Gurlitt, un nome che evoca fatti inquietanti, talvolta “rimossi” ma sempre attuali, non solo per chi appartiene al mondo dell’arte e conosce la storia del collezionismo del XX secolo, ma anche per chi visse la tragedia delle persecuzioni naziste contro gli ebrei e (vedi il mio libro Operazione Salvataggio, Chiarelettere e il MAiO, Museo dell’arte in ostaggio, sorto su mia idea a Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, NdR) ancor oggi ne tramanda la memoria.

Lo spunto per rievocare drammi che hanno inciso nella vita di migliaia e migliaia di persone, e capolavori che uscirono dal pennello (o dallo scalpello) dei maestri dell’arte antica e moderna e furono bollati dal marchio di arte degenerata, è scaturito nel maggio scorso a Milano in occasione della conferenza organizzata alle Gallerie d’Italia da Alessia Panella, avvocato specializzato in diritto dell’arte e diritto d’autore.

Il tutto in vista della mostra Fateful Choices: Art from the Gurlitt Trove che si terrà da settembre a Gerusalemme all’Israel Museum, istituzione che, tra le altre finalità, si pone anche la restituzione di opere d’arte agli eredi delle vittime del nazismo. Presenti Ido Bruno, nuovo direttore del museo, Ana Luiza M. Thompson-Flores, responsabile per l’Europa del Reparto Scienza e Cultura dell’Unesco, Manlio Frigo, avvocato, docente, esperto di transazioni internazionali nel settore dell’arte, Davide Blei, presidente di AIMIG.

Alessia Panella ha dichiarato:

La scoperta della Gurlitt Collection, avvenuta solo nel 2013, è illuminante per comprendere la vera portata del problema dell’arte rubata. Spesso non si pensa che durante la Seconda Guerra Mondiale sono state ‘confiscate’ e sottratte alle famiglie ebree milioni di opere d’arte tra il 1935 e il 1944, non solo in Germania ma in tutti i territori occupati, e che solo una minima parte è stata recuperata.
Jan Brueghel il Giovane, Paesaggio fluviale, 1660 ca.

Jan Brueghel il Giovane, Paesaggio fluviale, 1660 ca.

LE OPERE

Sarà Bruno a curare l’esposizione, selezionando un centinaio di opere (delle 1600 totali), fra dipinti, disegni e incisioni più una trentina fra documenti e fotografie, e raccogliendo un’eredità difficile che vede oggi fra i principali attori il Kunstmuseum di Berna (che ha ricevuto il lascito Gurlitt e ha esposto parte della collezione per la prima volta nel 2017), il Governo tedesco (in Germania, in questi ultimi due anni, sono state organizzate mostre della collezione a Bonn e a Berlino ed è stata istituita una task force per indagare su provenienza e attuale collocazione delle opere) e la famiglia Gurlitt, ovvero Cornelius, che fu erede di Hildebrand, il mercante dalla fama di uomo colto quanto ambiguo, coinvolto da Hitler a partire dal ’39 nei sequestri di opere d’arte “degenerata”, in vista della costituzione da parte del Führer di un museo d’arte del Terzo Reich a Linz.

Proveniente da una famiglia di intellettuali (il nonno Louis e la sorella Cornelia furono, fra l’altro, pittori), Hildebrand Gurlitt riassumeva in sé molteplici volti: l’amante dell’arte, il bieco speculatore, il salvatore di opere d’arte che sarebbero state condannate alla distruzione, il finanziatore di famiglie ebraiche che, con la vendita delle loro collezioni, tentavano la fuga dai territori occupati. E fu il figlio Cornelius ‒ presso la cui modesta abitazione, a Monaco, si scoprirono per caso nel novembre 2013 molte delle opere che erano state possedute dal padre, e di cui fu intimata la restituzione ‒ a decidere di destinarle a Berna prima di morire. Oggi ecco tornare alla ribalta i tesori antichi e moderni di Gurlitt: Beham, Cranach, Brueghel, Boucher, Fragonard, Guardi, Delacroix, Corot, Courbet, Boudin, Munch, Beckmann, Dix, Müller, in attesa di ritrovare i legittimi proprietari.

Jean Honoré Fragonard, Il Trionfo di Venere, 1790 ca.

Jean Honoré Fragonard, Il Trionfo di Venere, 1790 ca.

Come è già accaduto tempo fa per il dipinto La Montagne Sainte-Victoire di Cézanne, i cui eredi hanno dovuto dirimere, come è facile immaginare, complesse questioni dovute a differenti (o assenti) legislazioni dei Paesi implicati e a interessi contrapposti. Oggi il dipinto è al Musée Granet di Aix-en-Provence, in Francia. Ogni opera ha una storia, che non riguarda solo l’artista che la creò ma soprattutto chi la possedette, e poi la cedette (o fu obbligato a cederla), e chi la acquistò in seconda o terza battuta, in circostanze più o meno chiare, di privato o di museo si tratti. In barba alla due diligence, che in caso di Stolen Art impone all’atto dell’acquisto la trasparenza sull’origine dell’opera. Conclude Panella:

Determinante la regolamentazione dalla tutela dell’affidamento dell’acquirente a non domino in buona fede. La possibilità dell’accoglimento della domanda di restituzione, infatti, dipende spesso da ciò che prevale nel bilanciamento tra esigenze dell’originario proprietario e affidamento del terzo acquirente in buona fede. Emblematico è il caso della richiesta di restituzione da parte degli Uffizi dell’opera ‘Vaso di Fiori’ di Jan van Huysum [risale a sabato 29 giugno 2019 l’annuncio della conferma della restituzione, N.d.R.], per cui l’attuale direttore Eike Schmidt ha parlato di obbligo morale della Germania alla restituzione, non esistendo quello giuridico.

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Jan Brueghel il Giovane, Paesaggio fluviale, 1660 ca.

Jan Brueghel il Giovane, Paesaggio fluviale, 1660 ca.

Jean Honoré Fragonard, Il Trionfo di Venere, 1790 ca.

Jean Honoré Fragonard, Il Trionfo di Venere, 1790 ca.

Eduard Manet, Eduard Manet, Natura morta con frutta, 1870 ca.

Eduard Manet, Natura morta con frutta, 1870 ca.

Gustave Courbet, Jean Journet, 1850.

Gustave Courbet, Jean Journet, 1850.

Paul Cézanne, La Montagne Sainte Victoire, 1905. A sinistra, Nina Zimmer, direttore del Kunstmuseum di Berna; a destra, Philippe Cézanne, pronipote di Paul Cézanne.

Paul Cézanne, La Montagne Sainte Victoire, 1905. A sinistra, Nina Zimmer, direttore del Kunstmuseum di Berna; a destra, Philippe Cézanne, pronipote di Paul Cézanne.

* Alessandra Quattordio, storica dell’arte e giornalista indipendente, ha esordito a fine Anni Settanta come curatrice dei cataloghi d’arte e fotografia editi dalla Galleria del Levante a Milano. Dopo la laurea in Storia dell’arte all’Università Statale di Milano, inizia a collaborare a riviste e a pubblicazioni del settore. Cura la presentazione di artisti e mostre, attività ancora oggi svolta. Ha insegnato Storia del Gioiello all’Istituto Europeo di Design, all’Istituto Superiore di Architettura e Design (ISAD) e al Politecnico di Milano. È stata a lungo caposervizio presso le Edizioni Condè Nast. In particolare, dal 1999 al 2015 presso AD Architectural Digest, occupandosi di arte, fotografia, design, interior e design del gioiello. Fonte: www.artribune.com

Da “I salvatori dell’arte”: