

occhi,

naso e bocca di donna.

Con curve

e pieghe

e dolci avvallamenti

e mi ha scavato dentro,

mi ha reso fabbrica di esseri umani.

Ha intessuto delicatamente i miei nervi

e bilanciato con cura

il numero dei miei ormoni.

Ha composto il mio sangue

e lo ha iniettato in me

perché irrigasse tutto il mio corpo;

nacquero così le idee,

i sogni,

l’istinto.

Tutto quel che ha creato soavemente

a colpi di mantice

e di trapano d’amore,

le mille e una cosa che mi fanno donna

ogni giorno

per cui mi alzo orgogliosa

tutte le mattine

e benedico il mio sesso.

Fernando Silva (Granada, 1927 – Managua, 2016) è stato pediatra e poeta. Grande amico del noto ematologo Giuseppe Masera, già direttore della Clinica pediatrica dell’ospedale San Gerardo di Monza. Assieme a Masera ha avviato i programmi di lotta alla leucemia in Nicaragua. Hanno salvato la vita a 1.700 bambini. Fernando è stato anche un grande poeta. Rayuela Edizioni ha pubblicato un suo piccolo libro: Di proprio pugno, le poesie sono state tradotte da Milton Fernandèz, un uruguaiano che vive a Milano dove organizza il Festival internazionale della poesia.

Ernesto Cardenal e Fernando Silva con (a sinistra) Giuseppe Masera.

GLI ULTIMI SEMI

di Fernando Silva

Smette a momenti di essere la grazia

un’immagine fugace

un fatto, diciamo, della nostra vita

che splende all’improvviso

se uno dice qualcosa di spensierato

come se stesse fischiando qualche

vecchia canzone, distratto

alla riva dei fiori che nel giardino

appassiscono senz’acqua:

certo sarebbe allora che l’apparenza

indora appena i margini del sogno

che subito ti metti

a contare i giorni con le dita

che sfiorano le rive del silenzio

quando finisce

ogni apparenza

buttando infine quel che resta

di quel silenzio per terra

come se stessi seminando

gli ultimi semi di un’attesa.

Leggi anche:

  • “Eravamo un anziano, un bambino, un carcerato malato e tu ci hai insegnato a fare poesia”. Riprendendo i versi di Ernesto Cardenal una tenace scrittrice e un illustre medico ci indicano da Monza uno dei sentieri possibili per ricominciare dopo questo periodo triste. Forti di un’esperienza (da elogiare e da imitare) che Claudio Magris ha definito “una bella storia italiana” (testo di Antonetta Carrabs e Giuseppe Masera per Giannella Channel)
  • E Papa Francesco riabilita il prete-poeta Ernesto Cardenal. Bergoglio concede la piena reintegrazione del padre nicaraguense che era stato sospeso a divinis il 30 giugno 1985 a causa della sua militanza politica: aveva partecipato come ministro della Cultura al governo guidato da Daniel Ortega, poi abbandonando ogni impegno in tal senso. Gravemente malato, riceve la benedizione del Papa attraverso il nunzio di Managua, Sommertag
  • evVIVA la poesia: i versi più amati ti arrivano direttamente a casa, sui pianerottoli, sotto le finestre, al telefono, per strada. E in regalo. In tempi di pandemia, quasi tutto può essere consegnato a domicilio, anche una poesia per sorprendere una persona cara. È quanto è capitato a chi cura questo blog, raggiunto nel giorno del compleanno dai versi (“Ti auguro tempo”) della poetessa tedesca Elli Michler (1923-2014), versi donati da una cara amica e recitati al telefono da un attore. Sì, perchè la pandemia ci ha allontanati ancor di più dai luoghi deputati alle arti, chiusi da oltre un anno. Ma poesia e teatro non si sono fermati: si sono reinventati, hanno cominciato un nuovo corso uscendo dalle loro sedi, soccorrendo il pubblico, nutrendo gli animi con trovate poetiche. Trasformandosi in movimento. E in dono. Come vi racconta questa approfondita inchiesta. (testo di Benedetta Rutigliano)

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