Sarò utile dopo quando l’umanità avrà voglia delle favole
e l’infanzia troverà ancora la fantasia tolta da internet
(Tonino Guerra)
L’edicolante mi consegna il nuovo libro dell’Opera omnia di Primo Levi curata dal Corriere della Sera e con emozione rileggo alcune delle interviste immaginarie agli animali che quel grande scrittore riservava ai lettori di Airone (testata citata dai curatori della collana) durante il decennio di mia direzione di quella rivista di natura e civiltà. E, nella galleria dei miei ricordissimi, è subito Torino, 12 dicembre 1986, la sera in cui incontrai l’altro Primo Levi, il chimico e narratore di favole. Quella sera gli amanti della scienza e degli animali si erano dati appuntamento nella libreria Campus dove presentavo, con l’autrice, il nuovo libro della “regina della divulgazione al femminile”, Isabella Lattes Coifmann.
Ho ripreso in mano i testi di quelle interviste indimenticabili dello Zoo immaginario: alla numero uno delle formiche (titolo: “La regina che ama una volta sola”); alla talpa (“Naso contro naso, un amore al buio”); poi “In diretta dal nostro intestino: l’Escherichia coli”); “Il gabbiano di Chivasso”; “La giraffa dello zoo”; e il dialogo con la ragna, l’ultima storia naturale.
Con le sue parole, dedicate al gabbiano di Chivasso, credo di farvi cosa gradita, reiterando il ricordo di quel grande scrittore capace di combinare chimicamente al meglio memorie dell’Olocausto e impegno per la pace, la poesia, il rigore scientifico, la letteratura e la scienza.
GIORNALISTA: Signor gabbiano, che ci fa lei qui?
GABBIANO: Gabbiano reale, prego. Noi siamo stanziali, gli altri, i ridibundi, sono vagabondi, opportunisti senza scrupoli.
Signor gabbiano reale, mi pare di averla incontrata altre volte, ma in un ambiente diverso: librato sopra la risacca, non ricordo più se alle Cinque Terre o alla Caprazoppa. Però ricordo una sua fantastica planata, alla deriva nel vento, e poi una picchiata improvvisa: giù e subito su con un pesce nel becco. Ho seguito tutto con il binocolo: ho rimpianto di non avere una cinepresa.
Ricorda giusto, era una triglia, per i miei piccoli. L’avevo vista dall’alto e mi sono tuffato due metri sott’acqua per acchiapparla. È stato un bel colpo, lo ricordo anch’io. Eh, erano altri tempi, ma già allora le triglie si facevano rare. Insieme con mia moglie, ci eravamo fatti un nido inaccessibile, anzi invisibile, proprio a picco sul mare. Si viveva sicuri: ogni sortita era un pesce, a volte così grosso che facevo fatica a riportarlo al nido, o addirittura a ingollarlo. Era un mestiere degno, nobile, per gente dalle buone ali e dall’occhio acuto. Non c’era mareggiata che mi facesse paura, anzi, più c’era tempesta e più mi sentivo padrone del cielo. Ho volato in mezzo ai fulmini, quando perfino i vostri elicotteri restavano a terra, e mi sentivo felice: “realizzato”, come dite voi.
Appunto: era un ambiente adatto per un volatore come lei. Ma che cosa l’ha indotto a venirsi a stabilire a Chivasso?
Sa, le voci corrono. C’è un mio lontano parente che viveva a Chioggia, e non se la cavava neanche tanto male; ma poi l’acqua si è fatta schiumosa, puzzava di nafta e il pesce ha cominciato a scarseggiare. Lui e sua moglie allora hanno risalito il Po, tappa per tappa, appunto fino a Chivasso. A mano a mano che risalivano, l’acqua era meno inquinata. Bene, anni fa è venuto laggiù in Liguria a raccontarmi che a Chivasso c’è la Lancia, e che assumono tanta gente.
Su questo non ci piove. Ma non mi vorrà dire che assumono anche gabbiani? O che sono così generosi da rifornirli?
Lei tocca un tasto doloroso. Si capisce che la Lancia non fabbrica pesci, anzi, ne fa morire una buona dose; ma fabbrica rifiuti. Assume gente che di rifiuti ne fabbrica una quantità incredibile, tre o quattrocento quintali all’anno. E ha una mensa aziendale, fabbrica discariche, e nelle discariche arrivano… sì, arrivano i tpi. Ecco, me lo ha fatto dire.
Vuol dire che da pescatore lei si è trasformato in cacciatore di topi? Beh, guardi, sono cose che capitano anche a noi. Agli uomini in generale, e a noi giornalisti in specie. Non tutti i giorni né in tutti gli anni c’è qualche guerra da raccontare, o una diga che crolla, o un terremoto, o un’eruzione vulcanica, o una catastrofe nucleare, o un volo sulla Luna. Anche noi a volte ci dobbiamo accontentare di correre dietro ai topo. E se non ci sono neppure quelli, ce li inventiamo.
… oppure andate a intervistare i gabbiani, vero? Tutto fa brodo.
No, mi creda, sono pienamente consapevole del vostro disagio. Si vede, per così dire, a occhio nudo: non volate più alti nel cielo, è raro sentirvi stridere. Ho visto due suoi colleghi nidificare allo sbocco di una cloaca, altri sotto un ponte. Altri ancora, e tanti, bazzicano dalle parti dello zoo di Torino e rubano i pesci alle foche e all’orso bianco.
Lo so, è una vergogna, ma ci sono andato anch’io. Di pesce abbiamo bisogno, se no le nostre uova vengono con il guscio debole, tanto trasparente che si vede dentro il pulcino, e a covarle si rompono. E di pesce, nel Po, se ne vede poco. Speriamo che adesso, con il nuovo collettore, la situazione migliori un poco.
Tuttavia, a parte le questioni di prestigio, immagino che un bel ratto, di quelli appunto che frequentano le discariche, non sia una preda da disprezzare.
E lei crede che sia facile acchiappare un ratto? Da principio la caccia riusciva, si vedeva qualcosa muovere in mezzo ai rifiuti, giù in picchiata, un bel colpo di becco nella nuca e il ratto era spacciato. Ma sono una razza terribilmente intelligente, e hanno subito imparato come difendersi. Prima di tutto escono solo di notte, e noi di notte non ci vediamo bene. Poi mettono uno di loro di sentinella, e se uno di noi incrocia sulla discarica la sentinella dà l’allarme e tutti si rintanano. Infine, fanno paura ai gatti, ma fanno paura anche a noi, quelle poche volte che ci riesce di affrontare uno di sorpresa e in campo aperto. Hanno certi denti e riflessi così pronti, che parecchi di noi ci hanno rimesso le penne, e non solo quelle.
Così non vi restano che i rifiuti?
Lei vuole proprio mettere sale sulla piaga. Rifiuti, sì. È poco dignitoso, ma redditizio. Finirà che anch’io ruberò il mestiere alle cornacchie e mi abituerò a mangiare carogne, ossi male spolpati, o addirittura diventerò vegetariano. A questo mondo chi non si sa adattare soccombe. In questo, devo dirlo, mia moglie ha meno scrupoli di me. Quando è il mio turno di covare, lei se ne va in giro a piedi sulla discarica e mi porta un po’ di tutto, tanto che ho dovuto farle una paternale e spiegarle che il polietilene va lasciato dov’è, non serve neppure a foderare il nido perché è troppo impermeabile. Vedesse che cosa mi porta: gattini morti, torsoli di cavolo, bucce di frutta e scorze di cocomeri. Io ho ancora qualche ripugnanza, ma i piccoli mangiano tutto. La prossima generazione mi spaventa, non c’è più ritegno.
Signore, lei mi pare troppo pessimista. Come in Inghilterra hanno risanato il Tamigi così risaneremo i nostri fiumi, e allora anche il mare tornerà a essere com’era. Del resto, si consoli: anche fra noi uomini ci sono quelli che saprebbero volare e nuotare, ma che invece, per mala sorte o per poco coraggio, girano per gli immondezzai a raccogliere sudiciume. Bisognerà dare a loro, e a voi, l’occasione di restaurare la loro dignità. La prego, non dimentichi il mare.
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