Il giornalista Enzo Magrì (Catania 29 agosto 1931, Milano 8 settembre 2013).
È stato capocronista del Giorno e inviato speciale dell’Europeo. Ha lasciato la moglie Pucci e le figlie Antonella e Paola.

Oltre che un simbolo tragico nella storia dell’Italia, l’8 settembre costituisce per me il giorno in cui la notizia di una morte mi toccò da vicino: quella di Enzo Magrì, mio compagno di stanza nel mitico Europeo di Tommaso Giglio per lunghi anni e fraterno amico che, leggendo i miei pezzi, mi incoraggiava e, lui maestro di cronaca, mi prediceva, con una generosità rara nelle redazioni, vicini successi professionali.
Enzo era nato a Catania il 29 agosto 1931 (e il suo nome andrebbe affiancato in Wikipedia, magari anche con l’intestazione di una via, a quelli dei giornalisti più conosciuti del capoluogo etneo come Giuseppe Fava, ucciso dalla mafia, e Candido Cannavò, a lungo timoniere della Gazzetta dello Sport). Un anno fa il drago che si era insediato nel suo organismo ebbe la meglio. L’avevo incontrato pochi giorni prima e mi aveva preannunciato, anche qui con una eleganza coraggiosa e dignitosa, la vicina fine. Lui, che era stato il re dell’intervista (regina era l’Oriana Fallaci) aveva appena concluso uno dei suoi libri di biografie e di Storia italiana della prima metà del Novecento in cui confluivano le sue minuziose ricerche di cronista di razza (era stato, prima che inviato dell’Europeo, il capocronista del Giorno).

In Guerre di carta. Il giornalismo milanese dal 1859 al 2000 (Pietro Macchione editore) Enzo ricostruisce, con la consueta felicità di scrittura unita alla profondità delle fonti, la storia di 150 di giornalismo milanese e lombardo, che è poi la storia delle grandi trasformazioni economiche, sociali e culturali che hanno attraversato l’Italia, dall’Unità alle soglie del terzo millennio. L’ultima, appassionata dichiarazione d’amore di Enzo per il mestiere di tutta la vita. Se è vero che, come dice Plutarco, “questo noi mortali abbiamo di immortale: il ricordo che lasciamo, il ricordo che perpetuiamo”, perpetuerò il ricordo di un maestro, fiero di averlo avuto come amico. E qui di seguito riporto la sua prefazione a Guerre di carta. (s.g.)

testo di Enzo Magrì

Nessuna città italiana ebbe un giornalismo così travagliato come quello milanese. Dal 1859, anno in cui la città fu liberata dagli austriaci, e fino al 1945, quando fu affrancata, insieme con l’Italia, dal nazifascismo (l’arco di tempo in cui si aggomitola questa storia), il mondo della carta stampata è stato impegnato nell’interpretazione di un mestiere che si è confrontato con quello europeo e americano avendo nei suoi ranghi professionisti originari di altre parti d’Italia; uomini che hanno rappresentato la sua forza e una peculiarità che si è conservata immutata: allora (come oggi) le penne dei suoi giornalisti hanno continuato a esprimere lo spirito intraprendente, colto e imprenditoriale della città. I risultati sono stati la nascita di due giornali che raggiunsero subito una notorietà nazionale: uno, il Secolo, tanto conosciuto nel Paese che Giovanni Verga, nei Malavoglia, lo mette in mano (anno 1866) al farmacista radicale di Aci Trezza; l’altro, il Corriere della Sera, che dal 1904 è il foglio più diffuso d’Italia.

Aspirando a confrontarsi con il migliore mestiere europeo e americano per migliorarsi, negli anni Ottanta dell’800 il nostro giornalismo mandò addirittura un suo rappresentante negli Stati Uniti per scoprire “i segreti” del successo di quei professionisti anche se poi, tornato da oltreoceano, l’inviato, Dario Papa, suggerì e applicò modelli che i nostri giornali bocciarono bollandoli come americanate. Nel capoluogo lombardo germogliano parecchie iniziative: la campagna contro il duello, anche se condotta in modo paradossale da Ernesto Teodoro Moneta (il giornalista premio Nobel per la Pace nel 1907) che, accusato di vigliaccheria da Cletto Arrighi, fu costretto a scendere sul terreno. Ripresa a Roma, l’iniziativa fu all’origine, nel 1877, della fondazione di un’organizzazione nazionale della categoria (l’Associazione della Stampa Periodica) che nel 1908 dà vita alla Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

La necessità di trovare una propria identità alla professione e di risolvere i problemi che nel frattempo s’erano accumulati a partire dall’Unità d’Italia, incoraggiarono gli uomini dei giornali milanesi, riuniti nell’Associazione Lombarda dei Giornalisti (il secondo dei sindacati territoriali della categoria nato nel 1890), a promuovere, nel 1894, il primo congresso del giornalismo italiano per trovare soluzioni alle molte problematiche che nascevano via via che la professione s’affermava: l’abolizione della censura telegrafica, le questioni morali, gli strumenti per fare riconoscere il giornalista nell’esercizio delle sue funzioni. Tema che innescò il conflitto tra la categoria e il potere politico.

Sì, perché la politica dalla quale il giornalismo, anche quello milanese, aveva promesso istituzionalmente di tenersi fuori, lo coinvolse, e non poteva essere diversamente, con il risultato che al tempo della rivolta della città contro Bava Beccaris (1898) cinque dei suoi più prestigiosi professionisti finirono in galera mentre i loro giornali furono chiusi per tre mesi.
Ancora dentro la politica precipitò l’ALG nel 1914 quando dovette “processare” Benito Mussolini, sospetto di aver abbandonato la neutralità per l’interventismo e d’aver fondato  Il Popolo d’Italia con i soldi dei francesi. L’Associazione lo assolse ma il futuro duce non se ne ricordò nel 1925 quando da presidente del consiglio rese facile alle sue squadracce, guidate dal fratello Arnaldo, la conquista di via Silvio Pellico. Alla vittoria dei fascisti, ottenuta con subdoli intrighi, corrispose venti anni più tardi, nei giorni della Liberazione, la magnanimità dei vincitori suggerita dalla saggezza e dalla lungimiranza delle molte vittime del regime che evitarono il ricorso a una facile vendetta.

La vitalità del giornalismo lombardo, le cronache e le storie nate dopo la prima rifondazione del mestiere (quella seguita  alla cacciata degli austriaci; la seconda matura dopo la caduta del fascismo) sono raccontate in questo libro. Il volume evoca anche l’impeto che la professione manifestò attraverso le numerose vicende vissute da molti dei suoi protagonisti: da quelle dei moschettieri del Gazzettino Rosa, che provocarono gli ufficiali degli Ussari per sfidarli a
duello, alla nascita della Cronaca e dell’Inchiesta, all’impegno dell’ALG per disegnare (anche in contrasto con i colleghi di Roma) un profilo, il più somigliante possibile, al vero operatore del settore negli anni in cui egli era privo d’una sua identità, e molti, dall’impiegato al parlamentare, ne usurpavano le funzioni.

La vigorosa esuberanza del nostro mestiere ha generato in qualche caso imbarazzi e laceranti conflitti ma anche indimenticabili personaggi, come il liberale Luigi Albertini, il rivoluzionario Paolo Valera (amico di Mussolini, insieme con il quale inventò nel 19145 il logo per Il Popolo d’Italia), se vogliamo lo stesso Mussolini; e poi Luca Comerio, uno dei primi fotoreporter italiani, alla cui intraprendenza dobbiamo parecchie delle foto della rivolta del 1898 e il primo bombardamento aereo effettuato in Libia nel 1912.
Soltanto durante il ventennio, i giornali (una settantina tra milanesi e italiani), agli ordini del redattore capo centrale che risiedeva a Palazzo Venezia, privi di cronaca nera, con poche fotografie e senza  il barzinismo, perdettero la loro storica esuberanza divenendo, come scrisse persino Critica Fascista di Giuseppe Bottai, il regno della noia. Per fortuna si ripresero, con vigore (forse anche eccessivo), dopo la Liberazione.

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Enzo Magrì - Guerre di carta

Prima di Guerre di carta, Enzo Magrì ha scritto Salvatore Giuliano (Mondadori 1987); Giuseppe Musolino, il brigante dell’Aspromonte (Camunia 1989); L’onorevole Padrino: la storia del delitto Notarbartolo (Mondadori 1992); I ladri di Roma, lo scandalo della Banca Romana (Mondadori 1993); Un italiano vero, Pitigrilli (Baldini&Castoldi 1999); I fucilati di Mussolini (Baldini&Castoldi 2000); Guido da Verona, l’ebreo fascista (Pellegrini 2005); Luigi Barzini, una vita da inviato (Guido Pagliai 2008).