La fine del 1939, con l’invasione della Germania nazista della Polonia, illumina l’Europa di luce livida del terremoto imminente: la Seconda guerra mondiale. Anche sulla Romagna incombe un’aria di catastrofe, per nulla mitigata dagli alberi in fiore, dalle siepi odorose e dai filari che furono del Pascoli e di Spallicci, dalla melodia che sale dalle cascatelle d’acqua dei torrenti che si buttano nel Marecchia e dai borghi sospesi fuori dal tempo per la magica atmosfera che avvolge le sue piccole case timide che chissà quante storie dal Medioevo al terzo millennio potrebbero ancora raccontare.
Per dirla con le parole poetiche postume di Tonino Guerra, che nel ’43, a 23 anni, conoscerà il dramma dell’internamento in un campo di concentramento nazista a Troisdorf in Germania:
Le ruote dei carri
si sono fermate,
alla sera le pipe di cotto
si sono spente
durante la veglia nei pagliai,
i muri sono vecchi
le crepe scendono
come i fulmini.
Il chiodo della meridiana
è cascato.
Gianni Giannini, classe 1936, vive intanto un’infanzia serena a Pennabilli, a un’ora d’auto nell’entroterra di Rimini e di Santarcangelo, “originaria patria dell’antica e nobilissima Casa dei Malatesti… dall’aria assai grata e salubre” (fonte: “La Carpegna abbellita”).
A cinque e sei anni ricordo i giochi, i canti e le scalate al Roccione, la montagna nel cuore di Pennabilli, dove ci arrampicavamo come scoiattoli per andare a gustare i fichi e altri frutti che maturavano lassù (e anche per dare fastidio ai maschietti che portavano lì le amichette e si rannicchiavano nei nascondigli naturali per scambiarsi tenerezze). Nella piccola scuola, che era così piccina da non permettere per esempio il gioco del nascondiglio, ci divertivamo a fare la scherma con i bastoni. Era il nostro gioco favorito quasi che inconsapevolmente si esorcizzasse la paura della guerra che stava infiammando l’Europa. Io cantavo tanto e bene. Avevo l’orecchio allenato dai canti a squarciagola di mamma Flora che, mentre stendeva o raccoglieva il bucato, riempiva l’aria primaverile delle canzoni che ascoltava alla radio (la sua preferità sarà, anni dopo, Vola colomba, che vincerà il Festival di Sanremo 1952 nell’interpretazione di Nilla Pizzi)…
E ricordo l’invidia per il mio amico Bubù che sapeva infondere forza creativa nel costruire e fare le cose, come i pupazzi. Ho ancora vivo il ricordo di un Pinocchio fatto a molla di legno, con la testa e le gambe legate da un elastico e io che gli giravo la testa da tutte le parti. Un’emozione pari solo a quella che ti provoca il pupazzo a molla gigante incontrato nell’estate 2018 nella mostra milanese su Harry Potter, quel pupazzo visto nella lezione sul Molliccio tenuta dal professor Lupin in Harry Potter e il prigioniero di Azkahan.
Arrivò poi un inverno tra i più duri: conoscemmo il nevone, una grande nevicata che fece chiudere le scuole, gelò le case e bloccò tutte le famiglie (quattro giorni senza uscire di casa con il fuoco spento nel camino,) e le poche auto che animavano le strade di Pennabilli: le quattroruote le potevi contare sulle dita delle mani, due erano in dotazione ai carabinieri, una era di proprietà di mio zio Celestino Venturi, maestro spauracchio degli scolari, una del medico condotto Mariano Caroni e un’altra di chi badava alla salute degli animali, il veterinario Manlio Lucarini. L’ultima l’aveva il vescovo di San Marino e Montefeltro, che risiedeva, come i suoi successori, nel palazzo episcopale di Pennabilli: si chiamava Vittorio De Zanche, veniva da Padova, e rimase da noi nove anni, dal ’40 al ‘49.
La guerra fece presto sentire la sua lugubre colonna sonora per tutti, ricchi e poveri, grandi e piccoli, dominati dalla paura del presente, dalla penuria di cibo e dall’incertezza del futuro:
La guerra ci cadde addosso all’improvviso: ero nel mulino di mia nonna quando sentimmo le scariche delle mitragliatrici. Ci siamo scansati sotto una pianta e siamo stati raggiunti dalle schegge dell’albero. Siamo stati a un soffio dalla morte. Poco prima era capitato a un ragazzo di Pennabilli di essere rimasto ferito e ucciso da una bomba. Si chiamava Zeno Murini, un proiettile trovato a terra gli era scoppiato in mano e in faccia. E’ stata la prima volta che ho capito che cosa significa morire.
Io e mio fratello più grande, Fernando, che era seminarista, siamo sfollati dapprima a Scavolino e poi a San Marino. Lì ci raggiungevano notizie tragiche del passaggio del ‘mostro bellico’ e della Linea Gotica nel Montefeltro, con i nazisti che, in ritirata verso Nord, minavano e facevano saltare i ponti sul Marecchia e affluenti per ostacolare l’avanzata degli Alleati.
Erano tempi brutti di delazioni, spiate, denunce e tradimenti. Erano tempi di rappresaglie, esecuzioni e stragi.
Sulle uccisioni di Balducci e della Longhi, abbiamo più in basso la ricostruzione più dettagliata dell’ex sindaco di Pennabilli, l’avvocato Lorenzo Valenti. Alla fine della guerra, le aule della scuola di Pennabilli si ritrovano con le finestre senza vetri:
Nel dopoguerra, con l’avanzare degli anni e degli ormoni, Gianni e i suoi amici erano incuriositi dall’universo femminile, esperienze comuni a tantissimi coetanei. Nel paese nascono le prime contese e le prime simpatie, i primi amori:
A PROPOSITO/ Un ricordo dell’ex sindaco Lorenzo Valenti
“Quella Virginia scherza con il fuoco. Fucilatela!”
Quando i militi fascisti della Tagliamento uccisero per futili motivi a Pennabilli la giovane fidanzata di un partigiano
Tra i tragici fatti dell’estate 1944 a Pennabilli, i più feroci sono state le fucilazioni di Virginia Longhi e Antonio Balducci avvenute a opera della formazione fascista Camilluccia fusa nel marzo ’44 nella Legione Tagliamento.
Questa Legione, come indicano le carte processuali del dopoguerra, era composta “da individui giovanissimi, storditi dalle loro conoscenze da un presunto e propagandato amor di patria: disciplina e terrore cui ritenevano non potersi sottrarre e che annullavano la loro volontà e li tramutavano in strumenti ciechi, agli ordini dei capi, per il compimento del delitto”.
Nel giugno ’44 la Legione Tagliamento lasciava il Piemonte per essere inviata nella provincia di Pesaro e Urbino, con sede a Sassocorvaro: qui il comando tedesco, dal quale sempre dipendeva per l’impiego, riteneva di non fidarsi dei legionari e che questo reparto fosse più utile nell’esecuzione di compiti di polizia militare e di repressione antipartigiana.
Fra le crudeli e feroci vicende nella provincia marchigiana, vi è la fucilazione di Antonio Balducci, accusato “di svolgere propaganda anti-tedesca e anti-italiana perché gli furono trovati in tasca alcuni versi in cui erano motteggiati i militi della Camilluccia. Dopo aver rifiutato l’arruolamento per più volte, fu fucilato alle 7,30 del mattino del 14 luglio alla Rupe, sito che domina la piazza di Pennabilli”.
Ma è con l’uccisione di Virginia Longhi che i legionari della Tagliamento compirono una delle peggiori nefandezze.
Virginia era nata a Pennabilli il 9 giugno 1918, figlia di Pasquale e di Assunta Mattei Gentili e al tempo dei fatti aveva 26 anni. Era una ragazza spigliata ed estroversa. Fu arrestata a Pennabilli il 27 luglio 1944.
Dal fascicolo processuale si desume che fu accusata di:
- “aver fatto opera disfattista, di spionaggio e di aver ‘motteggiato la milizia e i suoi componenti: in particolare le testimonianze del tempo si soffermano sul fatto che, avendo udito delle dimissioni del capitano D’Agostini presentate in seguito a un alterco con il console Zuccari, comandante della Tagliamento, Virginia scherzando di fronte a quattro militi, avrebbe detto: ‘È vero che il vostro capitano è fuggito?’. E al silenzio di quelli, avrebbe continuato: ‘Ma allora perché anche voi non fate il fagottino? Non vedete che i vostri superiori scappano e vi lasciano soli?’;
- essere la fidanzata del capitano Enzo Plazotta, già internato politico a Pennabilli, fuggito il 3 febbraio 1944 per raggiungere le bande partigiane”.
Da notare la futilità del movente che causò la fucilazione e la crudeltà con cui venne attuata la sera del 4 agosto da un plotone di esecuzione della Camilluccia, il cui comandante, dopo la scarica dei fucilieri, non ancora soddisfatto della ferocia già attuata, sparò un ulteriore colpo al viso della giovane già deceduta. Dalle ferite non sgorgò una goccia di sangue: prima dell’esecuzione Virginia aveva avuto un collasso cardiaco. I legionari fascisti avevano “quasi certamente fucilato una ragazza già morta”.
Nell’immediato dopoguerra il padre di Virginia, Pasquale Longhi, rieletto sindaco, si rivolse alle autorità giudiziarie per ottenere giustizia per la figlia e per Antonio Balducci. Il Tribunale militare di Firenze, nel 1950, assolse “per insufficienza di prove i militi imputati perché essi hanno agito in stato di necessità”.
Dove non è giunta giustizia, possa almeno arrivare la storia a garantire la memoria e a dare voce, senso e valore a personaggi, soprattutto donne, che permisero di riconquistare la libertà dal nazifascismo.
Dalla stessa collana:
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(via mail)
Buongiorno Salvatore,
ho letto l’interessante seconda puntata della biografia su Gianni Giannini e ho visto anche l’ampio risalto che hai riservato alla locandina dell’incontro sulla Tagliamento che faremo alla Rocca.
Purtroppo, per una momentanea indisponibilità della storica Sonia Residori, la serata è stata cancellata e rinviata a data da stabilire.
(via mail)
Caro Salvatore,
da sempre amo leggere le biografie, perché mi danno l’opportunità di conoscere l’anima delle persone attraverso il racconto della loro vita.
Trovo questa biografia di Gianni Giannini (un nome musicale per le due “gi” iniziali) così fresca, così spontanea, così illuminata di poetica verità, che mi offre un particolare gusto della lettura.
Il racconto scorre con eventi di un passato povero, ma ricco di valori, nonostante il terrore della guerra.
I fatti emergono chiari dal fondo di scene variegate, mentre la natura non cessa di rispondere al proprio ruolo di splendida cornice.
Tanta ammirazione, dunque, all’amico – collaboratore di un grande uomo quale è stato e rimane Tonino Guerra!
Rimango in attesa della prossima puntata e ti saluto con il calore della nostra terra
Grazia
Ho letto la prima parte:”Gianni, raccontaci di quando,…
Gianni Giannini, classe 1936, vive intanto un’infanzia serena a Pennabilli, ….
A cinque e sei anni ricordo i giochi,….(continua)i Avevo l’orecchio allenato dai canti a squarciagola di mamma Flora che, mentre stendeva o raccoglieva il bucato, riempiva l’aria primaverile di Vola colomba…”
Siamo negli anni 1941-42, ma la canzone Vola Colomba non è un brano musicale composto da Bixio Cherubini e da Carlo Concina, vincitore del Festival di Sanremo 1952 nell’interpretazione di Nilla Pizzi? Ben 10 anni dopo che la cantasse mamma Flora?