C’è abbastanza luce per coloro

che desiderano vedere e

sufficiente oscurità per coloro

che hanno disposizione contraria.

Blaise Pascal

Sia detto con grande rispetto per l’impegno di tanti: il continuismo non è la formula politica che consentirà all’Emilia-Romagna di correre da protagonista la competizione per aggiudicarsi il futuro. Servono alcune discontinuità, e un lievito culturale arricchito.
Il futuro va guardato con gli occhi del futuro.

Declino. Il momento dell’Emilia-Romagna è delicato.
Siamo ancora una Regione forte ma ci stiamo allontanando dalle realtà più avanzate alle quali, fino a qualche tempo fa, eravamo allineati. Il declino dell’Italia pesa su questa situazione ma non ne è la ragione esclusiva. Scrutarsi dentro diventa la condizione per andare avanti. Le nostre realizzazioni sociali non incuriosiscono più il mondo. Le nostre esperienze in campo ambientale non trovano menzione nella letteratura europea. Un’economia vitale conosce tuttavia problemi importanti. Anche l’agricoltura soffre. La passione con cui l’ho seguita e una modesta inclinazione autocritica non mi fanno velo. Non è male dire male del male. Riconoscerlo è un atto di onestà. Che può aiutare il bene a crescere.

Affaticamento. Stiamo consegnando poco alla storia e un po’ troppo alla cronaca. La fase che si sta per aprire non può ricalcare quella che si è appena chiusa. Che ha conosciuto momenti importanti ma mostra da qualche tempo segni di affaticamento. Accade che i protagonisti di un’esperienza prolungata siano gli ultimi ad avvertire l’esigenza del cambiamento. Ci si affeziona alle proprie categorie e si fatica a riconoscere i limiti del proprio operato, specie quando si ha coscienza di aver fatto il proprio dovere. Anche o scarraffone, dicono a Napoli, è bello a mamma sua.

Ricambio. Per la fisiologia della politica è salutare che questo lungo periodo volga al termine. Il ricambio è un’occasione di riflessione, i polmoni della politica si aprono, entra aria fresca, vecchio e nuovo, al di là dell’anagrafe possono confrontarsi senza pregiudizi. E’ una straordinaria opportunità di ricomporre una visione comune lungo una direttrice dinamica di ricerca. Se solo capiamo che stiamo vivendo la fine di una vicenda politica ventennale, non della storia riformista dell’Emilia-Romagna. Che ha avuto, prima di essa, e può conoscere dopo espressioni diversificate.

Pesi. Chi presume di esserne depositario dovrebbe avere la generosa lucidità di capire che non ne è il solo né necessariamente il migliore interprete. C’è un discorso da riprendere, antico eppur nuovo. Quello delle grandi domande emerse dopo il 1989, che portarono alla nascita dell’Ulivo, prima del suo precoce avvizzirsi, del vuoto che il PD non ha colmato. Anni di innovazione culturale sentita, sofferta. La realtà percorsa da grandi fermenti. Si trasformano i riferimenti sociali, cambiano le chiavi di lettura. Si cercano nuove sintesi. Un partito ancora forte, partecipato, rappresentativo discute, così li chiamavamo, dei tagli alla carne viva che avrebbe dovuto infliggersi per liberarsi dai pesi culturali e materiali che trattenevano un volo più alto e ricco di traiettorie.

Qualità. Si afferma l’idea di uno sviluppo diverso, l’accento viene posto sulla sua qualità, economica, sociale e ambientale. Il cambiamento non fa paura, e il rinnovamento neppure. Il partito è un laboratorio di idee da offrire alle Istituzioni. A questo si dedica Davide Visani nel periodo in cui lo guida in Emilia-Romagna e siede in Consiglio regionale. Un pensiero conservatore e rivoluzionario, avrebbe detto Berlinguer. Sentir parlare, oggi, di modelli da preservare fa sincera impressione. Non c’è alcun modello. Quello originale del dopoguerra aveva cominciato a non esserlo più vent’anni fa. Uno nuovo non è mai nato. Né pensavamo dovesse nascere.

Curiosità. “Di qui in avanti”, disse Bruno Trentin all’indomani della caduta del muro di Berlino, che non aveva affatto risparmiato il PCI e la sua cultura, “il futuro della sinistra sarà sperimentazione di sé in rapporto al mondo che cambia”. Cambiare il nome non sarebbe bastato. Cresceva il sentimento della nostra inadeguatezza e grande era la curiosità per rispondere alle domande del nuovo secolo alle porte. Chi non ha scambiato la ditta per un’agenzia di collocamento le conosce, le ha condivise, ha partecipato alla ricerca. Tra un sussurro e un grido di Luciano Guerzoni, segretario regionale del PCI, ci si interrogava per capire cosa fosse meglio per l’Emilia-Romagna. C’era anche un giovane Errani, tra i più intraprendenti e curiosi. Allora. La nostra bella amicizia si nutriva anche di stimolazioni intellettuali, che credevamo inesauribili.

Mediocrità. Sarebbe bello, e utile, riscoprire l’autenticità del confronto, non cancellarlo indossando un’unica maschera. Fare sì che raggiunga il livello di verità che ci coinvolge e che serve per capire le cose da fare. Senza soggiacere al ricatto mortale del pensare positivo, che serve a dissimulare i difetti più che a correggerli. C’è tanta vana presunzione in giro. E tanta mediocrità. Non è colpa di questo o di quello. E’ il limite di un gruppo dirigente la cui consistenza valoriale e sociale resta, nella percezione della nostra gente, indefinita. Poco a poco i Circoli rischiano di somigliare dolorosamente a quella pieve di villaggio nella quale il pastore Ericsson, nel capolavoro di Ingmar Bergman “Luci d’inverno” dice la messa in una chiesa vuota di fedeli.

Passione. Non si tiene assieme una società senza produrre identificazione. L’Emilia-Romagna è una terra moderna e conservatrice, ricca di energie positive, di cultura del fare ma anche di passione per il pensare, capace ancora di sentire. La sua cultura non è monolitica né tanto meno definitiva. Istituzioni curiose, guidate da uomini intelligenti, che vogliono confrontarsi, imparare, capire e, assieme, organizzare a agire, potrebbero esserle di grande giovamento.

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Guido Tampieri (Massa Lombarda, Ravenna, 1948) è un sindacalista e politico italiano. Laureato in giurisprudenza all’Università di Bologna. Eletto nel 1992 consigliere regionale dell’Emilia-Romagna, dove è stato componente delle Commissioni “Bilancio e programmazione” e “Attività produttive”. Della Regione Emilia-Romagna è stato assessore all’agricoltura dal 1993 al 2005 e assessore all’agricoltura, ambiente e sviluppo sostenibile dal 2000 al 2005. Dal maggio 2006 al maggio 2008 ha fatto parte del Governo Prodi II come Sottosegretario di Stato al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. È stato presidente della consulta nazionale del Partito Democratico per l’agricoltura.