Viaggio attraverso la Via Francigena, itinerario scoperto dai Longobardi che ha ottenuto il patrocinio del Consiglio d’Europa. Scoprendo che il ministero per i Beni culturali a oggi ha già finanziato 230 progetti per un ammontare complessivo di quasi 18 milioni di euro
Nell’Alto Medioevo era chiamata Via di Monte Bardone, da Mons Langobardorum, antico nome del Passo della Cisa. Fu il re longobardo Rotari, verso la metà del VII secolo, a seguito della conquista della costa ligure denominata Marictima e della fortezza della Cisa, il primo a voler usare quell’antica tratta consolare romana rupta (caduta in disuso, da qui l’uso della parola “rotta” come direzione da prendere), alla ricerca di un itinerario poco battuto, soprattutto dai nemici Bizantini, che collegasse il regno di Pavia ai ducati meridionali.
Scavalcato l’Appennino presso la Cisa, il percorso seguiva le valli di fiumi e torrenti fino al Lazio, dove confluiva nella Via Cassia che sboccava a Roma: il Magra in direzione Lucca, poi l’Elsa verso Siena e quindi l’Arbia, l’Orcia e il Paglia. Fu sotto i Franchi che cambiò definitivamente nome: Via Francigena.
Verso i porti pugliesi per la Terrasanta
Dopo l’anno Mille la Via Francigena divenne un canale di comunicazione determinante per la realizzazione dell’unità culturale europea, principale direttrice tra il Nord e il Sud, battuta da eserciti, mercanti ma soprattutto da religiosi. Crocevia delle tre grandi mete della fede (Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostela), i pellegrini provenienti dal Nord Europa la percorrevano per recarsi nell’Urbe e da qui, lungo la Via Appia, verso i porti pugliesi per la Terrasanta.
In senso opposto, da Sud a Nord verso Santiago, conduceva a Luni dove ci si imbarcava verso la Francia con itinerario marittimo o, via terraferma, attraversato il Moncenisio, sulla Via Tolosana fino in Spagna.
A piedi ogni giorno per 25 km
Il percorso ufficiale della Via Francigena, così come si può seguire oggi, fu letteralmente redatto nel 990 d.C. nel viaggio di ritorno da Roma verso Canterbury di Sigerico, un abate inglese appena nominato arcivescovo da papa Giovanni XV: due pagine manoscritte che annotavano le 79 tappe lungo i 2.000 chilometri fra Italia, Svizzera, Francia e Inghilterra, con particolare riferimento alle mansiones, gli alloggi per la notte.
Un cammino a piedi di circa 25 chilometri giornalieri che nel tratto italiano attraversava sette regioni (Lazio, Toscana, Liguria, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta) e 140 comuni per un totale di 44 tappe (link).
Da Roma a S. Maria di Leuca
Lo scorso 1° luglio, con delibera della Giunta, anche la Regione Puglia ha approvato il tracciato ufficiale della Via Francigena, con il doppio intento di valorizzazione turistica integrata di Beni culturali e Vincolo paesaggistico.
L’assessore al Turismo, Silvia Godelli e quello alla Qualità del territorio, Angela Barbanente, hanno sottolineato che
Attualmente il Consiglio d’Europa ha approvato solo il tratto di Francigena che da Canterbury conduce a Roma, ma si è al lavoro per il riconoscimento degli itinerari del Sud che dalla capitale portano a Santa Maria di Leuca – e di lì a Gerusalemme -, con il coinvolgimento, oltre che della Puglia, di Molise, Campania e Basilicata.
Un docu-film di 70 minuti
Intanto l’8 luglio scorso, presso l’ex chiesa di Santa Marta a Roma, è stato presentato il docu-film L’Italia dei Longobardi, prodotto grazie al finanziamento della legge 77/2006, «Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco», erogato dalla direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Come ha spiegato il professor Luca Peyronel, docente Iulm, il lavoro è durato un anno tra fase preparatoria, sopralluoghi e riprese filmate, per un totale di 300 ore di girato, racchiuse in 70 minuti densi di immagini che rappresentano ben 27 diverse location e da interviste a 40 personaggi tra testimonial, studiosi ed esperti.
Un Libro bianco sui finanziamenti
Dopo i saluti del ministro Massimo Bray, alla conferenza stampa del film, prodotto dall’associazione Italia Langobardorum, in partenariato con Archeoframe, il laboratorio di valorizzazione e comunicazione dei Beni archeologici dell’Università Iulm di Milano, il direttore generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale, Anna Maria Buzzi, ha sottolineato l’importanza «di fare sistema, per valorizzare insieme, istituzioni ed enti territoriali, le eccellenze culturali, che in Italia sono tantissime» proprio come è stato fatto dalla rete di amministratori, associazioni e professionisti dei Beni culturali «che hanno collaborato fattivamente per lo sviluppo, la candidatura e il riconoscimento del sito dell’Associazione Beni Italiani “I Longobardi in Italia. I Luoghi del potere (568-774 d.C.)”, che dal 25 giugno 2011 è iscritto nella lista del Patrimonio mondiale Unesco».
Buzzi ha poi ricordato l’importanza della legge 77/2006: «Dall’entrata in vigore a oggi sono stati finanziati 230 progetti per un ammontare complessivo di quasi 18 milioni di euro» e ha annunciato l’imminente pubblicazione, anche sul sito della Valorizzazione, del Libro bianco (curato da Manuel Roberto Guido, Silvia Patrignani e Angela Ferroni, ed edito da Rubbettino), «una grande operazione di trasparenza che fa il punto sullo stato d’attuazione della legge e dimostra come sono stati utilizzati i finanziamenti».
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