I primi viaggi
Come iscritti all’Azione cattolica facevamo sport, andavamo a piedi nella vicina Sant’Agata Feltria, facendo pazzesche partite di calcio e godendoci tramonti indimenticabili dalla collina di Petrella Guidi, la frazione di Sant’Agata oggi accuratamente restaurata, da cui inizia la storia del Rico e della Zaira, raccontata da Tonino Guerra ne Il viaggio (libro e film). Ma quelle erano trasferte: i Viaggi con la V maiuscola erano quelli che facevo insieme a mia madre Flora per andare al mare a Rimini, viaggi pieni di sorprese che ti coglievano alla vista del mare senza confini e dell’arte che identificavo nel Tempio malatestiano. E che ti facevano dire, al ritorno a casa: “Mamma, vorrei tornare”.
I bagni d’estate
I nostri bagni nel periodo più caldo li facevamo nel torrente Messa, laddove le briglie trattenevano l’acqua e permettevano la formazione di fresche piscine e cascate. Andavamo a nuotare al Bottaccio, nell’invaso del mulino Donati, sotto Pennabilli. Lì imparavamo a nuotare senza avere nessuno che ti insegnava, come immaginerete era molto attraente ma anche pericoloso, anche perché i proprietari del Bottaccio aprivano la saracinesca e c’era il rischio del risucchio. Per un paio d’anni ci avevano fatto compagnia, noi maschietti, anche le donne, poi loro si sono ritirate e non le abbiamo più viste.
Campione di fuochi
Io sono stato sempre un vincitore nell’organizzare i fuochi d’inverno. I falò erano fatti nella piazza di Pennabilli in onore di san Giuseppe e io attiravo molte ragazzine senza seno. La credenza popolare indicava che san Giuseppe era un falegname che passava con la pialla appiattendo il seno e che, grazie ai fuochi in suo onore, il santo faceva crescere questa parte importante della femminilità. Certo, c’erano altri giovani che accendevano i falò ma i miei fasci di legna, siepi e rami duravano all’infinito e per questo loro, una volta spentisi i loro fuochi, venivano ad ammirare e a riscaldarsi attorno ai miei roghi.
Gli angoli preferiti della valle
La mia giovinezza è stato un continuo vagabondare nella Valmarecchia, questa striscia di acqua e di montagne insinuata tra la Romagna e il Montefeltro marchigiano, con in più un pizzico di Toscana. La valle è tracciata dal fiume Marecchia e percorsa dalla strada statale 258 Marecchiese. Per la maggior parte del suo territorio appartiene geograficamente e amministrativamente all’ Emilia Romagna. Ha origine però in Toscana, dall’Alpe della Luna al Fumaiolo (1.407 metri) e Monte della Zucca (1.263 metri) e, prima che il fiume sfoci verso Rimini, lambisce l’estremo nord delle Marche, nei comuni spartiacque di Montecopiolo, Sassofeltrio e Monte Grimano Terme. Nel bacino del Marecchia ricade anche gran parte del territorio di San Marino con il maestoso massiccio del Titano (739 metri). Lungo il fiume si trovano moltissime località di pregio, le maggiori delle quali sono Badia Tedalda, Pennabilli, Novafeltria, San Leo, Torriana, Verucchio, Santarcangelo di Romagna e Rimini, cui si aggiungono paesi e frazioni dai nomi legati alle tipicità dei luoghi che sorgevano lungo il fiume: Ponte Presale, Ponte Messa, Molino di Bascio, Ponte Santa Maria Maddalena, Ponte Verucchio, San Martino dei Mulini. Una valle che ha ispirato storici dell’arte (Antonio Paolucci, l’ex ministro dei beni Culturali e direttore degli Uffizi fiorentini prima e dei Musei Vaticani poi, l’ha definita la “valle più bella d’Italia”) e ovviamente poeti come Tonino Guerra:
Il pomeriggio sto seduto a guardare /
la valle e la montagna in fondo /
con tutti i campi che sembrano stracci /
ad asciugare al sole e ogni tanto le strisce /
rosse dei papaveri, dei mucchietti di case /
come dei nidi di rondine appoggiati a terra. /
E la gente piegata a lavorare /
piccola come la polvere e io seduto /
con tutta sta roba dentro gli occhi
In mezzo a “tutta sta roba”, io privilegiavo da ragazzo due minuscole realtà territoriali: Petrella Guidi e Monte Vecchio, sopra il ponte di Casteldelci. Non erano da meno anche piccole realtà come il convento di Maciano con, di fronte, Libiano che per me è sempre stata una cartolina attraente per la sua forza estetica e culturale. Questi posti oggi li vedo travolti dalla tristezza, perché sono vuoti. Non c’è più traccia di vita, Libiano è distrutta, fatiscente. La chiesa io e mio fratello maggiore Fernando conoscevamo bene era bella, anche se ce n’erano di più belle nei dintorni. Aveva dentro scintille di antiquariato: i quadri, i tavoli, la cosa più bella era la biblioteca dove c’erano, abbandonati, incunaboli del Quattrocento.
Alle radici di una passione: l’antiquariato
Il mio amore per le cose antiche nasce nei viaggi che intraprendo negli anni Sessanta e viaggiavo con Mario Lucarini e Pino Zucchi, con destinazione Toscana. Andavamo ad Arezzo e vedevamo il gruppo bellissimo degli sbandieratori. Andavo a Rimini e mi incantavo nel Duomo oppure dove c’è l’asilo svizzero con l’anfiteatro vecchio di Rimini che hanno cominciato a valorizzare adesso. Nasce da lì il mio amore pere l’antiquariato, un amore culturale basato sulla voglia di scavare nel passato, nella storia.
Così mi sono affezionato a scavare nel Medioevo e nell’epoca romana: di questo periodo storico ho trovato anche tracce e materiale e anche del periodo postromano, quello dell’impero d’Occidente, con Ravenna e i suoi scrigni d’arte, di ori e mosaici: tesori che mi ha fatto apprezzare l’antiquario Teodoro Onofri.
Nasce così il mio amore per la Bellezza, in particolare delle cose del passato, e questa mia passione ha portato a creare nel 1970 la Mostra internazionale dell’antiquariato, che ogni anno in estate porta a Pennabilli antiquari e collezionisti di tutto il mondo.
A PROPOSITO/ di Salvatore Giannella
Quando la Valle
sedusse il poeta
Visitando la Valmarecchia ho capito perché Tonino Guerra, stanco di Roma (“Non c’era nulla di ostile, mi mancavano i profumi della memoria”), con negli occhi le sconfinate pianure della steppa russa, le montagne del Caucaso, le cupole blu di Samarcanda e Buhara, i grattacieli di Manhattan, le piazze di Roma e di Parigi, ha infine scelto, nel lontano 1989, di approdare in questa valle, a gettare provocazioni continue sulle spalle di sindaci e assessori (alle prese con bilanci sempre più impoveriti e marciapiedi e fognature) che faticavano a contenere la sua geniale vitalità.
In questi numerosi borghi ideali anche per il ministero dei Beni culturali, uniti dalla strada Marecchiese, giri tra le case e ti imbatti in sculture, fontane o parole incise in minuscole lapidi (come quella dedicata alla signorina Lucrezia e alla sua “vita senza nozze” o le altre ispirate a una pedagogia dell’anima: “Spesso l’orizzonte è alle nostre spalle”) dove sono annotati frasi e pensieri che sono più utili delle targhe stradali: poco importa l’oggetto, perché quello che lui fa è trasformare in poesia tutto ciò che tocca. In quel lontano ’89 Tonino scrisse sul suo diario:
C’è chi avanza l’ipotesi che le città e i territori abbiano un genere letterario loro proprio, così come le parole usate per descriverle.
L’anima di una terra sta nelle parole che i suoi grandi spiriti riescono a trasmettere. Per questo vi invito a un viaggio nel mondo di Tonino Guerra conosciuto grazie alla guida di Gianni Giannini, un universo magico che lui chiama “I luoghi dell’anima”. Ci piacerebbe che, dopo aver familiarizzato con le pagine di questo testo, poteste anche voi dichiarare quanto confessato al poeta inglese Wilfred Owen da un giovane marinaio, incontrato in treno nel 1915: “Leggere un libro, signore, mi spinge al largo”. Sarebbe bello che anche voi, grazie alle immagini e alle parole di queste gocce di vite, foste spinti un po’ più al largo nel mare di terra sulle rive del Marecchia. O, per dirla con l’augurio di Tonino, che
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Pennabilli e dintorni
Uno sguardo alle terre amate da Gianni Giannini
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