Lui si trova alle isole Svalbard, al Circolo Polare Artico, per documentare gli effetti del cambiamento climatico (si è trasferito lì con la moglie Stéphanie e i figli Rémi e Bahia, di sei e due anni). E intanto 77 delle sue più sensazionali immagini naturalistiche, frutto di una preparazione accuratissima e di una pazienza leggendaria che l’aveva fatto notare al sottoscritto già anni fa (vedi testo a seguire) sono in mostra al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, fino al 2 giugno (fortedibard.it). Le foto e il documentario Una vita selvaggia sono il frutto di reportage fatti dal fotografo naturalista dal 2009 al 2019 su commissione del National Geographic Magazine. Per chi ama arte, scienze e ambiente, un appuntamento da non mancare. (s.g.)
Due settimane fa, in coincidenza con l’apertura dei festeggiamenti per il 125mo anniversario del National Geographic Magazine (“Il fascino discreto della geografia”), si è tenuto al Grosvenor Auditorium della Society a Washington, D.C. il 46° seminario di fotografia. La grande sala della sede centrale della Society era letteralmente gremita da circa 500 persone – molte delle quali sono dovute restare in piedi o sedute per terra – almeno 400 delle quali erano fotografi.
“Per darvi un’idea della concentrazione di talento in sala”, scrive sul suo blog Marco Pinna, apprezzato giornalista dell’edizione italiana di quella rivista, “ecco alcuni nomi dei presenti che mi vengono alla mente così, senza sforzarmi troppo: Sebastião Salgado, David Alan Harvey, Eugene Richards, JR, Carsten Peter, Vincent Musi, Joel Sartore, Randy Olson, William Albert Allard, Tim Laman, Robert Clark, Mike Yamashita, Peter Essick, Melissa Farlow, Annie Griffiths, Gerd Ludwig, Ed Kashi, Frans Lanting, Lynn Johnson, Matt Moyer, Stefano Unterthiner, Steve Winter, Rena Effendi… Per non parlare dei photoeditor e degli esperti oltre a tutto lo staff del settore fotografico del magazine stesso, e naturalmente il suo direttore/giornalista e fotografo Chris Johns”. Fra quei nomi illustri, c’era quello di un italiano: Stefano Unterthiner, appunto, 42 anni, valdostano, fotografo naturalista di fama mondiale, il primo italiano ad aver ottenuto incarichi dal National Geographic e a vedersi pubblicati servizi completi su quella rivista statunitense tempio del fotogiornalismo, oltre che su altre riviste Stefano era andato per quel seminario ma anche per consegnare all’entusiasta direttore della rivista Chris Johns l’ennesimo servizio che vedremo tra qualche mese (e sul quale lui preferisce mantenere il segreto professionale).
Di Stefano, vero artista della natura, mi ero occupato alla vigilia di Natale del 2011, per Oggi: e avevo potuto ammirare la sua capacità rara di trasferire, nelle sue immagini, l’ammirazione che ha per gli esseri viventi e le sue conoscenze scientifiche che ha appreso sul mondo degli animali. “Una conoscenza che mi è stata trasmessa da ragazzo dallo zio Paolo”, mi confidò, al rientro da una passeggiata con le racchette da neve sulle sue amate montagne di Saint Vincent. “Era lui a portarmi a dormire sotto il cielo stellato o a seguire gli amori dei camosci o le danze di corteggiamento del gallo forcello. Il mio patrimonio culturale da autodidatta è stato poi rinforzato dagli anni universitari a Torino, facoltà di Scienze naturali, e premiata a 30 anni con il dottorato di ricerca ad Aberdeen, in Scozia”.
Appostato tra le zanzare
Centinaia di ore passate pancia a terra sul ghiaccio o con i piedi a mollo in un appostamento nella torbiera; nel freddo, nel vento, battagliando con legioni di zanzare; ma sempre con la stessa passione, quella di cogliere l’attimo fotograficamente più intrigante e raccontare con le sue foto altri capitoli dell’ancora misteriosa vita animale. La permanenza di Stefano sulle casalinghe Alpi valdostane era legata al lancio in Italia del suo sesto libro dedicato questa volta ai cigni selvatici: Gli angeli dell’inverno (foto a destra; in precedenza erano usciti Le notti dell’orso; L’odissea del re, il primo lavoro sul pinguino reale che, presentato alla Royal Geographical Society di Londra, gli meritò il plauso e il primo incarico del National Geographic; Fred – storia di una volpe di montagna; Camosci; Boschi e camosci, fiori rossi e ghiacciai).
Si sfidano a duello
Pagina dopo pagina nel libro si susseguono emozioni e immagini:
Una simbiosi totale
Quello di Stefano è un lavoro accurato e vagabondo, da artista di strada, con un’unica testimone regista: Stéphanie Françoise, biologa e divulgatrice francese, 29 anni, incontrata in un parco valdostano mentre lei faceva una ricerca sulla marmotta e poi sposata (di Stefano e Stéphanie, complice l’intimità delle postazioni fotografiche, con una facile battuta si può aggiornare un detto popolare: due cuori e un capanno). Un lavoro in completa simbiosi con la natura circostante. Con qualche curiosità e molti inconvenienti.
Il pericolo è l’uomo
Anche la natura, a sua volta, si trova spesso a fare i conti con l’uomo: infatti la prima causa di morte del cigno selvatico (che conta una popolazione mondiale di 180 mila esemplari) è dovuta alla collisione con i cavi dell’alta tensione. «Il mio lavoro sui cigni», mi raccontò Stefano, «è finito con un evento doloroso. Pochi giorni prima della schiusa, il maschio di una delle coppie che seguivo si è schiantato contro i fili elettrici vicino al sito di nidificazione. Il maschio si è rotto l’ala; la femmina ha abbandonato il nido e le sua covata. La sera stessa, il cigno ferito è stato soppresso da un veterinario. Quella sera ho perso un amico». Dopo la sfida con la natura avversa, le ultime parole, svelano l’altra faccia di Stefano, quella della sfida per la natura amica.
Un rapporto speciale
Specie con i primati, Stefano riesce a instaurare un rapporto speciale, frutto di un’intesa ormai collaudata e garbata tra lui e il soggetto da riprendere. Ha fatto il giro del mondo il pluripremiato volto di Piantagrane, un macaco indonesiano ritratto sulla spiaggia dell’isola di Sulawesi: il primate fissa l’obiettivo di Stefano con i suoi occhi arancioni e l’aria quasi pessimista. Unterthiner, insieme alla professione, ha abbracciato la missione di ambientalista. Molti dei suoi lavori sono su specie in pericolo di estinzione e dal 2007 è membro dell’International league of conservation photographers a favore dell’ambiente.
Nella vita da favola di Unterthiner, ambasciatore degli animali, gli auguriamo di avere successo anche per questa più ardua sfida.
A proposito / Vuoi fotografare bene la natura? Leggi qua
I segreti dei reporter del National Geographic
A quali regole si attengono i fotografi del National Geographic per riprendere gli animali? Quali sono i segreti del loro mestiere? Nel viaggio che feci nel 1981 nella redazione di quel mensile Albert Moldvay, autore di un manuale per fotografi speciali, rispose così, con indicazioni ancora adesso attuali, alle mie curiosità. (s. gian.)
Fotografare gli animali selvatici non significa necessariamente partecipare a un safari in Kenya per riprendere leoni e giraffe. Parchi nazionali, zone protette, boschi, campi, paludi e lo stesso giardino dietro casa vostra vi offrono ottime opportunità. Le migliori occasioni per fotografare le avrete subito dopo l’alba o appena prima del tramonto. La luce è migliore e quasi tutti gli animali escono per mangiare.
Se imparerete qualcosa prima sulle abitudini e sull’habitat degli animali che vi interessano, saprete meglio dove e quando andare a cercarli.
Tenete la macchina fotografica a portata di mano mentre camminate sui sentieri, per poter reagire in fretta. Un teleobiettivo leggero di focale media, un 135 millimetri per esempio, va benissimo per questo tipo di fotografia. Buono è anche un obiettivo zoom 80-200 millimetri, soprattutto se è anche macro. Ma non abbiate paura di usare obiettivi normali o anche il grandangolo.
Se vi imbattete in animali selvatici, fermatevi e rilassatevi. I movimenti bruschi fanno fuggire qualsiasi animale. Se avete bisogno di avvicinarvi, non fatelo direttamente ma cercate di arrivare di lato, con passi lenti e circospetti, meglio se controvento (a questo scopo c’è chi fa la verifica semplicemente bagnando l’indice).
Per fotografare uccelli che mangiano su un albero o in un cespuglio, avvicinatevi insieme a un’altra persona. Gli uccelli voleranno via. Fate allora allontanare chi è con voi. La maggior parte degli uccelli, visto che il pericolo com’è venuto se n’è anche andato, torneranno sul posto e voi potrete riprenderli senza difficoltà.
Gli animali selvatici si confondono nel paesaggio: dovete quindi fare molta attenzione allo sfondo. Aspettate perciò a scattare quando il cervo esce dall’ombra dell’albero e risalta nitido contro il cielo o un campo chiaro e distante.
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(via mail)
Dopo aver letto i testi sul National Geographic e sui suoi fotografi della natura, capisco meglio le parole che il presidente-fondatore del National Geographic, Grosvenor, amava ripetere: “La fotografia non nasce nella macchina fotografica, finisce lì”.