Leggo delle gravissime e ingiuste difficoltà che hanno portato allo sciopero a oltranza i colleghi della Gazzetta del Mezzogiorno, il quotidiano di Bari dove mossi i primi passi di praticante. I redattori sono senza stipendio da novembre 2018. La società editrice versa in uno stato di incertezza da quando le quote di maggioranza sono state sequestrate dal Tribunale di Catania all’editore Mario Ciancio Sanfilippo e gli amministratori giudiziari siciliani gestiscono un’azienda editoriale con 131 anni di storia “come se fosse una pizzeria” (copyright Federazione nazionale della stampa). Il tutto nella totale assenza del Governo, sul fronte della Gazzetta (e su altri fronti di crisi di aziende che producono informazione, da Ascanews a Città di Salerno o Mondadori).
Insieme al pensiero solidale per gli antichi colleghi e amici della Gazzetta, aggrediti nella loro dignità lavorativa, voglio porgere loro il ricordo di una rappresentazione teatrale che ebbe proprio Bari come sfondo. Correva l’anno 1972 e Michele Mirabella, il popolare conduttore televisivo di Elisir, era il regista di “Una notte di guerra al Museo del Prado”, di Rafael Alberti, allestito dalla Compagnia del Cut di Bari con Giorgio Aldini.
Nel museo madrileno le opere (nella immaginazione poetica del grande Alberti) si animano durante la guerra civile spagnola, vissuta realmente dall’autore, incaricato di salvare i quadri più preziosi dall’assedio delle truppe di Franco. I lealisti repubblicani, assediati dai golpisti, stanno per arrendersi quando, dai quadri appesi ai muri del principale museo madrileno, si materializzano gli eroi della Storia spagnola che incoraggiano gli assediati a resistere, perché loro sono dalla parte giusta. E così i lealisti, rinforzati nell’orgoglio e nell’autostima, resistono fino a completare con successo una mirabile Operazione Salvataggio (dal titolo del mio libro per Chiarelettere che riporta un ampio capitolo sulla vicenda madrilena).
Direte voi: che c’entra la notte al Prado con la notte che sta vivendo la Gazzetta di Bari? C’entra, e lo spunto mi viene da un prezioso libro, Bari dal borgo alla città. I protagonisti, di Nicola Mascellaro, per 30 anni rigoroso responsabile dell’Archivio fotografico e di documentazione proprio della Gazzetta. Nel libro (edito da Di Marsico, Modugno, pagine 364, 22 euro), sfilano tanti personaggi storici che, per la loro lungimiranza, competenza, integrità morale e intellettuale, hanno reso grande il nome di Bari nel mondo, elevando i suoi abitanti nell’immaginario collettivo da abili marinai e imprenditori di commerci e industrie a edificatori di una “grande e bella città”, come il poeta Armando Perotti mise in bocca a Gioacchino Murat.
Pagina dopo pagina scorrono le vite di tanti protagonisti fra i quali mi piace illuminare i giornalisti, perché con il loro impegno quotidiano hanno fornito le munizioni informative per far crescere le fortune di Bari, della Puglia e delle terre vicine.
Mascellaro parte da fine Ottocento, quando Martino Cassano (1861-1927) fa nascere il primo quotidiano di Bari, il Corriere delle Puglie, per proseguire con altre grandi firme del giornalismo pugliese come Raffaele Gorjux, al quale spetterà di condurre la Gazzetta fino al dopoguerra; Wanda Gorjux, donna di belle intelligenza e di forte impegno politico; Luigi De Secly; Oronzo Valentini (che mi chiamò in redazione, riuscendo a gioire quando il mitico direttore dell’Europeo Tommaso Giglio mi chiamò a Milano dopo aver ricevuto un mio testo su “Il Sud ha bisogno di giornali, più che industrie”: “Il dispiacere di vederti partire è cancellato dalla sensazione piacevole di aver visto giusto a puntare su di te”, mi salutò “Nino” Valentini); Giuseppe Giacovazzo con la sua passione per la cultura (memorabile un suo testo “Paese vivrai!” che mi offre lo spunto per il titolo di questo appello) e Bepi Gorjux.
Ecco, a me piace pensare che, come nella metafora poetica della Notte al Prado, questi protagonisti storici della Gazzetta si possano materializzare accanto ai colleghi oggi in difficoltà, diretti da Giuseppe De Tomaso, e li incoraggino a resistere perché sono dalla parte giusta. E perché i più vivaci tra gli imprenditori locali, eredi di quegli abili commercianti e industriali che hanno fatto grande Bari, si facciano avanti per rilevare le quote proprietarie ex Ciancio e fare Bari nuova regina nell’economia della conoscenza. La loro indifferenza può condannare le nostre terre pugliesi e lucane (già penalizzate negli anni scorsi dalla incomprensibile scomparsa dei giornali dagli autogrill lungo l’autostrada) al declassamento culturale, economico e sociale.
A PROPOSITO
Nicola e Gianfranco Dioguardi, il DNA lussureggiante dell’architetto-artista Saverio
interviste di Salvatore Giannella
Tra i tanti personaggi che ti vengono incontro nel libro di Nicola Mascellaro c’è l’architetto-artista Saverio Dioguardi (1888-1961), cresciuto nell’azienda di costruzioni di famiglia, una vita nei cantieri edili ad affinare il mestiere e, da autodidatta, ad avviarsi all’architettura sorretto da una fiducia in un pensiero-chiave di grande attualità: “Investire per crescere”. Nel corso della Prima guerra mondiale, Saverio conosce la sua futura moglie, Maria Blatusigh, sfollata a Udine dal borgo natale di San Daniele. Con lei Saverio si avvia a un fecondo periodo creativo, anche su fronti internazionali, mentre si deve a lui la nuova sede della Gazzetta del Mezzogiorno in piazza Roma. L’incontro tra il pugliese Saverio e la friulana Maria innesca quello che i biologi chiamano “lussureggiamento degli ibridi” (è quando gli individui di due varietà molto diverse della stessa specie si accoppiano: i figli nascono con caratteristiche esaltate rispetto ai genitori). Nascono Nicola, classe 1921, direttore scientifico emerito di Humanitas a Rozzano, alle porte di Milano, e autorità a livello mondiale nella ricerca sule malattie del fegato; e poi Gianfranco, venuto al mondo nel 1938, ingegnere dai molteplici interessi culturali, già professore ordinario di Economia e organizzazione aziendale presso il Politecnico di Bari, creatore della Fondazione che porta il suo nome. Li ho incontrati e intervistati nel 2014 e nel 2016 per lo storico magazine del Corriere della Sera, Sette (allora diretto da Pier Luigi Vercesi). Il dialogo con Nicola è confluito tra le prime 67 interviste che, arricchite, formano il libro “In viaggio con i maestri” (Minerva Edizioni, Bologna, 2018).
Con Galileo diventiamo tutti futurologi.
“La pre-visione è il metodo su cui impostava
la sua ricerca e questo gusto
deve valere sempre”: parola di Nicola Dioguardi
Caro professor Dioguardi, più che nello studio di un direttore scientifico ultranovantenne qui all’Humanitas di Rozzano (Milano) alla cui nascita lei ha dato un decisivo contributo (link), sembra di entrare nel laboratorio di un giovane ricercatore. Vedo la nuova macchina che lei sta creando per aiutare il lavoro dei medici con l’informatica, mi parla di progetti futuri come se non le pesassero 60 anni di docenza e di corsia, e trovo che il volume aperto accanto al suo computer è l’opera omnia di Galileo…
“Io riparto da Galileo e dalla sua pre-visione, il metodo su cui impostava la sua ricerca. La materia, per Galileo, si muove come si muovono gli astri. Quindi un approccio corretto da parte di uno scienziato, di un medico ma anche di qualunque altro che voglia essere protagonista del suo tempo è pre-vedere la dinamica della scienza, della salute del corpo umano e anche del corpo sociale. Essere, in definitiva, bravi osservatori del presente ma anche bravi futurologi”.
Nella sua attività di grande epatologo, che cosa cambia?
“Per un medico questo implica una svolta importante sulla pre-visione della malattia. Ci sono parti del corpo umano di cui possiamo identificare l’usura indipendentemente dalla malattia. Magari oggi l’usura è limitata, ma aumenta con l’avanzare dell’età, perché tu consumi la potenzialità dinamica. Conoscere la potenzialità dinamica può aiutare il bravo medico a prendere decisioni più sagge e utili per il paziente”.
La macchina che sta mettendo a punto si chiama dinamometro perché misura la capacità dinamica di un essere vivente. Per esempio, lei può prevedere lo stato di salute e il dinamismo residuo del fegato…
“Esatto, ma la macchina deve essere perfezionata e credo vadano risolti anche delicati problemi di etica. Vede come cambia lo scenario se si passa da una visione della scienza statica a una dinamica?”
Questo vale per i medici e gli scienziati. E per gli italiani normali?
“Per gli italiani normali essere più galileiani vuol dire privilegiare uno sguardo al proprio futuro, chiedersi dove sarò tra due anni, cosa farò, con chi, con quali mezzi. Vuol dire avere il gusto della pre-visione, vuol essere un invito a sviluppare il senso del futuro negli ospedali e nei ministeri, nelle scuole e nel mondo del lavoro affinché non succeda che si creino 40 mila laureati che non sono idonei a occupare 40 mila posti di lavoro richiesti: come purtroppo capita oggi, a riprova del fatto che in Italia è mancata la pre-visione. Vede? Siamo partiti da Galileo (1564-1642, scienziato ingiustamente eretico per le sue teorie sui massimi sistemi, processato e condannato dalla Chiesa per le sue concezioni astronomiche: solo 359 anni dopo papa Giovanni Paolo II riconoscerà gli “errori commessi” nei suoi confronti) e ci accorgiamo quanto pragmatismo ci sia nella sua visione politica. E quanto sia importante riscoprire Galileo nella nostra quotidianità”.
“L’Encyclopédie di Diderot, padre delle connessioni, servirebbe al governo complesso delle città”: parola di Gianfranco Dioguardi
Caro ingegnere, su quale rotta la sta portando la sua esperienza di esploratore del mondo delle idee e delle imprese?
“Su un nome antico da riscoprire e su nuove alleanze per poter governare questo nostro tempo segnato da un cambiamento frenetico. Il personaggio è Diderot, creatore dell’Encyclopédie e tra i padri dell’Illuminismo francese. Una figura affascinante, che racchiude in sé sia il filosofo sia l’imprenditore, in quanto fu anche editore della sua impresa. Lo scoprii da giovanissimo. Dove abitavamo, a Bari, le enciclopedie erano di casa. Merito di mio padre, Saverio, architetto-imprenditore e soprattutto di mia madre Maria, nipote del grande penalista Vincenzo Manzini, costante suscitatrice culturale di noi quattro fratelli. I miei cantieri in Francia mi hanno poi fatto approfondire la conoscenza di quel Grande Spirito. Nel ’95 ho pubblicato con Sellerio un Dossier Diderot che, tradotto in Francia, mi ha meritato la Legion d’Onore”.
Riscoprire Diderot per nuove alleanze. Quali?
“Il problema prioritario oggi è il governo delle città, diventate realtà sempre più complesse, che stanno affondando in un degrado più evidente nelle periferie. Affrontare sfide come questa vuol dire riproporre collaborazioni tra le caratteristiche che furono tipiche del Rinascimento italiano e la razionalità dell’Illuminismo francese (collaborazioni da attuare grazie appunto ad alleanze tra istituzioni imprenditoriali e fondazioni culturali, come la Dioguardi, quella di Quai d’Orsay e il Politecnico di Milano). Coniugando tradizione consolidata e innovazione, nasce quella cultura antica e nuova di ‘impresa enciclopedica’ che dovrebbe puntare a due obiettivi prioritari: valorizzare le antiche fabbriche, recuperare e rivitalizzare le periferie degradate grazie alla creazione di city schools che sfornino bravi manager urbani”.
Uno scenario che richiede la bravura delle connessioni: mi viene in mente l’importanza crescente che avrà il giornalismo di qualità. Nelle sue lezioni agli allievi dell’Istituto di formazione al giornalismo, Beppe Severgnini (firma nota del Corriere e di Sette), definisce così la professione giornalistica: “Il mestiere del giornalista non è quello del docente universitario o del ricercatore scientifico che conosce ogni minuzia della sua materia. Il giornalista è un artista che dipinge un quadro più completo mettendo in connessione ciascuno di noi, che nella quotidianità vive chiuso in una scatoletta”.
“Ecco, connettere la politica con la scienza per avere ramificazioni virtuose nel territorio governato: come ai tempi della connessione tra Ludovico il Moro e Leonardo da Vinci per l’Operazione Navigli a Milano realizzati per ‘conducer acqua da uno loco ad uno altro’. Così immagino essere i capillari della nuova cultura”.
Dalla collana “Il mio eroe”:
- Giovanni Palatucci (1909-1945), scelto da Ennio Di Francesco, già commissario di Polizia e fautore del Movimento democratico della riforma della polizia
- Giuseppe Caronia (1884-1977), grande pediatra che salvò molti ebrei e antifascisti a rischio della sua vita, è l’eroe scelto da Italo Farnetani, il medico dei piccoli
- Roberto Baggio sceglie il maestro buddhista Daisaku Ikeda, che ha dedicato la vita a sradicare le cause della violenza
- E Gianni Boncompagni scelse Arturo Benedetti Michelangeli, il più grande pianista del mondo tifoso di Enzo Ferrari e Topolino
- Nerio Alessandri: quel giorno nella vita di mr. Technogym, il romagnolo che fa muovere il mondo: “Il mio eroe? Un altro innovatore che, come me, partì da un garage: Steve Jobs“
- Dario Fo elogia il Ruzzante: “Fu un vero rivoluzionario, l’unico che, in forma satirica, ha parlato del suo tempo”
- Urbano Cairo: “Se scalo le montagne lo devo a un filosofo-faro: Napoleone”
- Antonio Cederna, giornalista e battagliero difensore della città, del paesaggio, della bellezza italiana
- Brunello Cucinelli dona bonus culturale ai suoi 1.450 dipendenti e sceglie Marco Aurelio
- E don Ciotti mi indicò il suo eroe: Tonino Bello, vescovo degli ultimi
- Michael Collins: era italiano il gregario spaziale rimasto a orbitare intorno alla Luna. Ecco chi me lo raccontò
- Zorro, cent’anni fa nasceva la leggenda del giustiziere mascherato (l’eroe di Etro)
- Un eroe e un amore che, mi confidò, abitavano nella mente di Luciano De Crescenzo
- Rossana e Carlo Pedretti: le loro vite nel segno di quel genio di Leonardo
- E Roberto Bolle mi confidò: “Il mio eroe? Adam, bambino soldato d’Africa”
- Fabrizio Barca: “il mio uomo faro? Amartya Sen. Quell’economista e Nobel indiano ha dato una risposta alle paure e alla arida globalizzazione”
- Raffaella Carrà: “Felicità è aver avuto una nonna come Andreina mia maestra in una Romagna che era piena di note e di libertà”
- Lo spirito guida di Massimo Giletti? Toro Seduto, un leader lontano da potere e profitto
- E Mauro Corona mi confessò: “Devo a Mario Rigoni Stern la mia rinascita”
- Quando Maria Rita Parsi mi illuminò il suo spirito guida: Giovanni Bollea, esploratore delle menti bambine
- Giuseppe Masera: “per chi come me ha dedicato una vita nella battaglia alla leucemia infantile, la figura di Giovanni Verga assume i contorni di un gigante”
- Nel glossario di Andrea Camilleri inserite la voce: Mandrake, l’idolo che mi confessò
- Quando il grande giornalista Enzo Bettiza mi indicò il suo eroe vivente: Mario Draghi, italiano europeo che punta su competenza e controllo