Segnatevi sull’agenda la data di venerdì 30 ottobre, ore 18,30. Nella Galleria 28, in quella romana Piazza di Pietra che Antonioni amava e frequentava (qui, tra l’altro, aveva girato alcune scene del film L’eclisse) nel cuore di Roma, è previsto il vernissage di apertura della mostra Michelangelo Antonioni Pittore, curata da Enrica Fico, moglie di quel geniale regista famoso in tutto il mondo, e da Francesca Anfosso, direttrice della galleria. Si tratta della prima volta in cui le opere pittoriche di Antonioni vengono esposte (fino al 29 febbraio 2016) in una Galleria d’arte. Solo alcuni di questi dipinti furono in mostra per un mese, nel 2006, proprio nel Tempio di Adriano a Piazza di Pietra. In esposizione troverete quaranta opere (undici le presentiamo nella gallery sotto il testo), tutte acrilico su tela o su cartoncino telato, di natura astratta e di diverse dimensioni: sono un’esplosione di colori e di forme, di suggestioni e di stili; colorate e gioiose, ci svelano un Antonioni inatteso. Raccontano l’ultima fase della vita del regista, quella in cui si è dedicato con passione ed entusiasmo a un’arte diversa da quella (“pittore dello schermo”, Wim Wenders) che lo aveva portato ai massimi livelli di prestigio internazionale. Un’arte diversa che viene illuminata dalle suggestive parole della moglie Enrica nel testo che segue, che ci ha consegnato nella splendida casa di campagna La Castellina a Bovara, nel cuore verde dell’Umbria. (s.g.)
Certo che è un pittore. Michelangelo ha sempre dipinto, ha sempre guardato come un pittore. Ha guardato i colori, colto le sfumature, la bellezza dei paesaggi e dei volti, dei muri e della luce rarefatta, si è soffermato a gioire dell’armonia degli alberi fioriti o delle dune del deserto, ha ammirato l’estro nelle tele dei più grandi artisti; ma quello che ha guardato più di tutto è stato l’uomo che guarda, che dispone, che medita, come è scritto in una lettera di Giorgio Morandi a lui indirizzata. Per questo credo sia diventato regista, perché la curiosità di scoprire i sentimenti era più forte di tutto.
Scavare nell’animo. Questo è stato il suo compito, scavare nell’animo umano, a costo di incontrare una grande sofferenza. L’impegno che ha messo nel cinema è stato lo stesso che ha messo nella vita. Ha seguito una caparbia volontà di voler capire, di voler capire tutto.
E io credo che alla fine ci sia arrivato a capire tutto. Avvolto nel suo morbido scialle color rosso fuoco, alla sua tarda età, il suo sguardo sapeva andare molto lontano e sapeva adagiarsi gentile sui colori delle sue ultime tele, finalmente libero, libero di giocare nella forma e nello spazio, nel colore puro o composto sapientemente, nella condizione che lo rendeva felice, quella astratta.
Dipingere per lui era una gran gioia. I momenti dedicati alla pittura sembravano liberi dal tormento che il cinema poteva dargli, insieme alla soddisfazione di saper fare il mestiere che amava di più, ma che lo metteva sempre alla prova.
In viaggio verso la morte immerso nella bellezza. Nei suoi ultimi anni, dal 2001, ha deciso di dedicare alla pittura tutto il tempo che gli rimaneva. Era al suo tavolo di lavoro tutto il giorno e tutti i giorni, assorbito nel colore, nella forma, nel silenzio, nella quiete del suo respiro. L’eleganza dei suoi gesti era disarmante, come sempre. La sua casa, la nostra casa si è riempita di colori e di improvvisa giovinezza. Invece di invecchiare sembrava affrontare il viaggio verso la morte immerso nella bellezza, quando dipingeva l’aria intorno a lui diventava leggera e sembrava che tutto quello che aveva imparato, osservato, letto, capito, si potesse disporre in un rosso, in un verde, nell’accostamento di molti colori, a volte mischiati e cercati per ore. Lui che stava perdendo la vista si è lasciato riempire le pupille di luce colorata e ha raffinato sempre di più il suo sguardo, per riuscire a vedere meglio quasi come con un senso superiore.
Come quando una volta siamo usciti dal Prado, dopo essere stati giorni davanti a Velasquez, mi ha detto: “Ora vedo in modo completamente diverso”.
Per capirlo, bisogna andare a Ferrara. La pittura che ha guardato lo ha sempre influenzato. La bellezza e l’eleganza lo hanno strutturato, cominciando dalla sua città, Ferrara. Per capire veramente Antonioni bisogna andare a Ferrara, la notte, con la nebbia o al tramonto per gustare il colore caldo dei muri di cotto sempre coperti da un velo di grigio. Nelle piazze di Ferrara si trova la pittura che ha voluto ricreare nei suoi fotogrammi. Le piazze vuote, il deserto dei sentimenti, il rumore dei passi di camminate solitarie, percorsi vuoti all’interno di sé stessi. Il De Chirico che si rivela a Ferrara era anche appeso alle pareti della sua casa romana, insieme a Morandi, a Bacon, a Balla, Feininger, Baumeister. Una discreta collezione.
Il bianco e nero dei suoi film era costruito per essere infinitamente ricco di sfumature, composto da centinaia di grigi. Una fotografia pastosa che rendeva i volti di pelle di pesca, gli abiti fruscianti nelle loro pieghe. Aveva il gusto di una ricerca della fotografia nitida, quasi come la percezione dell’occhio, studiata con i più grandi maestri, quelli che hanno insegnato a tutti. Con loro, Gianni di Venanzo, Enzo Serafin, Michelangelo ha conosciuto le scale dei grigi e la ricchezza della luce.
Allontanarsi dalla nebbia. Poi è venuto il momento di cedere al colore, di allontanarsi dalla nebbia, anzi di raccontarla con un occhio più distaccato. Si doveva preparare a raccontare le percezioni della sua natura più adulta, quella dell’uomo che sa stare nel deserto, o solo in una stanza deserta, di un uomo che non vuole appartenere a nessuna città, a nessun paese, per poter raccontare lucidamente di ogni cosa che vede.
Con Il deserto rosso si è veramente affermato pittore. Ha letteralmente dipinto i suoi set, i fotogrammi sono diventati tele. I colori esprimono i sentimenti, ancora di più della posizione della macchina da presa. L’angoscia è grigia, l’amore è rosa. Sembra così semplice, ma è grigia anche la faccia di chi vende la frutta su un carretto anch’esso grigio, in una strada tutta grigia. Poi negli interni, col pretesto di raccontare le impressioni di un personaggio psicopatico, si concede a dipingere le pareti nella ricerca dei blu, dei viola, i verdi. Esprime la sua voglia di essere pittore. Come Rothko che aveva visitato nel suo studio a New York nel 1962, per l’uscita de L’Eclisse.
Raramente Michelangelo riconosceva una grandezza negli artisti suoi contemporanei, invece considerava i quadri di Rothko superbi. Gli scriveva del quadro N.19, esposto alla mostra di Roma nel 1962: “Quest’opera è di una purezza e di una forza fenomenali, c’è tutto l’acciaio di New York nel colore del quadrato superiore, così isolato dal fondo scuro: ti dà il panico, un panico cosmico. Questa è l’angoscia dipinta. Straordinario”.
E ancora, in un’altra lettera: “Caro Rothko, io e lei facciamo lo stesso mestiere: lei dipinge e io filmo il niente”.
È stato quel dipingere il niente che lo rendeva felice. Solo immerso nel colore ha creato superfici che potevano parlare il suo linguaggio, di nuovo trovare un’armonia, un canto senza parole. •
Enrica Fico Antonioni (Cavi di Lavagna, Genova, 1954) è attrice e regista. Figlia del partigiano Eraldo Fico, “Virgola” nella brigata Coduri (una sua foto in questo video), è stata moglie di Michelangelo Antonioni, che aveva conosciuto nel 1972 e sposato nel 1986 a Roma: lui aveva 74 anni, lei 34. Qui, su Giannella Channel, il link al suo ricordo per i 100 anni di Michelangelo.
Michelangelo Antonioni (Ferrara, 1912 – Roma, 2007) è stato uno dei più importanti registi italiani. Tra i suoi principali film ci sono quelli della trilogia composta da L’avventura (1959), La notte (1960) e L’eclisse (1962). Deserto Rosso, del 1964, vinse il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia, e Blow-Up vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Gli altri suoi film più celebri sono Zabriskie Point, del 1970, e Professione: Reporter, del 1975, con Jack Nicholson. Nel 1985 Antonioni fui colpito da un ictus, che gli fece perdere la parola e lo paralizzò parzialmente: dieci anni dopo, nel 1995, girò Al di là delle nuvole, il suo primo lungometraggio dopo la malattia, con il regista tedesco Wim Wenders. Nello stesso anno vinse il premio Oscar per la carriera.
INFORMAZIONI UTILI
MICHELANGELO ANTONIONI PITTORE
- Dove: Galleria 28 in Piazza di Pietra 28 – Roma
- Apertura mostra: venerdì 30 ottobre 2015, ore 18:30.
- Chiusura: 29 febbraio 2016.
- Orari: lunedì-sabato: h. 11-13; 16-20 e su appuntamento. Lunedì mattina chiuso.
- eMail: info@28piazzadipietra.com
- tel: 06 94539281; 338 6107860
Per tutta la durata della mostra sono previsti, in Galleria e in Piazza di Pietra, eventi e presentazioni, collegabili alla vita e alle opere di Antonioni.
(via mail)
La lontananza dalla galleria d’arte di Roma dove sono esposte le opere di Antonioni mi impedisce di andare di persona ad ammirare uno dei lati della poliedrica personalità di quel grande italiano da esportazione. Ma non voglio far mancare un piccolo contributo per arricchire il patrimonio di conoscenze su lui e sul grande amico e compagno di creazioni: Tonino Guerra. Il poeta e sceneggiatore romagnolo un giorno ha dedicato ad Antonioni, in ricordo di un viaggio fatto insieme nell’Uzbekistan, una delle sue più belle poesie. Eccola:
Una nebbia chiara chiara
(via mail)
I lavori di Antonioni mi hanno fatto affiorare alla mente una sorprendente mostra incontrata tre anni fa a Forlì, nel centenario della nascita del maestro, dedicata da una brava artista romagnola, Miria Malandri, a scene da film riprese nei suoi quadri…
Ho visto anch’io quella esposizione, oggi itinerante (l’ultima tappa è stata Argenta, vicino alla Ferrara di Antonioni) in cui la Malandri “ferma” sapientemente sulla tela i fotogrammi delle pellicole di Antonioni e di altri registi che più hanno saputo emozionarla. Di quella mostra forlivese (The eyes of Michelangelo Antonioni) trovo traccia su Internet nel sito dell’artista, con numerose immagini che meritano di essere viste dai naviganti in Giannella Channel. Eccole a questo link.