Il breve, doloroso messaggio mi arriva la solare mattina dell’8 marzo dalla redazione del mio antico Airone: “Danilo Mainardi è scomparso questa mattina a Milano, all’età di 83 anni”. Perdiamo così un gigante della scienza e un amatissimo amico che mi aveva affiancato in una stagione della mia vita “che manda lampi” (Diego Valeri), il decennio di direzione di quella rivista, contribuendo in modo decisivo a farne la prima e più diffusa in Italia di natura e civiltà.
Per quei pochi che non lo conoscono, può essere utile un brano del comunicato della Lipu, la Lega per la protezione degli uccelli che ha sede centrale a Parma:
Quale omaggio alla sua capacità divulgativa, ho pensato di riprodurre qui di seguito un suo intervento “multidisciplinare” tratto dal suo taccuino su uomini e animali, da Airone, settembre 1990. (s.g.)
Si spengono le lucciole,
si spegne la nostra curiosità
Mentre scrivo mi godo le vacanze. Ho tempo da buttare e un po’ (poco poco, per verità) lo passo – è un mio divertimento minimo – sfogliando quel grande librone che è la Cronologia universale (le grandi date della storia, delle arti, della scienza, della tecnica dalla preistoria a oggi). Mi diverte scoprire coincidenze, centenari, cinquantenari e così via. E così ho scoperto che esattamente cinquant’anni fa (1940), mentre Riccardo Bacchelli pubblicava Il mulino del Po, Michail Aleksandrovic Solochov dava alle stampe Il placido Don.
Sapete com’è quando si sta belli comodi in poltrona a godersi il fresco della montagna senza niente di preciso da fare… i pensieri viaggiano, e io pensavo al Don, pensavo al Po. Pensavo al Po di allora, a quello dei tempi del Mulino. Allora, riflettendo, nel nostro torbido fiume c’era soltanto l’autoctono storione. Il siluro (Silurus glanis) ancora non c’era: quello lo pescavano i mugichi nel placido Don.
Oggi invece quel siluro, parente gigantesco del pesce gatto, nel Po esiste, si riproduce bene, cresce a dismisura, fa sconquassi. Lo liberarono non troppi anni fa pescatori a dir poco incauti, e lui, grande predatore arrivato lì all’improvviso, è divenuto una presenza allarmante per l’ecosistema del fiume e degli altri corsi d’acqua dove riesce a penetrare. Le nostre acque dolci, infatti, non hanno dimensioni paragonabili a quelle dei bacini tipici dell’areale di questa specie, e pertanto non sono certo in grado di tollerare l’attività predatoria di un pesce che raggiunge dimensioni (può toccare i 3-4 metri, forse anche più, e il peso di un paio di quintali) enormemente superiori a quelle di qualunque altro della nostra fauna dulcicola, esclusi gli ormai rari storioni.
Ecco, quello era il Po di Bacchelli; questo è il Po dei giorni nostri, ma se il simpatico librone proprio al grande siluro mi ha fatto pensare, il suo non è certo un caso isolato: tutti sapete che nelle nostre acque in questi anni scombinati è entrato di tutto, di biologico e di non biologico. Così la domanda che nasce spontanea è perché mai scopriamo tanta supponente ignoranza, tanta prepotente disinvoltura nelle azioni che la gente, più o meno comune, compie nei confronti dell’ambiente.
Ma io non leggo solo libri strani, leggo anche i giornali e ho trovato titoli così: “I bimbi non conoscono le lucciole” (Corriere della Sera); “La natura, questa sconosciuta: il bambino non sa che cos’è una lucciola” (la Repubblica). Raccontano, i due articoli, i risultati di un’inchiesta condotta dalla rivista Prospettive nel mondo. I nostri bambini dimostrano, secondo questa inchiesta, un drammatico analfabetismo ambientale, un’ignoranza del mondo naturale: solo 3 su 100 hanno visto brillare una lucciola. Io però non ho voglia di farvi ridere, perché questa goffa ignoranza è una cosa triste e seria, per loro e per noi. E poi, non sta forse in questo analfabetismo la causa prima della disinvoltura di cui dicevo a proposito del siluro?
Mi hanno fatto pensare, le lucciole, a Pier Paolo Pasolini, che il 1° febbraio 1975, sul Corriere della Sera, questo scriveva:
Nella realtà, ora le cose stanno così: è sì vero che le lucciole sono molto diminuite, ma non certo scomparse. Il fatto è che insieme è diminuita la curiosità, il desiderio di scoprirle, di osservarle, di conoscerle. E viene da pensare che i due eventi non siano tra loro indipendenti. E viene da chiedersi: se i bambini sono così, come sono i loro genitori? E i loro maestri? Risposta: sono quelli che hanno buttato i siluri nel Po. Da grandi anche i loro bambini butteranno i siluri nel Po. Così, contrariamente a quanto scrisse Pasolini, gli anziani potranno riconoscersi nei nuovi giovani. E sarà tutta gente che non rimpiangerà la (questa volta garantita) scomparsa delle lucciole. (Danilo Mainardi)
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