Era rimasto a bocca aperta il parroco della Chiesa di San Vincenzo, a Modena, quando non ha visto al suo posto la tela del Guercino, quella della Madonna con i santi Giovanni Evangelista e Gregorio Taumaturgo (293×184,5 centimetri del 1639), “un’opera monumentale della prima maturità dell’artista che può valere tra i 5 e i 6 milioni di euro” (parola di Vittorio Sgarbi). La tela, rubata nel 2014, è stata ritrovata dai carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale a febbraio 2017 a Casablanca, in Marocco. Quattro gli arresti, mentre l’opera è sottoposta ora a un restauro, essendo stata danneggiata durante il trasporto da parte dei ladri. La buona notizia ci introduce alla quinta puntata di questo nostro viaggio tra i “Crimini contro il patrimonio culturale”, oggetto della tesi della milanese Camilla Angelino (qui i link alle precedenti puntate).

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La tela del Guercino rubata a Modena nel 2014 e recuperata nel febbraio scorso a Casablanca, in Marocco.

Contemporaneamente al varo del decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004 che introduce il nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, viene creata una Commissione speciale per la restituzione del patrimonio culturale nazionale trafugato all’estero, la cui guida è affidata al mantovano Maurizio Fiorilli, l’avvocato di Stato che dal 1965 rappresenta l’Italia in vari tribunali del mondo. È considerato l’ultimo grande “cacciatore di tesori perduti” e ha riportato a casa tanti capolavori, non più quadri o statue bottino di guerra come ai tempi di Siviero, ma soprattutto tesori archeologici, saccheggiati in anni più recenti. (Nel luglio 2000 un’indagine della Camera dei Comuni di Londra ha valutato che il traffico illecito annuale di antichità e cultura supera i sei miliardi di dollari).

Il problema di fondo fu ben fotografato dallo storico dell’arte Antonio Paolucci, già ministro dei Beni culturali nel 1995-’96 e fino al 2016 direttore dei Musei Vaticani:

Fra gli Anni ’70 e ’80 pochi in Italia e all’estero avevano interesse ad aprire un duro contenzioso sulla parte residua, più controversa e complicata, del patrimonio artistico italiano disperso per cause belliche. La situazione politica internazionale, ancora attraversata dal Muro di Berlino e condizionata dalla logica dei blocchi, rendeva inopportuna, se non impossibile, l’apertura di un negoziato a tutto campo che era facile prevedere minuzioso e contrastato. In sostanza – avrà pensato qualcuno – dal momento che l’Italia aveva già ottenuto indietro, in applicazione del trattato di pace, la parte più ragguardevole del suo patrimonio culturale illecitamente trasferito, non era il caso di turbare gli equilibri e le convenienze internazionali a così tanti anni dalla fine della guerra, con atti di zelo eccessivo per recuperare la quota residua del patrimonio stesso.

Prima di andare in pensione nel 2014 e passare il testimone al collega Lorenzo D’Ascia, in una delle pochissime interviste mai rilasciate Fiorilli ha spiegato con toni aspri il totale disinteresse mostrato dalle autorità politiche nei confronti delle 1.653 opere d’arte elencate nella famosa “lista” di Rodolfo Siviero, tutte inghiottite dalla Germania hitleriana durante la seconda guerra mondiale e con ogni probabilità ancora disseminate in terra tedesca o nell’Europa dell’Est: «Sono in difficoltà a dire queste cose, ma il mio dovere di cittadino me lo impone. I ministri che si sono succeduti alla guida dei Beni Culturali (Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Lorenzo Ornaghi e Massimo Bray) non si sono assolutamente interessati di questi problemi, anzi si sono opposti a tali attività. E il neoministro Dario Franceschini si avvale della collaborazione degli stessi personaggi che affiancavano i precedenti ministri. Il che mi fa essere pessimista sul futuro». Una posizione critica confortata dalle parole di Tomaso Montanari, docente di Storia dell’Arte moderna all’università Federico II di Napoli: «In effetti i politici, ma anche i diplomatici, non hanno alcun interesse a mettere sul tavolo delle relazioni internazionali una questione potenzialmente assai imbarazzante».

Il team guidato dal 2004 da Fiorilli comprende i Carabinieri del Nucleo TPC, diretti all’epoca da quel generale Giovanni Nistri poi chiamato (dal 2013 al dicembre 2015) a salvare Pompei dalla rovina; il segretario generale del MiBACT più tecnici, funzionari, magistrati e un manipolo di esperti, che decidono di dirigere la loro azione principalmente contro i moderni predatori dell’arte, in primo luogo trafficanti d’arte e tombaroli, autori di quella che il giornalista d’inchiesta Fabio Isman ha definito la «Grande Razzia, il maggior saccheggio in un Paese occidentale almeno dai tempi di Napoleone».

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L’avvocato dello stato Maurizio Fiorilli.

Sul quotidiano londinese The Telegraph del 10 agosto 2008 il giornalista Alastair Smart ha battezzato the Uncompromising State Attorney (“l’inflessibile avvocato dello Stato”) Maurizio Fiorilli con il nomignolo di Scourge of the Tomb Raiders, ovvero “flagello dei predatori di tombe”. E ha aggiunto:

I media lo hanno soprannominato Bulldog per il suo particolare modo di servirsi della diplomazia culturale: una volta, dopo aver siglato uno spinoso accordo fra governi, ha insistito per viaggiare coi pezzi recuperati, dal museo all’aeroporto, finché non li ha visti salire sul volo per l’Italia.

Tutte le azioni della Commissione presieduta da Fiorilli sono ispirate ai princìpi della Convenzione UNESCO concernente le misure da prendere per vietare e impedire ogni illecita importazione, esportazione e trasferimento di beni culturali, approvata a Parigi il 14 novembre 1970, il primo strumento internazionale dedicato alla lotta al traffico illecito di beni culturali in tempo di pace¹Successivamente integrata dalla Convenzione sulla tutela del patrimonio culturale subacqueo (Parigi 2001) contro le azioni di pirateria. Ad oggi la Convenzione dell’UNESCO del 1970 è stata ratificata da 125 Stati, tra i quali l’Italia con la legge n. 873 del 30 ottobre 1975, poi entrata in vigore il 2 gennaio 1979..

La Convenzione riconosce che «i beni culturali sono uno degli elementi fondamentali della civilizzazione e della cultura dei popoli e che assumono il loro valore reale solo se sono conosciuti con la più grande precisione la loro origine, la loro storia e il loro ambiente», e che ogni cultura ha una sua dignità e un valore che debbono essere rispettati e salvaguardati. Afferma inoltre che ciascuno Stato ha il dovere di proteggere il patrimonio costituito dai beni culturali esistenti sul proprio territorio contro i pericoli di furto, di scavi clandestini ed esportazioni illecite e che è indispensabile che ciascuno Stato prenda maggiormente coscienza degli obblighi morali inerenti al rispetto del proprio patrimonio culturale nonché di quello di tutte le nazioni²Dall’intervento di Maurizio Fiorilli, il 14 giugno 2013, alla III Sessione del 1° Simposio Internazionale sulla Diplomazia Culturale, dal titolo Legalità, principi etici, collaborazione internazionale: l’azione e le proposte dell’Italia per contrastare il traffico illecito di opere d’arte, promossa a Roma, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, dalla Società Dante Alighieri con l’Institute for Cultural Diplomacy di Berlino e l’Associazione Priorità Cultura..

Per la Commissione l’anno d’esordio sul campo è stato il 2004 quando a Roma si apre un maxi processo contro i trafficanti d’arte e i profanatori di tombe (Secondo Fiorilli «l’80 per cento degli oggetti etruschi o romani sul mercato ha provenienza clandestina»). Lo Stato pretende la riparazione del danno subito dai predoni che hanno violato sarcofagi e sepolcri degli Etruschi o in Magna Grecia, rompendo in frammenti anche opere rimaste integre per millenni e rendendo perciò impossibile ogni ricerca scientifica. E arricchendo il mercato nero in mano alla malavita organizzata che porta illegalmente all’estero i capolavori archeologici attraverso la fitta rete del commercio clandestino. Fiorilli e i suoi studiano migliaia di reperti: per vincere devono ricostruire la storia di ogni oggetto e dimostrare che è stato sottratto proprio nella Penisola e non a Cipro, in Grecia o Turchia.

Un bene archeologico sottratto clandestinamente nel nostro Paese quasi mai è rivenduto in Italia, ma nel 99 per cento dei casi viene trafugato oltreconfine. Al contrario, fece scalpore quando la Guardia di Finanza scoprì che perfino Maria Callas aveva in casa tre pannelli di un sarcofago di Paestum del IV secolo a.C.; dalla villa del marito Giovanni Battista Meneghini finiscono in Svizzera e in Francia quando lei gli preferisce Onassis e, dopo una “caccia” di parecchi anni, vengono ritrovati a Roma, ancora imballati, nel 2003.

Ha spiegato Paolo Giorgio Ferri, che da sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Roma ha condotto le indagini sui traffici illeciti di beni culturali e svolto le funzioni di pubblico ministero:

Esiste una rete per il traffico di beni culturali: il bene rubato all’estero è commercializzato anche in Italia e quello rubato da noi viene inviato all’estero. Il nostro Paese funge da transito per molte opere che provengono dal Sud America o, per esempio, di monete antiche in arrivo dalla Bulgaria. A Verona c’era e c’è un fiorente mercato numismatico, nel quale sono state sequestrate diverse monete d’illecita provenienza.
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Il Getty Museum è un museo statunitense d’arte situato a Los Angeles. Attualmente è ospitato in due sedi: l’arte antica alla Getty Villa di Malibù (vecchia sede del museo) e il resto al Getty Center, su una collina di Los Angeles, aperto il 16 dicembre 1997. Nel 2007 Maurizio Fiorilli ha convinto il museo californiano a restituirci 39 opere scavate in Italia, tra cui una ceramica di 2.300 anni fa che raffigura il Ratto d’Europa.

È quindi scontato che l’azione della Commissione si rivolga fuori dai confini nazionali, prendendo di mira i più importanti musei, soprattutto americani, disposti a pagare milioni di dollari le testimonianze del passato, senza curarsi della loro provenienza. La prima grande operazione portata a termine dal team di Fiorilli risale al 1° agosto 2007: dopo estenuanti trattative più volte sulla soglia della rottura, il capo della Commissione riesce a convincere il Paul Getty Museum californiano (che quello stesso anno ha riaperto la “Villa pompeiana” a Malibu dopo dieci anni di lavori e una spesa di 225 milioni di euro) a restituirci 39 opere scavate in Italia, tra cui una ceramica di 2.300 anni fa che raffigura il Ratto d’Europa. Trovata negli anni Settanta nella campagna di Benevento è un manufatto di inestimabile valore venduto a un antiquario svizzero per un maiale e un milione di lire e poi comprato nel 1981 dal Getty Museum per 380 mila dollari. Ai fini assicurativi (e non certo di mercato) il valore delle 39 opere è di oltre 300 milioni di euro: si va dai 25 milioni dell’Afrodite di Morgantina ai 20 della lekanis; ai 15 del kantharos del Pittore della Fonderia e di Eufronio, e altrettanti per la Statua di Apollo con grifone, un’anfora pontica del Pittore di Tityos, e una Tyche in marmo; ai 10 del trapezophoros.

Ha spiegato Fiorilli in un’intervista a L’Espresso nel 2014:

I nostri successi sono stati sempre di squadra e rappresentano il risultato di un paziente e sapiente lavoro di ‘diplomazia culturale’. È stata una sfida di dossier, contro-dossier, rapporti, analisi, descrizioni, lunghi carteggi al vetriolo con acquirenti che negavano ogni responsabilità e complicati incontri vis-à-vis per convincere collezionisti e istituzioni museali a restituire il maltolto. I direttori delle collezioni fanno sempre un discorso di proprietà: ‘È mio – ripetono – è provato, guardi quanto l’ho pagato’. Noi facciamo invece un discorso di cultura.

La complicata trattativa con il Getty³ va avanti per anni, supportata dal ministero dei Beni Culturali.Hanno scritto i giornalisti d'inchiesta J. Felch e R. Frammolino sul Los Angeles Times del 25 settembre 2005: «Una revisione interna del museo di Malibu indica la provenienza quantomeno equivoca di oltre la metà tra i suoi capolavori, per essere esatti 54 dei 104 reputati tali. Inoltre, ben 350 reperti dei suoi 4.400 derivano dai mercanti». Ma non è finita: i beni di cui l’Italia rivendica la restituzione da parte di quel museo sono ancora 260, tra cui l’Atleta di Fano, un bronzo attribuito a Lisippo acquistato nel 1977 per poco meno di quattro milioni di dollari. Anche il visitatissimo Metropolitan di New York espone reperti di tal genere (per alcuni è già stato raggiunto un accordo). E così il museo di Cleveland, e quello di Princeton e di Saint Louis, mentre il Museum of Fine Arts di Boston ha avviato la restituzione di tredici ceramiche di eccezionale qualità. Anche le raccolte d’arte antica di Kyoto e Tokyo presentano pezzi scavati dai tombaroli italiani e così lo Staatliche Antikensammiungen, cioè il Museo delle Antichità di Monaco di Baviera e il Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen⁴Con il Ny Carlsberg Glyptotek il 5 luglio 2016 il MiBACT ha concluso un accordo di cooperazione culturale di ampio respiro che comprende la restituzione all’Italia (entro il 2017) di una serie di reperti archeologici che hanno fatto parte della collezione di antichità del museo danese sin dagli anni '70 del Novecento. Tra loro anche il prezioso carro da battaglia sabino del principe di Eretum, con decorazioni dorate..

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La scultura bronzea conosciuta come l’Atleta di Fano o Atleta vittorioso attribuita a Lisippo, risale al IV/ II secolo a.C. e farebbe parte di un gruppo scultoreo-celebrativo di alcuni atleti vittoriosi posto in un santuario greco-panellenico come a Delfi o Olimpia. Dagli anni ’70 proprietà del Paul Getty Museum, venne ripescato casualmente nelle acque del Mare Adriatico nell’agosto del 1964 dal peschereccio fanese ‘Ferruccio Ferri’ di proprietà del capitano Romeo Pirani. Il bronzo è più volte scomparso e riapparso sul mercato illegale delle opere d’arte, fino ad approdare, al prezzo di 3 milioni e 900 mila dollari, fra i beni del Museo Getty, che lo espose per la prima volta nel 1977.

Per arrivare a formulare capi di imputazione e al recupero di reperti trafugati c’è voluto un lavoro attento di coordinamento fra magistratura, esperti, carabinieri e avvocatura. È un lavoro lungo e faticoso. Bisogna metterla sul piano etico, convincere i musei stranieri che i reperti fanno parte della storia di un Paese, mentre lo scavo clandestino e l’esportazione illecita li decontestualizza, rendendoli una cosa morta

ha spiegato Fiorilli al quotidiano romano Il Tempo il 5 marzo 2015.

Purtroppo molti processi, ancora aperti, cadono sotto la mannaia della legge ex Cirielli⁵, che ha ridotto i tempi di prescrizione anche per questo tipo di reati.Come Legge “Ex Cirielli” (dal nome del suo primo firmatario, Edmondo Cirielli, che dopo le modifiche apportate in Parlamento, la sconfessò e votò contro, chiedendo che non venisse più chiamata con il suo nome) è conosciuta la legge del 5 dicembre 2005, n. 251 “Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione” (pubblicata in G.U. n. 285 del 07/12/2005, ed entrata in vigore l’ 08/12/2005). Tra i vari ambiti, è intervenuta in particolare sulla disciplina della prescrizione, modificando l’art. 157 c.p. che prevede da allora un tempo di prescrizione del reato pari in genere al massimo della pena edittale prevista. In ogni caso sono previsti termini prescrizionali minimi di 6 anni in caso di delitto, 4 anni in caso di contravvenzione e 3 anni nel caso di reato attribuito alla cognizione del Giudice di Pace. I margini di manovra, insomma, sembrano assai limitati. A meno che non si insista sul fattore etico, magari rafforzato da una denuncia al giudice americano perché verifichi eventuali violazioni delle leggi federali. Le somme spese per l’acquisto di opere d’arte in America sono, infatti, detassate. E se si dovesse scoprire che il favore fiscale riguarda beni importati illegalmente, a quel punto il museo si troverebbe in una posizione quantomeno imbarazzante.

Comunque, qualcosa si sta muovendo anche oltreoceano. Per esempio, il Museum of Fine Arts (MFA) di Boston è stato il primo e finora unico negli Stati Uniti a dotarsi di un curatore di provenienza, figura creata nel 2010 grazie a una donazione di Monica S. Sadler (e la benefattrice ha stabilito che questa posizione non dovrà mai essere tagliata dal bilancio del museo). L’incarico è stato affidato a Victoria Reed, storica dell’arte specializzata in opere medievali e rinascimentali, che lavora su base continuativa con tutti gli altri curatori per far luce sull’origine e l’eventuale provenienza illecita dei 450 mila oggetti d’arte della celebre collezione nel Massachusetts. Alla ricerca delle opere con storie discutibili presenti sia nella raccolta, sia nella “lista della spesa” del museo.

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La storica dell’arte Victoria Reed è la curatrice di provenienza del Museum of Fine Arts di Boston.

L’indagine sulla provenienza di un bene culturale, si legge nel sito del museo, «è fondamentale anche per motivi legali ed etici. Lo studio della storia di un oggetto può scoprire catene spezzate di proprietà a causa di furti o saccheggi commessi nel passato. Le lacune sulla provenienza di un’opera d’arte sono normali ma, se il MFA certifica la prova di un furto o di altre operazioni illegali, cerca di rimediare alle “perdite” pregresse: il museo ha già risolto un numero di richieste di proprietà per vari pezzi della collezione». Sempre secondo i vertici del Museum of Fine Arts, il curatore di provenienza «segue i più elevati standard di pratica professionale nelle ricerche sull’origine e la storia della proprietà delle opere d’arte. E, se l’investigazione dimostra che l’opera è stata rubata, confiscata o è il frutto di appropriazione indebita senza successiva restituzione, il MFA contatta i potenziali ricorrenti, cercando di risolvere la questione in modo equo, appropriato e reciprocamente accettabile».

Il pungolo etico può trovare una sponda anche nella giurisprudenza statunitense. Nel 2003 i giudici americani hanno pronunciato una sentenza di condanna contro il commerciante d’arte Frederick Schultz, colpevole di aver acquistato tremila antichità egiziane pur sapendole rubate. E, nel caso del Getty Museum, la curatrice Marion True, responsabile per le antichità dal 1986 al 2006, si presume avesse tale consapevolezza, tant’è che è stata rinviata a giudizio dalla magistratura italiana e processata con Robert Emanuel Hecht, il più colto e dandy dei mercanti internazionali. Per entrambi l’iter giudiziario si è concluso con la prescrizione: nel 2010 per la True e nel 2012 per Hecht, già espulso dall’Italia negli Anni ’70 e residente a Parigi, dov’è morto proprio nel 2012 a 92 anni. Il terzo coimputato del maxiprocesso romano è Giacomo Medici, classe 1938, mercante d’arte a cui le autorità svizzere hanno sequestrato nel 1995 nel porto franco di Ginevra un deposito di opere rubate. Medici è stato condannato a dieci anni in primo grado, pena ridotta a otto anni dalla Corte d’Appello di Roma e confermata in Cassazione nel maggio 2012: otto anni di reclusione ai domiciliari più dieci milioni di euro da versare allo Stato italiano come provvisionale per i danni recati al patrimonio storico e artistico, oltre alla confisca dei quattromila oggetti sequestrati a Ginevra.

Ha scritto Fabio Isman nel suo libro del 2009 I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia:

Oltre a Medici, solo qualche “tombarolo” o predatore di basso o medio rango, è stato finora condannato a pene di solito lievi, o addirittura a semplici contravvenzioni. Poi, però, non le ha generalmente scontate, per la sospensione condizionale della pena, o grazie al recente indulto. Oltre il 15 per cento dei carcerati sono in cella per droga; ma nessuno degli infiniti ‘tombaroli & dintorni’, dei loro accoliti dediti ai trasporti, i restauratori compiacenti, gli intermediari, i più o meno grandi mercanti internazionali, contrabbandieri, riciclatori e ricettatori, acquirenti più che disinvolti, vede il sole a scacchi. (…) Le stesse “pene edittali”, quelle che i Codici permettono di irrogare, sono terribilmente basse. Per uno scavo clandestino il magistrato non può nemmeno disporre la cattura; per un paio di jeans rubati in un supermercato, invece sì.

Nel 2002 Frederick Schultz, proprietario della Ancient Art Gallery sulla 57th St. di New York e fino a due anni prima presidente della potente Associazione Nazionale dei Commercianti di Arte Antica, era stato condannato a 33 mesi di carcere sulla base del caso McClain di fine anni ’70, che riguardava antichità messicane. Un giudizio importante, perché in qualche modo riconosce le leggi dei Paesi da cui i reperti derivano, almeno per la proprietà di quelli scoperti e scavati. Il pool di Fiorilli che ha trattato con il Getty Museum ha richiamato la sentenza Schultz, ricordando che la finalità del governo di Roma è stroncare il traffico clandestino e far sì che l’Italia possa valorizzare il proprio patrimonio, concetto da noi sancito per legge, ma non altrettanto negli Stati Uniti. E la valorizzazione mal si sposa con tutto quanto sta dietro il possesso da parte di musei stranieri di beni sospetti. Perché seppure i musei impediscono la dispersione dei reperti (anche di quelli rubati) mettendoli a disposizione della collettività, questo avviene alimentando lo scavo clandestino, l’esportazione illegittima, la violazione delle norme doganali. «Non si tratta di un motivo economico», hanno sottolineatogli esperti italiani ai funzionari del Getty. Per gli americani, invece, conta anche questo: ovvero 20 milioni di dollari perduti, sborsati a suo tempo per comprare le quaranta opere restituite.

Il dramma di questi processi penali sono i tempi infiniti. Ha spiegato nel 2015 l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia:

Purtroppo gli altri Paesi che dovevano fare rogatorie internazionali non hanno rispettato la Convenzione UNESCO del 1970 e – soprattutto negli anni passati – non hanno collaborato, fornendo gli elementi per arrivare il più velocemente possibile a una pronuncia. Comunque di tutte queste operazioni ci sono rimaste preziose documentazioni, fascicoli, oggetti recuperati e altri dei quali abbiamo traccia solo in immagini. Dove sono finiti? Sono stati venduti, esportati clandestinamente, si trovano in musei americani ed europei. È nell’intendimento dell’Avvocatura dello Stato far partire una iniziativa a tappeto per recuperarli.

Nel gennaio 2014 l’Italia ha minacciato l’Inghilterra di avviare un’azione legale se non le fosse stato restituito il tesoro confiscato a un ex antiquario londinese, Robin Symes, finito in bancarotta e accusato di traffico illecito di antichità. Il caso riguarda 700 reperti etruschi in mano alla ditta dell’antiquario ora in liquidazione. Tra le opere, teste di marmo, un bronzo di Alessandro il Grande, altre statuette in bronzo, una grande statua di terracotta di una dea seduta con una colomba e un melograno. Secondo Isman, «nei suoi 33 magazzini tra Londra, New York e la Svizzera, Symes deteneva 17 mila oggetti d’arte, per sei decimi scavati di frodo in Italia e poi esportati senza permessi».

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Una statua parte della collezione, ritrovata a Ginevra, attribuita all’antiquario Robin Symes.

Come ha raccontato D’Ascia sempre nel 2015,

la società di Symes è fallita, lui è svanito nel nulla e ora i britannici fanno finta di non aver mai letto il dettagliato dossier inviato da Fiorilli che dimostra la sicura origine italiana delle 700 opere (vasi, bronzi e sculture) scovate nei suoi magazzini londinesi nell’ottobre 2007. Dal 2007 al 2015 i liquidatori di Symes non hanno mai detto che questi 700 pezzi non sono nostri, limitandosi a rispondere che dovevano approfondirne l’origine. Bisognerebbe intentare una causa in Inghilterra ma costerebbe un milione di euro. Perciò abbiamo preferito un’azione giudiziaria risarcitoria in Italia, al Tribunale Civile di Roma, per depauperamento del nostro patrimonio nazionale, chiedendo un miliardo di euro, il valore stimato di quei 700 pezzi. E da poco i liquidatori di Symes hanno dato segni di distensione…

Maurizio Fiorilli era riuscito a firmare anche un’intesa con Sotheby’s: la storica casa d’aste si era impegnata a segnalare alle autorità italiane tutti gli oggetti “a rischio” che spuntavano nel suo catalogo. Ma all’ultima richiesta di informazioni non ha ricevuto alcuna risposta da Roma. E l’accordo è saltato.

Molti Paesi non hanno aderito alla Convenzione UNESCO per convenienza. Spesso da loro la legislazione di accompagnamento è molto deficitaria, come accade per esempio in Giappone, Svizzera o nella stessa America. Agire in sede civile sulla base della legislazione di attuazione della normativa internazionale di tutela risulta a volte dispendioso, visti i costi proibitivi delle cause civili (per esempio in Inghilterra, un avvocato chiede 600 sterline l’ora e l’onorario è dovuto anche per una semplice telefonata). Perciò è sempre più spesso intrapresa la strada del contenzioso penale perché a costo quasi zero e con una procedura davanti al giudice del Paese d’origine, in una struttura più domestica rispetto al processo celebrato all’estero, i cui tempi sono notevoli e con differenti orientamenti giuridici. Tanti Paesi abbandonano l’azione di rivendica del bene, perché gli costa di più che trovarne un altro di uguale o di maggior valore culturale, per esempio con una campagna di scavi (oppure lo acquistano). Ma simili prassi finiscono per legittimare ciò che è frutto di un atto illecito.

Negli Stati Uniti sovente il procuratore non procede penalmente ma con processi di confisca a contenuto civile spesso vittoriosi in quanto il soggetto rinuncia al bene piuttosto che sottoporsi a un’azione che lo vedrebbe esposto a un controllo di tutti i propri affari. Questa operazione ha dei vantaggi, perché consente il recupero più agevole del bene, ma anche svantaggi in quanto, senza un intervento penale, il delinquente continua ad agire nello stesso modo e per lui la restituzione diventa un costo insito nel suo traffico illecito.

In dieci anni l’agguerrita squadra di esperti guidata da Fiorilli ha riportato in Italia oltre duecento capolavori, quanti ne basterebbero per riempire un paio di prestigiosi musei.

Scrive Fabio Isman:

anche se troppo poco è stato sinora restituito, l’incessante azione dei magistrati e dei Carabinieri ha però posto termine, in buona misura, alla Grande Razzia. Chiuso il lucroso terminale rappresentato dai grandi musei, e interrotta la catena dei predatori con la scoperta dei maggiori mercanti, lo stesso fenomeno dei tombaroli è rientrato entro confini più limitati. Quelli, da sempre, abituali; in un ambito, per così dire, abbastanza “fisiologico”.

E la Commissione? Già nel giugno del 2014 Salvatore Giannella le pronosticava «un futuro poco luminoso. Anzi, se ne teme lo smantellamento, nonostante i pur faticosi successi di “diplomazia culturale”». E infatti, dopo solo quattro mesi, ecco l’amara conferma da parte del magistrato Paolo Giorgio Ferri: «La Commissione, purtroppo, adesso non opera più».

Dopo anni di contenziosi l’avvocato di Stato Maurizio Fiorilli è riuscito a stringere accordi e a tenere rapporti amichevoli con le istituzioni americane. «Ma ormai la sua stagione è al tramonto. E non solo perché lui va in pensione. Nonostante i risultati importanti, la squadra è stata trasformata, gli uomini cambiati, è finito il lavoro di gruppo. Ha vinto la burocrazia e, di fatto, l’obiettivo di riportare in Italia i capolavori trafugati non è più considerato strategico». Sul perché Fiorilli nutre un sospetto, raccontato a L’Espresso:

Avevamo avuto troppo successo. E troppo alto è il valore delle opere saccheggiate… Quando si arriva a pagare un vaso un milione di dollari la corruzione è in agguato.

5. Continua. Link alle puntate precedenti.

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* Fonte: condensato dalla tesi di laurea della milanese Camilla Angelino, 27 anni, dal titolo Crimini contro il patrimonio culturale: analisi empirica e strategie investigative, discussa alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano il 18 ottobre 2016, relatore il professor Gabrio Forti, correlatrice la dottoressa Arianna Visconti. I capitoli della tesi: 1) Il patrimonio culturale: definizione e quadro normativo; 2) Analisi criminologica, con statistiche criminali, il “mercato grigio dell’arte” e i protagonisti del fenomeno; 3) Le indagini e il ruolo del Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, un modello tutto italiano, e la Commissione Fiorilli per il recupero delle opere d’arte fino all’istituzione dei Caschi Blu della Cultura; 4) Conclusioni e bibliografia.
  1. Successivamente integrata dalla Convenzione sulla tutela del patrimonio culturale subacqueo (Parigi 2001) contro le azioni di pirateria. Ad oggi la Convenzione dell’UNESCO del 1970 è stata ratificata da 125 Stati, tra i quali l’Italia con la legge n. 873 del 30 ottobre 1975, poi entrata in vigore il 2 gennaio 1979.
  2. Dall’intervento di Maurizio Fiorilli, il 14 giugno 2013, alla III Sessione del 1° Simposio Internazionale sulla Diplomazia Culturale, dal titolo Legalità, principi etici, collaborazione internazionale: l’azione e le proposte dell’Italia per contrastare il traffico illecito di opere d’arte, promossa a Roma, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, dalla Società Dante Alighieri con l’Institute for Cultural Diplomacy di Berlino e l’Associazione Priorità Cultura.
  3. Hanno scritto i giornalisti d’inchiesta J. Felch e R. Frammolino sul Los Angeles Times del 25 settembre 2005: «Una revisione interna del museo di Malibu indica la provenienza quantomeno equivoca di oltre la metà tra i suoi capolavori, per essere esatti 54 dei 104 reputati tali. Inoltre, ben 350 reperti dei suoi 4.400 derivano dai mercanti».
  4. Con il Ny Carlsberg Glyptotek il 5 luglio 2016 il MiBACT ha concluso un accordo di cooperazione culturale di ampio respiro che comprende la restituzione all’Italia (entro il 2017) di una serie di reperti archeologici che hanno fatto parte della collezione di antichità del museo danese sin dagli anni ’70 del Novecento. Tra loro anche il prezioso carro da battaglia sabino del principe di Eretum, con decorazioni dorate.
  5. Come Legge “Ex Cirielli” (dal nome del suo primo firmatario, Edmondo Cirielli, che dopo le modifiche apportate in Parlamento, la sconfessò e votò contro, chiedendo che non venisse più chiamata con il suo nome) è conosciuta la legge del 5 dicembre 2005, n. 251 “Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione” (pubblicata in G.U. n. 285 del 07/12/2005, ed entrata in vigore l’ 08/12/2005). Tra i vari ambiti, è intervenuta in particolare sulla disciplina della prescrizione, modificando l’art. 157 c.p. che prevede da allora un tempo di prescrizione del reato pari in genere al massimo della pena edittale prevista. In ogni caso sono previsti termini prescrizionali minimi di 6 anni in caso di delitto, 4 anni in caso di contravvenzione e 3 anni nel caso di reato attribuito alla cognizione del Giudice di Pace.

Da “I salvatori dell’arte”: