“Carissimo pubblico, finalmente siamo qui insieme”: è stato salutato da una standing ovation il maestro Pappano all’Auditorium di Roma lunedì 26 aprile 2021 per il primo concerto in presenza (con il giusto distanziamento e con mascherine dei presenti) dedicato alla Croce Rossa Italiana ed eseguito dall’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia. E a noi riaffiora il brano biografico che dedicammo all’allora più giovane direttore d’orchestra angloitaliano che dal 2023 diventerà direttore principale della London Simphony Orchestra, restando direttore emerito dell’Orchestra romana.
Farete fatica a trovare sulla carta geografica Castelfranco in Miscano. È un paese di mille anime, in provincia di Benevento, famoso da queste parti della Campania per gli speciali sapori del suo caciocavallo. Qui, ogni anno, arriva uno dei maggiori direttori d’orchestra del pianeta: Sir Antonio Pappano, detto Tony, direttore musicale dell’Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma e del Covent Garden Royal Opera House di Londra. Direte voi: che c’entra un grande maestro con un piccolo paese? Il segreto è nel titolo della manifestazione organizzata dal Comune e arrivata quest’anno alla XIV edizione: “I remember – Memorial Pasquale Pappano”. Quel Pasquale Pappano è stato un “maestro di bel canto”, padre appunto di Tony. E questo spiega la calata di Tony, che di passaporti ne ha tre (italiano, inglese e americano) ma che resta indissolubilmente legato alla terra dei suoi avi. Antonio Pappano, in questa serata di musica, guida l’orchestra del Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento, facendo vibrare piazza Michele Del Vecchio, le strade e i vicoli immergendoli in un’atmosfera quasi magica.
Il Memorial Pasquale Pappano accende i riflettori su un piccolo ma ambizioso e determinato paese sannita che, in occasione dell’evento, diventa ormai a ogni estate culla di musica e cultura, senza sfigurare con più noti centri di esperienze artistiche dell’Italia. Ma noi abbiamo voluto accendere i riflettori sulla figura del padre di Tony Pappano. Ci ha aiutato, per raggiungere questo obiettivo, Pietro Acquafredda, noto critico musicale e direttore del bimestrale Music@, al quale mi lega un’infanzia in comune nel Tavoliere pugliese, autore di un’avvincente biografia del maestro italo-anglo-americano: Tony Pappano. Direttore d’orchestra, Edizioni Skira. Ecco come Pappano jr. racconta suo padre Pasquale.
Io sono nato ad Epping, nella contea di Essex, il 30 dicembre 1959. I miei genitori lavoravano presso una ricca famiglia: mia madre cuoca, mio padre, butler, cameriere. Sono arrivati lì senza sapere una sola parola d’inglese; hanno lavorato duro; naturalmente io sono nato in ospedale, ma la mia famiglia risiedeva nella tenuta padronale.
Successivamente ottennero un appartamentino a Londra. La cosa andò così. Una coppia di maltesi che i miei avevano conosciuto non so come, riuscirono a inserire il nome di mio padre in una lista di aspiranti alle case ‘popolari’ di proprietà pubblica. (Dopo la guerra un ricco filantropo americano, Peabody, aveva destinato dei fondi per far costruire a Londra case per i più bisognosi). Così lasciammo la casa di Epping, dove siamo stati per i primi tempi, e ci trasferimmo a Londra, in Old Pye Street.
Io e mio fratello andavamo a scuola a Victoria. Quando poi i miei riuscirono a comprare la prima casa, a Clapham, Londra, sulla sponda opposta del Tamigi, per 7.500 sterline, ci spostammo nuovamente.
Mio padre ha sempre avuto una ‘doppia’ vita lavorativa. Lavorava di sera, come maestro di canto: dalle quattro del pomeriggio fin verso le nove, affittava un piccolo studio nel centro di Londra e lì insegnava canto. Non poteva farlo nell’appartamentino dove abitavamo, era troppo piccolo, e i condomini non glielo consentivano. Quando, sui dieci anni, divenni abbastanza bravo al pianoforte, andavo da lui nello studio e lo aiutavo, accompagnando i cantanti.
Due lavori
Mio padre di giorno faceva il cuoco, credo in un ospedale: era abbastanza bravo in cucina; egli imparò a cucinare negli anni di studio a Milano; ha continuato a farlo anche quando ci siamo trasferiti in America, nel 1973; ha sempre fatto due lavori. Quando veniva in Italia, a studiare con Campogalliani, per pagarsi le lezioni, lavorava in un ristorante. Ci fu un periodo in cui la sua permanenza a Milano si prolungò di molto. Quando avevo cinque anni, ricordo che io e mio fratello vivemmo per un anno con i nonni a Castelfranco in Miscano (Benevento); e quel periodo dovette coincidere con una lunga permanenza di mio padre a Mantova, mentre mia madre era rimasta a lavorare a Londra.
In casa c’era un pianoforte; alle elementari, c’era una lezione settimanale di musica, ci insegnavano le note e a mettere le mani sulla tastiera. A sei anni e mezzo ho cominciato a studiare pianoforte, non con grande trasporto; devo confessarlo, al pianoforte preferivo il pallone. Sono però sempre vissuto in un ambiente musicale, attorniato da dischi e in compagnia dei cantanti che andavano e venivano da mio padre. Non ero un genio quando ero ragazzo, e neppure un bambino prodigio; ma poco a poco cominciai a diventare sempre più bravo al pianoforte; studiavo con due maestri, una signora che si chiamava Elaine Korman ed era la moglie di Robert Keyes, un celebre maestro sostituto al Covent Garden, dal quale, invece, prendeva lezioni mio padre; Keyes era bravissimo, avrebbe potuto fare anche il concertista, ogni tanto anch’io studiavo con lui. Le sue mani ancora oggi sono famose al Covent Garden. Strana la vita: studio da ragazzo con un pianista del Covent Garden e dopo molti anni io divento il ‘boss’ del grande teatro. E allora la mia vita si è affacciata all’ambiente dell’opera. Col pianoforte mi sono perfezionato più tardi, quando siamo andati negli Stati Uniti.
Partimmo il 30 giugno 1973, a seguito della morte prematura di una mia sorellina. Quella tragedia costrinse i miei a fare le valigie per mettersi di nuovo in viaggio. Lì ho cominciato a studiare con Norma Verrilli, una maestra di origini italiane: suo padre era di Castelfranco, la madre, invece, di Bovino (Foggia). La sua famiglia, a Bridgeport, aveva un negozio di pianoforti; ancora lei mi ha introdotto un giorno da Arnold Franchetti, il figlio di Alberto Franchetti che abitava a un’ora da Bridgeport, e lì ho cominciato a studiare anche composizione; avevo 17 anni, qualche anno dopo che la mia famiglia si era definitivamente stabilita nel Connecticut. Negli anni in cui sono vissuto a Bridgeport, dai 13 ai 21 anni circa, ero molto occupato con la musica: suonavo l’organo in chiesa, il pianoforte in un ristorante; con altri strumentisti facevo recital; accompagnavo cantanti, suonavo per un coro, continuavo a lavorare con mio padre.
Catena di montaggio musicale
Ricordo che avevamo due studi attigui, cominciava lui con gli esercizi e dopo, gli studenti passavano da me per ripassare il repertorio, mentre lui attaccava con un altro. Si cominciava verso le 13; io lo raggiungevo appena terminati gli impegni di studio e andavo avanti fino a sera; la nostra era una catena di montaggio a ritmo continuo, un business. In quegli anni mi spostavo da un luogo all’altro, sempre di corsa: mai un attimo di riposo, facevo di tutto; ho imparato a leggere a prima vista qualunque cosa; questo mi ha aiutato molto in seguito.
Sebbene avessi cominciato a lavorare con mio padre a Londra, già a undici anni, la cosa divenne stabile e regolare a quindici-sedici, in America.
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