Una fotografia immaginaria a proposito dei fondi europei persi dalla Sicilia, dal Sud e dall’Italia tutta, che è uno dei temi chiave fin dal primo giorno di vita di questo blog, simboleggiato dall’orologio con il conto alla rovescia dei giorni che mancano alla scadenza dei bandi emanati da Bruxelles. Venerdì 11 settembre, ore 9,30, Camera dei deputati, è il Sud all’ordine del giorno (mentre a Napoli si svolgono i funerali di Gennaro Casarano, 17 anni, ucciso da camorristi). Deputati presenti: 11. Undici su 630. Nel giorno del Meridione il Parlamento risponde con il deserto, lasciato vuoto persino dai suoi eletti meridionali e dalla quasi totalità dei deputati interpellanti.
Leggo sul Fatto quotidiano di sabato 12 un testo chiarificatore di Tommaso Rodano di cui riporto due brani:
Il primo:
Si inizia con un documento firmato da 50 deputati della minoranza Pd per conoscere le intenzioni del premier Renzi su una serie di questioni irrisolte che riguardano il tanto evocato rilancio del Mezzogiorno. Temi di importanza non secondaria: ci sono 10 miliardi di fondi europei per i quali non è stata ancora trovata una destinazione (e che a fine anno, se non dovessero essere impiegati, saranno restituiti a Bruxelles). C’è un’Agenzia per la coesione territoriale, istituita nel 2013, che ancora non può funzionare correttamente perché non ha approvato i regolamenti; e poi c’è un ministero cancellato nel passaggio da Letta a Renzi (quello appunto per la Coesione territoriale) del quale però sono scomparse anche le deleghe: le aveva il sottosegretario di Palazzo Chigi, Graziano Del Rio; al suo successore Claudio De Vincenti non sono state riattribuite. Tutto questo è stato detto nell’interpellanza dei deputati della minoranza Pd. Peccato che ad ascoltare non ci fosse praticamente nessuno: sei onorevoli dem (Roberto Speranza, Luisa Bossa, Sergio Boccadutri, Paolo Beni, Anna Giacobbe, Paolo Coppola), tre del M5S (tra cui Luigi Di Maio e Roberto Fico), uno a testa di Forza Italia e Scelta Civica.
Il secondo brano:
Il documento presentato dalla Bossa inchioda Renzi alle promesse non mantenute sul Sud: ‘Il presidente del Consiglio dei ministri, sin dal suo insediamento, ha ripetutamente dichiarato che fa parte degli indirizzi prioritari del governo accrescere rapidamente la capacità di spesa dei fondi europei’. E invece, ‘a sette mesi (l’ultimo dato risale a maggio, ndr; ma su Giannella Channel l’avevamo anticipato a novembre 2014) dalla scadenza fissata dall’Unione europea per la certificazione dei fondi europei del vecchio ciclo del vecchio ciclo 2007-2013, risultano non ancora spesi 12,3 miliardi di euro, pari al 26,4% della dotazione complessiva di cui circa 10 miliardi di euro nelle regioni del Mezzogiorno’. La replica, a nome del governo spetta al sottosegretario De Vincenti, che riconosce i ritardi (dovuti a ‘inerzie amministrative’) ma corregge la cifra (‘9,4 miliardi a giugno’).
Se non c’è una sterzata, è una facile profezia: un Parlamento assente, un governo “amministrativamente inerte”, e il Sud affonda. •
(via mail)
L’immagine di un’aula parlamentare vuota, come quella che accompagna il testo di Giannella Channel, è certamente desolante, purtroppo non è la prima né credo sarà l’ultima volta che accade.
Certo l’aula vuota di Montecitorio fa apparire piuttosto velleitario lo sforzo di quanti insistono nel richiamare la necessità di convincerci tutti che “conviene” a tutta l’Italia risolvere l’antica questione meridionale.
Detto questo, va però richiamata una circostanza. Insisto nel dire che dopo l’improvvisa drammatizzazione del tema, indotta dalle anticipazioni dell’ultimo rapporto Svimez (link a contributo video), sembra che siamo condannati a rivedere lo stesso film che abbiamo visto più volte negli ultimi sessant’anni, al massimo con qualche tentativo di remake: drammatizzazione, richiami a sfondo etico alla solidarietà nazionale, accuse reciproche tra Nord e Sud, impegni di trasferimento di risorse finanziarie, peraltro usando copioni un po’ scontati.
Non una nuova idea, non un’ipotesi programmatica innovativa, non una strategia politica propriamente detta e, soprattutto, non la discontinuità necessaria nella definizione delle gerarchie. Il Sud non cambia con un po’ di tasse in meno e un po’ di crediti di imposta in più. Il Sud può cambiare in un processo lungo e difficile (altro aspetto che la politica ufficiale non vuole riconoscere) solo se si capovolge finalmente il paradigma: investire nel capitale sociale, che è la condizione dello sviluppo. Non il capitale sociale “invece” dello sviluppo economico, ma il capitale sociale come premessa irrinunciabile della crescita.
L’offerta politica tradizionale è lontana anni luce dal degrado delle periferie urbane, dall’infanzia negata, dalla diserzione in massa dalla scuola, dal rafforzarsi delle comunità negative. Discontinuità nelle politiche. Anzi, finalmente, una politica.