Il mio viaggio parte da un torrione del XVII secolo a Cassina de’ Pecchi, sul Naviglio Martesana a est di Milano, sede dal 2015 del MAIO, Museo dell’Arte in Ostaggio e delle Grafiche visionarie. Al secondo piano un suggestivo percorso conduce attraverso una riproduzione della “lista” delle 1.651 opere d’arte (divise per regione) trafugate e oggi “prigioniere di guerra”, con ogni probabilità ancora disseminate per la Germania, l’Austria e l’Europa dell’Est, stilata nel dopoguerra dallo storico dell’arte toscano Rodolfo Siviero (ex agente della polizia segreta fascista, poi ministro plenipotenziario nel dopoguerra per volere di Benedetto Croce), il cui lavoro di ricerca e recupero di opere d’arte rubate nel secondo conflitto mondiale gli è valso l’appellativo di primo “007 italiano dell’arte”, il Monuments Man nostrano. Un lavoro certosino, se si pensa che, senza disporre delle moderne tecnologie, Siviero e i suoi uomini, veri e propri “segugi dell’arte rubata”, riescono a ricostruire la storia di ogni singola opera mancante, datandola, attribuendola all’artista e perfino indicandone il luogo e la data di sottrazione. La lista comprende 800 dipinti e statue di maestri italiani (tra cui capolavori di Michelangelo, Perugino, Giovanni della Robbia, Marco Ricci, Tiziano, Raffaello, Bronzino, Canaletto e Guido Reni) oltre a decine di sculture greche e romane, arazzi, tappeti, mobili, centinaia di manoscritti e strumenti musicali, compresi tre violini Stradivari.
Finita la guerra, la macchina per rintracciare e riportare in Italia le opere scomparse si mette in moto, con la creazione, nell’aprile del 1946, dell’Ufficio recuperi, la cui direzione è affidata proprio a Siviero, che avvia una duratura e intensa attività diretta al rientro di beni italiani trafugati dai nazisti e una elaborata attività diplomatica. Nel 1953, con l’accordo De Gasperi-Adenauer¹Terminato il periodo del controllo militare alleato in Germania, Siviero si trovò a trattare il problema delle restituzioni con i rappresentanti del nuovo governo federale tedesco. Il gabinetto di Konrad Adenauer fu molto disponibile. Esso infatti considerava la restituzione delle opere come una operazione simbolica della volontà politica della nuova Germania democratica di tagliare i ponti con il passato nazista. Il 27 febbraio 1953 Adenauer e Alcide De Gasperi firmarono un accordo che prevedeva la riconsegna alla Germania delle biblioteche tedesche in Italia e l’istituzione di due delegazioni che trovassero l’accordo su quali opere restituire all’Italia. Rodolfo Siviero fu nominato capo della delegazione italiana; Friedrich Jantz, segretario generale della Cancelleria federale, capo di quella tedesca. In una serie di incontri negli anni successivi, Siviero e Jantz si accordarono sulla restituzione all’Italia di quasi tutte le opere che ancora erano depositate nel punto di raccolta di Monaco di Baviera., l’Ufficio viene integrato nel Ministero degli Esteri e affidato alla solida guida dello storico dell’arte toscano. I risultati non tardano ad arrivare. Vengono recuperati importanti opere: la Danae di Tiziano, L’Apollo di Pompei e altri capolavori provenienti dai musei di Napoli, Firenze e Venezia. Ma, soprattutto, Siviero ottiene la modifica dell’art. 77 del Trattato di Pace, permettendoci così di rivendicare anche le opere trafugate dai tedeschi prima dell’Armistizio.
Nel 1974 la Germania considera scaduto l’accordo siglato da De Gasperi e Adenauer. Fino a quel momento della ventina di quadri di inestimabile valore razziati dalla nostra ambasciata a Berlino nel 1945 (quasi tutti provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Antica di palazzo Barberini di Roma), ne sono stati recuperati solo sei, fra cui Mosè salvato dalle acque di Paolo Veronese. Degli altri, nessuna notizia. Come delle tante opere d’arte italiane depredate dai tedeschi, poi finite in Russia. Le truppe sovietiche le hanno razziate in Germania e a Berlino, liberata dall’Armata Rossa nel maggio 1945 dopo il crollo del Terzo Reich. Mosca ha sempre considerato i beni culturali presi ai tedeschi una compensazione per i danni di guerra. E nel 2000 la Federazione Russa ha approvato una legge che nazionalizza le opere d’arte presenti nei musei.
Nel novembre del 2013 colpisce la notizia di un ritrovamento importante. In un appartamento di Monaco di Baviera viene scovato un tesoro di 1.500 pezzi e, per un valore stimato di oltre un miliardo di euro, confiscati dai nazisti durante il Terzo Reich e dati per persi. Fra i dipinti riportati alla luce, capolavori di Chagall, Klee e Matisse accatastati in un ripostiglio, tra cassette di frutta e barattoli di fagioli, della polverosa casa dell’ormai ottantenne Cornelius Gurlitt [morto martedì 6 maggio 2014, Ndr], figlio dello storico mercante d’arte e consulente in materia di Hitler, Hildebrand Gurlitt. La polizia arriva alla scoperta dopo che nel settembre del 2010 Cornelius è stato fermato su un treno di ritorno dalla Svizzera con 9.000 euro in contanti, in una delle sue sporadiche trasferte per vendere esemplari minori della collezione, sempre alla luce del sole e in modo legale: una sorta di rendita del patrimonio paterno che gli ha permesso di sopravvivere nell’ombra per decenni, senza mai un lavoro, una pensione né un numero di previdenza sociale. La casa di Monaco non è l’unico suo nascondiglio. In un altro appartamento di Salisburgo le autorità tedesche trovano altre 60 opere della collezione, tra cui dipinti di Picasso, Renoir e Monet.
Nonostante questi fortunati ritrovamenti e i tanti sforzi eroici di antichi e moderni Monuments men, da quelli delle forze alleate ai salvatori dell’arte italiani, fino agli eroi più recenti, sono però ancora tante le opere “prigioniere di guerra” che mancano all’appello. Del resto, nessuno sa con esattezza neppure le dimensioni del patrimonio artistico disseminato nei musei, nelle chiese e nelle dimore private in Italia. Nel 2011 il censimento condotto dall’Istat in collaborazione con il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, le Regioni e le Province autonome ha consentito per la prima volta di tracciare un quadro complessivo dei luoghi d’arte presenti nel Bel Paese. Quell’anno erano 4.588 i musei e gli istituti similari, pubblici (2.925) e privati (1.618)²I restanti 45 sono sotto la voce “non indicato”. aperti al pubblico; di questi, 3.847 sono musei, gallerie o collezioni, 240 sono aree o parchi archeologici e 501 complessi monumentali. Nel 2015, poi, il numero totale è salito a 4.976, con 4.158 musei o collezioni, 282 aree o parchi archeologici e 536 complessi monumentali³Nel 2015 due musei su tre (il 64,1%) sono di proprietà pubblica. Ben 2.139, pari al 43% del totale, appartengono ai Comuni e solo 439 (l'8,8%) al ministero competente; i musei statali, però, attraggono da soli più di 47 milioni di visitatori (il 42,6% del totale). Un Comune italiano su tre ospita almeno una struttura a carattere museale: un patrimonio diffuso di 1,7 musei o istituti similari ogni cento chilometri quadrati, circa uno ogni 12 mila abitanti. Le regioni con il maggior numero di istituti sono: Toscana (548), Emilia-Romagna (477), Piemonte (427) e Lombardia (409). In fondo alla graduatoria Molise (42), Basilicata (43) e Valle D'Aosta (84). Nel Sud e nelle Isole è concentrato il 52,8% delle aree archeologiche (una su tre, il 32,6%, si trova in Sicilia e Sardegna), mentre al Nord si localizza il 49% dei musei e il 39,2% dei monumenti. La tipologia prevalente delle collezioni è etnografia e antropologia (692 musei), seguita da arte antica (662), archeologia (613), storia (477), arte moderna e contemporanea (422), arte sacra (201) e scienza e tecnica (144)..
Un altro settore preso ultimamente di mira dai razziatori di beni culturali è quello dei libri antichi, conservati nelle 46 biblioteche pubbliche statali del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, comprese le due Biblioteche Nazionali Centrali di Roma e Firenze (con un “tesoro” di 40 milioni di esemplari tra manoscritti, incunaboli, edizioni a stampa, periodici, edizioni musicali e raccolte di mappe geografiche, incisioni e stampe) o nelle innumerevoli collezioni private o ecclesiastiche⁴Nel dettaglio: 38.488 beni antiquariali, archivistici e librari (di cui 158 armi artistiche, 4 capolavori di arte tessile, 24.083 beni librari e archivistici, 21 opere di ebanisteria, 12.500 di filatelia, 402 di grafica, 667 di miscellanea, 35 oggetti chiesastici, 5 orologi, 263 pitture, 85 sculture e 4 strumenti musicali), 79.214 reperti paleontologici e 17.981 reperti archeologici (di cui 7.453 interi, 3.535 frammenti e 6.993 di numismatica archeologica)..
Oltre a quelle del patrimonio artistico nazionale, sono in parte sconosciute anche le esatte dimensioni dello sfregio che al nostro ineguagliabile tesoro artistico è stato inferto nei secoli dalle razzie belliche, e più ancora dai reati perpetrati in tempo di pace. Quello che emerge nelle cifre ufficiali è solo la punta di un immenso iceberg, purtroppo quasi impossibile da ricostruire. Parlano, tuttavia, le statistiche dei Carabinieri. Dal 1970 al 2013 il Comando che si occupa della tutela del patrimonio culturale, archeologico e del paesaggio ha recuperato 690.462 oggetti d’arte (secondo l’Arma, il 40% dei beni illegalmente detenuti proviene dalle chiese) e 1.055.451 reperti archeologici. Nel 2014 le opere rubate ritrovate e sequestrate sono state 135.683, per un valore economico stimato in 80.342.250 euro. I furti di beni culturali di proprietà dello Stato ammontavano a 609 nel 2014, poi calati a 450 nel 2015, periodo in cui gli scavi archeologici clandestini scoperti sono invece aumentati del 20,4%. Nel 2014 i reperti archeologici recuperati dal Carabinieri del TPC (Tutela patrimonio culturale) sono stati 17.981, l’anno successivo 11.500.
Rilevante è stato negli anni l’incremento delle opere false sequestrate: nel 2014 i falsi sequestrati dal Nucleo TPC sono stati 1.687, di cui 352 nel settore antiquariale, archivistico e librario, 29 nel settore archeologico-paleontologico e 1.306 nel settore dell’arte contemporanea. Falsi il cui valore artistico stimato è di 427.251.287 euro. Il 2015, invece, ha fatto registrare una leggera flessione dei falsi sequestrati dai Carabinieri, che sono stati 1.601, ma con una ripartizione assolutamente differente rispetto all’anno precedente, settore per settore: 17 (addirittura oltre il 2000% in meno rispetto al 2014) in quello antiquariale, archivistico e librario, 1.077 (più del 3700% in più) in quello archeologico-paleontologico e 507 (-258%) in quello dell’arte contemporanea.
A giugno del 2015 la Banca Dati Leonardo del Nucleo TPC dei Carabinieri conteneva la descrizione di poco meno di sei milioni di oggetti sottratti e 574.000 immagini. Un lavoro immenso, ma molto altro dovrà essere fatto.
Secondo un’analisi di Carlo Hruby, vicepresidente della Fondazione Enzo Hruby, una delle pochissime che si occupano della protezione di musei, gallerie e luoghi culturali, appena «il 10% dei musei italiani può dirsi blindato, cioè con quei sistemi che possano garantire la protezione più totale».
Con un piano partito all’inizio del 2015 e poi adeguato nel dicembre di quell’anno, dopo gli attentati terroristici di Parigi, il nostro governo ha avviato un programma triennale di interventi, compresi per la prima volta in un progetto speciale, stanziando un fondo di 50 milioni di euro per adeguare gli standard di sicurezza dei musei italiani contro furti e terrorismo.
In Italia il business criminale sui beni culturali è ritenuto il terzo per importanza, dopo droga e traffico d’armi, con un giro d’affari annuo stimato attorno ai 150 milioni di euro. Una cifra di soli cinque milioni di euro inferiore all’incasso totale record ottenuto dalla vendita dei biglietti d’accesso nel 2015 ai luoghi della cultura italiani di proprietà dello Stato: da gennaio a dicembre 42.953.137 persone (erano 38.424.587 nel 2013 e 40.744.763 nel 2014) hanno visitato i 143 musei a pagamento (più i 60 gratuiti) e i 90 monumenti e siti archeologici (più i 148 a ingresso libero) per un incasso totale di 154.692.336,71 euro.
Nei primi quattro mesi del 2016 il numero dei visitatori nei musei statali è cresciuto del 9,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per un totale di oltre 13 milioni di ingressi. E gli incassi sono saliti in modo ancor più marcato, facendo segnare un significativo +16%, con circa 41,6 milioni di euro, quasi sei milioni di euro in più rispetto al primo quadrimestre del 2015.
Oggi al MAIO, di fianco a qualcuna delle 1.651 opere d’arte “prigioniere di guerra” c’è una scritta rossa vergata a mano che recita: “RECUPERATO”. Proprio alcuni giorni prima della mia visita, infatti, il capitano dei Carabinieri Francesco Provenza, che guida il Nucleo TPC della Lombardia, con sede nella Villa Reale di Monza, è intervenuto a una conferenza al MAIO e nell’elenco ha riconosciuto alcuni capolavori ritrovati di recente dall’Arma e con comprensibile orgoglio ha voluto lui stesso aggiungere quelle scritte rosse.
Dall’epoca di Siviero è passato parecchio tempo: molte opere d’arte sono state recuperate, altre mancanti si sono aggiunte alla lista, che è diventata un vero e proprio database e, da singole virtuose personalità, nuclei professionali specializzati si sono formati e lavorano nella delicata attività di recupero.
La stima per il loro lavoro, unita all’interesse per l’arte in ogni sua forma, mi ha spinta ad affrontare questo approfondimento, partendo da alcune semplici domande: chi si occupa oggi della tutela del nostro patrimonio culturale, considerato il più importante al mondo? In base a quali leggi e con quali strumenti investigativi? Che cosa può fare ognuno di noi per contribuire alla salvaguardia di questo immenso tesoro? (1. Continua)
- Terminato il periodo del controllo militare alleato in Germania, Siviero si trovò a trattare il problema delle restituzioni con i rappresentanti del nuovo governo federale tedesco. Il gabinetto di Konrad Adenauer fu molto disponibile. Esso infatti considerava la restituzione delle opere come una operazione simbolica della volontà politica della nuova Germania democratica di tagliare i ponti con il passato nazista. Il 27 febbraio 1953 Adenauer e Alcide De Gasperi firmarono un accordo che prevedeva la riconsegna alla Germania delle biblioteche tedesche in Italia e l’istituzione di due delegazioni che trovassero l’accordo su quali opere restituire all’Italia. Rodolfo Siviero fu nominato capo della delegazione italiana; Friedrich Jantz, segretario generale della Cancelleria federale, capo di quella tedesca. In una serie di incontri negli anni successivi, Siviero e Jantz si accordarono sulla restituzione all’Italia di quasi tutte le opere che ancora erano depositate nel punto di raccolta di Monaco di Baviera.
- I restanti 45 sono sotto la voce “non indicato”.
- Nel 2015 due musei su tre (il 64,1%) sono di proprietà pubblica. Ben 2.139, pari al 43% del totale, appartengono ai Comuni e solo 439 (l’8,8%) al ministero competente; i musei statali, però, attraggono da soli più di 47 milioni di visitatori (il 42,6% del totale). Un Comune italiano su tre ospita almeno una struttura a carattere museale: un patrimonio diffuso di 1,7 musei o istituti similari ogni cento chilometri quadrati, circa uno ogni 12 mila abitanti. Le regioni con il maggior numero di istituti sono: Toscana (548), Emilia-Romagna (477), Piemonte (427) e Lombardia (409). In fondo alla graduatoria Molise (42), Basilicata (43) e Valle D’Aosta (84). Nel Sud e nelle Isole è concentrato il 52,8% delle aree archeologiche (una su tre, il 32,6%, si trova in Sicilia e Sardegna), mentre al Nord si localizza il 49% dei musei e il 39,2% dei monumenti. La tipologia prevalente delle collezioni è etnografia e antropologia (692 musei), seguita da arte antica (662), archeologia (613), storia (477), arte moderna e contemporanea (422), arte sacra (201) e scienza e tecnica (144).
- A inizio luglio 2016 il data base del “Progetto Anagrafe delle biblioteche italiane” ne ha censite 13.579 di proprietà di enti territoriali (tra cui 6.385 Comuni), 1.847 di università statali, 1.388 di enti ecclesiastici, 957 di accademie, associazioni, fondazioni e istituti pubblici, 797 di accademie, associazioni, fondazioni, istituti pubblici e società private, 750 della presidenza del Consiglio dei ministri o dei ministeri, 369 di aziende e amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo, 299 del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, 92 di aziende ed enti del Servizio Sanitario Nazionale, 68 delle Camere di commercio, industria e artigianato, 67 di università non statali, 60 di privati o famiglie, 54 di istituzioni straniere, 25 di organizzazioni internazionali, 15 di organi costituzionali e una di istituzioni extraterritoriali.
- Nel dettaglio: 38.488 beni antiquariali, archivistici e librari (di cui 158 armi artistiche, 4 capolavori di arte tessile, 24.083 beni librari e archivistici, 21 opere di ebanisteria, 12.500 di filatelia, 402 di grafica, 667 di miscellanea, 35 oggetti chiesastici, 5 orologi, 263 pitture, 85 sculture e 4 strumenti musicali), 79.214 reperti paleontologici e 17.981 reperti archeologici (di cui 7.453 interi, 3.535 frammenti e 6.993 di numismatica archeologica).
- Quei 1.653 tesori rubati da Hitler e ancora prigionieri di guerra
- Nel Montefeltro marchigiano sulle orme di Pasquale Rotondi, salvatore dell’arte italiana. Tra Pesaro e Urbino si snodano una collana di borghi ideali che furono esplorati dal Soprintendente delle Marche prima di trovare gli edifici sicuri ove dare salvezza a ben 7.821 tesori culturali a lui affidati
- Roberto Malini, l’italiano che ha salvato l’arte dell’Olocausto. E i dipinti condannati alla damnatio memoriae. La storia straordinaria di Malini, che viaggiando in mezzo mondo ha recuperato e donato al Museo della Shoah 240 opere di artisti vittime dell’Olocausto
- Cercatori di tesori in Italia. Quei tesori d’Italia che intrigano gli Indiana Jones. Armati di metal detector, i predatori di antiche ricchezze scandagliano terreni ed esplorano fortezze dal Piemonte alla Sardegna. Per vivere il brivido del ritrovamento
- Gli 007 dei Carabinieri riportano in Italia da Ginevra 45 casse di reperti romani ed etruschi trafugati. Erano in depositi di proprietà dell’antiquario inglese Robin Symes, arrestato
- I monumenti di Arquata del Tronto, nelle Marche, prima delle scosse, nel censimento fatto dal futuro “salvatore dell’arte”, Pasquale Rotondi (testo di Pasquale Rotondi, introduzione di Salvatore Giannella)
- Francesco Papafava, l’uomo che ha combattuto nella ex Jugoslavia per salvare i suoi tesori d’arte. Fino all’ultimo pendolare tra la sua casa sulle rive dell’Arno e il Kosovo per invocare un aiuto (concesso) affinché possano rinascere 1.800 monasteri e affreschi stupendi
- Ritrovato dopo 70 anni il Cristo rubato a Lucca dai nazisti. Gli 007 dell’arte dei Carabinieri, sezione Toscana, guidati dal maggiore Lanfranco Disibio, hanno recuperato una scultura in terracotta di Matteo Civitali, del valore di oltre un milione di euro, trafugata dalle truppe tedesche
- Finalmente esposto a Bonn e Berna il tesoro di Hitler custodito da Gurlitt. Due mostre per fare chiarezza ed esortare altri eredi a richiedere la restituzione di opere trafugate in Italia e nel resto dell’Europa.
- L’Italia ringrazia l’avvocato cacciatore di tesori perduti, Maurizio Fiorilli. Un ritratto del mantovano Fiorilli, inflessibile avvocato di Stato che dal 1965 ha rappresentato l’Italia in vari tribunali del mondo. Grazie alla sua diplomazia culturale ha riportato a casa tanti capolavori, soprattutto tesori archeologici, saccheggiati in anni recenti, meritandosi l’appellativo di “flagello dei predatori di tombe”.
- Eike Schmidt: “eredi del ladro nazista, siate eroi, ridate il van Huysum agli Uffizi”. Cento giorni dopo l’appello del direttore tedesco delle Gallerie fiorentine e nonostante siano stati raggiunti anche da Chi l’ha visto?, gli eredi del caporale Stock continuano a negare la restituzione del dipinto rubato