La nostra serie dedicata ai momenti chiave dell’infanzia dei Grandi, dopo Albert Einstein, Leonardo da Vinci e Konrad Lorenz si arricchisce con un prezioso contributo di Gianfranco Angelucci, scrittore e sceneggiatore che i lettori di Giannella Channel hanno conosciuto due anni fa in occasione del mio testo sulla sua ultima fatica letteraria: “Segreti e bugie di Federico Fellini” (Luigi Pellegrini editore): testo arricchito da un Sos per la casa di Gambettola dove il piccolo Fellini trascorreva estati felici (e che ancora oggi merita una fiammata creativa: museo dell’infanzia dei grandi?) e da una intervista impossibile a Fellini ritrovato nel suo “nido” riminese, quel Grand Hotel oggi rinato a nuovi fasti con la gestione dell’imprenditore alberghiero a 5 stelle della Romagna, Tonino Batani.

Angelucci è stato amico e collaboratore di Fellini per oltre vent’anni, sceneggiatore del film “L’intervista” (1987), premio speciale della giuria a Cannes e primo premio al Festival di Mosca. Seguo Angelucci da tempo nelle sue incursioni letterarie, giornalistiche (sul quotidiano romagnolo La Voce) e cinematografiche e mi sento di consigliarlo a chi ama le buone trame delle parole. (s. gian.)

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Fellini nasce in casa, al numero 10 di via Dardanelli, a Rimini, il 20 gennaio 1920.
La numerazione civica era allora diversa dall’attuale.
La famiglia si era trasferita da Gambettola da circa un mese
e la sua nascita riminese è registrata all’anagrafe come “occasionale”.

Quando aveva circa nove anni a Federico Fellini fu regalato un teatrino dei burattini. Fu quello l’episodio che generò il rapporto, dapprima inconsapevole poi sempre più profondo, tra fantasia e rappresentazione. Già portato istintivamente al disegno, Federico tenendo i fogli dei giornaletti appoggiati contro il vetro della finestra, ricopiava in trasparenza i personaggi di Rubino o le vignette di Little Nemo, un suo emozionante alter ego inventato dalla prodigiosa matita dell’americano Windsor McCay. Con l’arrivo del teatrino, il piccolo Fellini cominciò a concepire creature tridimensionali, alle quali poteva attribuire facce, movimenti, espressioni e dialoghi. Raccontava che uno scultore vicino di casa, avvertendo la sua propensione, gli insegnò a modellare le teste con il gesso e a costruire le marionette in cartapesta. Con le quali Federico si sbizzarriva a immaginare storie, costumi, fondali dipinti, utilizzando in veste di assistente il fratello minore Riccardo, più piccolo soltanto di un anno.

Il regista riminese si è sempre descritto come un bambino solitario, timido, introverso, poco propenso ai giochi muscolari dei compagni di scuola, per nulla interessato allo sport, all’attività fisica, ai riti marziali pretesi dall’educazione fascista. Preferiva piuttosto rifugiarsi nel suo mondo fantastico nutrito principalmente dall’universo dei fumetti:

Mettevo in scena i personaggi interpretando tutte le parti. Fu allora che mi abituai a sviluppare, credo, quello stile a cui sono ricorso più tardi in veste di regista per mostrare agli attori come vedevo il personaggio. Ovviamente ero anche l’autore dei testi.

Ma se il provvidenziale giocattolo costituì l’occasione per tradurre in concreto le sue fantasie, l’attitudine psichica a creare un mondo personale di visioni risale a molto prima, proprio alla più tenera infanzia. D’estate Federico veniva mandato qualche giorno dalla nonna paterna Francesca, Franzscheina, che viveva in campagna, in via Soprarigossa a Gambettola (sempre in Romagna, ma in provincia di Forlì-Cesena: è lo stesso paese dove è nato il grande sindacalista Luciano Lama). Era stato quello scenario rurale, così attraente e misterioso per un bambino (che in Otto e Mezzo il regista descriverà poeticamente nella sequenza del casale) a condurlo a scoprire una singolare attitudine alla ‘trasfigurazione’. Riferiva per esempio che quando lo mettevano seduto al sole contro il muro caldo della casa colonica, si manifestavano in lui, senza una ragione precisa, alcuni fenomeni di sinestesia, come viene comunemente chiamata la sovrapposizione sensoriale:

C’è stato un periodo della mia infanzia in cui, all’improvviso, visualizzavo il corrispondente cromatico dei suoni: un bue muggiva nella stalla di mia nonna? E io vedevo un enorme tappetone bruno-rossastro che fluttuava a mezz’aria davanti a me: si avvicinava, si restringeva, diventava una striscia sottile che andava a infilarsi nel mio orecchio destro. Tre rintocchi del campanile? Ed ecco tre dischi d’argento staccarsi lassù dall’interno della campana, e raggiungere fibrillanti le mie sopracciglia, sparendo all’interno della testa.

Tuttavia il rivelarsi della vocazione, l’imprinting come direbbero gli studiosi del comportamento, avvenne con il circo. Numerose volte, in modi diversi e sempre uguali, Fellini raccontò in scritti o per immagini lo stupore del suo primo ingresso sotto il tendone di un circo e l’incontro fatale con il clown Pierino:

Questa ebbrezza, questa commozione, questa esaltazione, questo immediato sentirmi a casa mia io l’ho provato subito, la prima volta che sono entrato sotto la tenda di un circo; e non era nemmeno l’ora dello spettacolo, con il chiasso della gente che si affolla e la musica che riempiva l’aria di fragore assordante; no, era la mattina presto e sotto il tendone dorato che respirava appena come una gran panciona calda, accogliente, non c’era nessuno. Si sentiva un gran silenzio, incantato, da lontano la voce di una donna che cantava sbattendo i panni e, solo, il nitrito di un cavallo, da qualche parte. Sono rimasto rapìto, sospeso, come un astronauta abbandonato sulla luna che ritrova la sua astronave. E quella sera stessa, quando seduto sulle ginocchia di mio padre, tra le luci abbaglianti, il clangore delle trombe, i ruggiti, le urla, l’uragano sussultante degli applausi, ho visto lo spettacolo, ne sono stato folgorato; come se di colpo avessi conosciuto qualcosa che mi apparteneva da sempre e che era anche il mio futuro, il mio lavoro, la mia vita. I clown aberranti, grotteschi, ciabattoni, straccioni, nella loro totale irrazionalità, nella loro violenza, nei capricci abnormi, mi sono apparsi come gli ambasciatori ubriachi e deliranti di una vocazione senza scampo, un’anticipazione, una profezia: l’annunciazione fatta a Federico.
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Federico nel primo anno di vita. Nato nel gennaio 1920 a Rimini, Federico fu portato per la prima volta a Gambettola nell’estate del 1921 per essere presentato ai nonni e ai parenti rimasti in paese. Trascorse le vacanze estive dai nonni di Gambettola fino al 1925 (qualcuno dice: fino al 1929, quindi fino ai nove anni d’età).

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Federico (a sinistra) e il fratello Riccardo nel giorno della prima comunione.

Le due foto dell’infanzia di Fellini sono tratte dal volume: Ezio Lorenzini: Federico Fellini mio cugino. Dai ricordi di Fernanda Bellagamba (ed. Il Ponte Vecchio, Cesena, 1999). Si ringrazia la Biblioteca Comunale di Gambettola e il suo dirigente Vincenzo Franciosi.

E si ritorna come per incanto alla ‘scena primaria’, l’impronta indelebile nell’inconscio:

Il circo di Pierino, probabilmente piccolissimo, a me parve immenso, un’astronave, una mongolfiera, qualcosa con cui avrei viaggiato. Quando fu l’ora dello spettacolo, ed esplosero attorno a me le trombe, le luci, gli applausi, i rulli di tamburo, i lazzi gridati dei clowns, la loro ciabattante buffonesca stracciona ilare irrazionalità, mi sembrò confusamente di essere atteso, che aspettassero me. Mi parve che mi riconoscessero, come i burattini di Mangiafuoco quando dal palcoscenico vedono in fondo al tendone Pinocchio e lo salutano come uno dei loro, chiamandolo per nome, abbracciandolo e ballando insieme tutta la notte. …

Ciò che avvenne in seguito fu la pura conferma di un destino irrevocabile che trova compimento in un rito e un luogo consacrato, il Cinema Fulgor di Rimini. E’ in quella platea, davanti allo schermo illuminato che ha luogo l’avatar, il passaggio dell’anima in una diversa dimensione. La suggestione potente, ben descritta successivamente sia nel film Roma che in Amarcord, che l’artista era solito ricondurre (non a caso) alla madre. Aveva solo due anni, ben prima dunque del famoso Maciste all’inferno che il regista indica come primo titolo della sua carriera di spettatore:

Al cinema mi ci portò la mamma e non per il piacere mio ma per il suo: le era venuta voglia di andare al cinema e mi portò appresso. Non ho idea di quale film si trattasse, mi ricordo una serie di immagini favolose che subito amai. Anche prima che cominciassi a comprendere cosa stavo vedendo sapevo che era qualcosa di meraviglioso.

Dopo i primi dieci anni in cui i film erano ancora muti con accompagnamento musicale in sala, arrivò il sonoro e il regista rievoca con connotazioni inequivocabili la sostanza del suo precoce incantamento che si trasformerà a tempo debito in professione e in mirabile arte:

Da bambino ero solito sentirmi molto eccitato quando aspettavo seduto al Fulgor che il film iniziasse. C’era quella meravigliosa sensazione di anticipazione. In seguito ho avvertito la stessa sensazione ogni volta che mi avviavo verso lo Studio 5 di Cinecittà, solo che si trattava di un sentimento da adulto perché il controllo delle meraviglie che stavano per scaturire era nelle mie mani. È la medesima emozione totale che dà il sesso, un tremito nervoso, un’assoluta concentrazione, un sentimento totalizzante, l’estasi.

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SI’ MI RICORDO / di Salvatore Giannella

Quando scoprii la lettera con cui Fellini diceva “No, grazie” alla laurea honoris causa

Entrai per un’intervista nello studio di Fabio Roversi-Monaco, rettore dal 1985 dell’Università di Bologna, l’ateneo più antico del mondo (l’insegnamento iniziò più di nove secoli fa, a partire dal 1088) e ne uscii con un documento inedito, prezioso per delineare un tratto della personalità di Fellini, che quel professore tirò fuori da un cassetto. Ne feci un foglio sospeso che fu diffuso l’8 giugno 1996 in occasione del varo della Fondazione Fellini a Rimini. La ripropongo qui di seguito. La data, 8 febbraio 1993, indica che Fellini aveva 73 anni: quello stesso anno riceverà a Los Angeles l’Oscar alla carriera, il suo quinto Oscar: i precedenti li aveva avuti per i film La strada (1954), Le notti di Cabiria (1957), Otto e mezzo (1963) e Amarcord (1973), indimenticabile capolavoro sceneggiato da Tonino Guerra. Morirà il 31 ottobre dello stesso anno. (s. gian.)

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Una rara immagine che ritrae Federico Fellini (a destra) con il suo sceneggiatore preferito, il poeta romagnolo Tonino Guerra, durante una pausa di lavoro sul set. Insieme hanno vinto l’Oscar con Amarcord (1973).

Roma, 8/2/93

Gentile Professor Roversi,

sono venuto a conoscenza della sua generosa intenzione di onorarmi con una laurea del glorioso Ateneo di Bologna. È un segno di attenzione al mio lavoro, che mi lusinga e mi onora anche se ancora una volta sono chiamato a fare i conti con un meccanismo psicologico di resistenza su cui non so fare chiarezza, ma che da sempre mi spinge, imbarazzato e colpevole, a rinunciare a questi eventi di festa.

Non riesco a rallegrarmi e a partecipare col prevedibile entusiasmo alle notizie di premiazioni, rimeriti, onorificenze riferiti alla mia persona; nel momento stesso in cui mi vengono attribuiti è come se fossi costretto a riconoscermi, indebitamente, nella loro autorevolezza e ufficialità. E subito sprofondo in un annaspante disagio, uno stato di infelicità da cui d’istinto rifuggo, provo a sottrarmi, e faccio di tutto per evitare le occasioni. Mi consenta la confidenza un po’ disinvolta, ma mi sento come Pinocchio decorato dal Preside e dai Carabinieri per essersi divertito nel paese dei Balocchi; c’è una specie di capovolgimento delle regole in gioco che mi lascia disorientato e scontento. Io spero che Lei, caro Professore, perdonerà questa sincerità con la quale si è soliti rivolgersi piuttosto a un amico, come io del resto non posso non considerarla, avendo Lei promosso questa iniziativa prestigiosa per onorarmi.

Ma proprio in grazia di tale sentimento le chiedo un po’ di complicità, e di credermi se le confesso che nella stessa misura in cui una proposta di laurea della sua celebre e antica Università mi riempie di orgoglio, altrettanto mi raggiunge con quel senso di imbarazzo e inappartenenza che proverei nel fregiarmene. Già in un’altra occasione sono stato costretto, per questi limiti del mio carattere, a scontentare alcuni amici entusiasti che avevano deciso di dottorarmi alla Università di Urbino, e a deludere con la mia rinuncia il Professor Carlo Bo, che ebbe a rimbrottarmene con affettuosa e intelligente bonomia.

Mi creda, è più forte di me. Sarei indotto a forzarmi in un ruolo, un comportamento, un atteggiamento mentale che non mi appartengono e che finirei per vivere con autentico malessere. Mi auguro soltanto che una persona della Sua dottrina riesca a capirmi – se non a condividermi – più di quanto io possa sperare. E a non equivocare questo mio atteggiamento per snobismo o superficialità, o peggio supponenza, oppure ingenerosità nei confronti del mio stesso lavoro, come se non volessi attribuirgli l’importanza che gli altri mostrano di riconoscermi. Al contrario, proprio perché sono grato al mio lavoro, mi sento già assolto, e forse già premiato, dall’aver fatto i miei film perché mi sono divertito a farli; e magari di continuare, con un po’ di fortuna e con la complicità e l’amicizia delle persone che come lei mostrano di apprezzarli con tanta generosità.

Questo non deve dispiacerle, gentile professor Roversi, perché lo scambio di grazia e gentilezza che doveva avvenire fra noi in conseguenza del Suo gesto è già avvenuto, io sono già Suo debitore come lo sono dell’intero consiglio di Ateneo che con Lei ha voluto condividere l’intento.

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Federico Fellini

A PROPOSITO / VSD IN ROMAGNA

Consigli d’autore per una sosta ideale a Gambettola e nella confinante Longiano

 

La visita a Gambettola è l’occasione anche per vivere un venerdì, sabato e domenica (VSD) in quel paese che ha dato anche i natali al sindacalista Luciano Lama dove una meta imperdibile è l’antica stamperia Fratelli Pascucci, fondata nel 1826, famosa in tutto il mondo per la stampa a ruggine delle tele (la storia è ricostruita su Giannella Channel a questo link).

Ma Gambettola era anche la fattoria della nonna Francesca, anzi Franzscheina, “l’azdora con la faccia bruciata dal sole come Toro Seduto” (Angelucci) dove il futuro regista ha trascorso le estati più felici della sua infanzia in compagnia dei nonni Luigi e Francesca Lombardini. Purtroppo la casa Fellini, in sostanza, è a pezzi da 20 anni. Sta per crollare. Si deve al generoso impegno di un’associazione di volontari (la cooperativa Idea, con Giorgio Foschi e Daniele Brandolini) se almeno viene tagliata l’erba attorno alla casa.

Tanti i progetti presentati in questi anni a Gambettola: un museo felliniano, un circolo culturale, la casa dove accogliere le storie e le immagini dell’infanzia dei grandi (questa è mia, Ndr), una trattoria… L’ex sindaco Daniele Zoffoli (in carica dal 1995 al 2004) lanciò l’idea del recupero con un tempio dei sapori al piano terra e al piano superiore un museo dedicato alla figura del grande regista, una specie di “amarcord felliniano”. L’idea sembrava interessante. La stessa Francesca Fabbri, nipote del grande Fellini e custode attiva della sua memoria, disse: “Sarebbe bello farla diventare il luogo dell’Amarcord dei sapori di Romagna, una specie di osteria-trattoria dove gustare sia i frutti dimenticati che i semplici piatti della cucina romagnola quasi abbandonati”.

Tante belle idee, rimaste senza un seguito. La casa Fellini è ancora lì, in piedi per poco, bollata burocraticamente come “casa pericolante”. Pare proprio non avere futuro. A meno di uno scatto auspicabile da parte di una Romagna che a quell’uomo deve gran parte della sua fortuna e identità. (maggiori informazioni a questo link).


Ecco alcuni consigli d’autore per mettersi a tavola a Gambettola e nella confinante Longiano (appena da noi presentato in un VSD nella Romagna nostra) e sentirsi parte di una terra, per scoprire le luci della notte e il chiarore dell’alba. Fermarsi un po’, prima di ripartire.

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Il Municipio di Gambettola.

Informazioni utili:

  • Info su Gambettola: biblioteca@comune.gambettola.fc.it (tel. Vincenzo Franciosi, tel. 0547.45338)
  • Info su Longiano: Ufficio turistico di Longiano, tel. 0547.665484;
  • Info sulla Romagna: Apt Servizi dell’Emilia Romagna: sito online aptservizi.com, per avere un quadro completo dei cento turismi possibili nella regione.

Mangiare e dormire bene a Gambettola


Il mosaico dei cento turismi

in natura e di cultura

a Gambettola e Longiano

Turismi in natura

  • 06b agriturismoAgriturismo
  • 04b campi scuolaEntomologia, campi scuola, vacanze per imparare, biblioteche
  • 07b escursioni biciclettaEscursioni in bicicletta, mountain bike, piste ciclabili
  • 05b picnic scoutismo vacanze scolastiche familiariPicnic, scoutismo, vacanze scolastiche e famigliari
  • 08b turismo equestreTurismo equestre
  • 09b trekkingTrekking a piedi, sentieri natura, passeggiate nel verde

Turismi di cultura

  • 20b-itinerari-archeologici Archeologia (specialisti), itinerari archeologici (turisti)
  • 24b-artigianato Artigianato e collezioni
  • 25b concerti musica teatroConcerti, musica, teatro, feste, balletto, danze, festival, eventi di costume, folklore
  • 21b itinerari gastronomiciItinerari gastronomici
  • 19b-musei-e-beni-storici Musei e beni storici, architettura, monumenti, castelli
  • 22b turismo religiosoTurismo religioso (luoghi sacri, convegni, monasteri, cattedrali)
  • visite-borghi-abbandonatiVisite a paesi fantasma, borghi abbandonati
  • 26b strade romanticheStrade romantiche

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