Nel 2017 io e centinaia di migliaia di italiani siamo stati travolti da un insolito ciclone d’arte: Vincent van Gogh. La vita del grande artista olandese, in uno spettacolare film interamente dipinto su tela (Loving Vincent) ha conquistato i miei occhi e il record del botteghino italiano: un dato su tutti, in tre giorni (16, 17 e 18 ottobre) oltre 130 mila spettatori hanno ammirato il film che ha incassato più di 1 milione e 200 mila euro, il 50% degli incassi totali di tutti i cinema italiani, motivo per cui è stata programmata una replica in contemporanea nazionale per lunedì 20 novembre nelle sale cinematografiche che l’hanno richiesto, e a fronte del rinnovato successo, per chiudere la stagione del 2017 in bellezza, un’ulteriore replica lunedì 18 dicembre. In più a Vicenza, Basilica Palladiana, è ammirabile fino all’8 aprile 2018 la mostra ‘Van Gogh. Tra il grano e il cielo’, intensa monografica che porta la firma di Marco Goldin.

Nel testo a seguire la nostra collaboratrice e storica dell’arte Betty Rutigliano ci presenta questa pellicola che rappresenta un’opera d’arte su un genio dell’arte.

van-gogh-libro-brigolo-vercelliPochi giorni dopo incontro ad Aramengo, in occasione di una festa nuziale nella famiglia di famosi restauratori Nicola, il giornalista e scrittore della Stampa, Armando Brignolo, che ha firmato un libro a fumetti su Van Gogh con annessa ipotesi sulla sua morte violenta (fu un omicidio?). Scrive Brignolo: “Da sempre si è dato per scontato il suicidio di Van Gogh. Ma questa tesi, come per qualsiasi altra che riguarda l’esistenza del pittore, deve essere considerata solamente una ipotesi. Come ipotesi è quella dell’omicidio da me sostenuta in base alle mie letture. Sulla morte di Vincent gravano sospetti dovuti a una inchiesta giudiziaria seria mai avvenuta e segnata dalla mancanza di un verbale ufficiale; alla traiettoria del proiettile che, sparato all’altezza del cuore e andandosi a conficcare nel basso ventre, fa supporre che l’arma fosse stata tenuta non in posizione orizzontale, ma con la canna rivolta verso il basso per tirare alla persona in posizione china, intenta a raccogliere i colori per riporli nella scatola dopo aver dipinto una tela; all’interrogativo sull’arma mai cercata e mai trovata. Altri particolari dai quali traggo conferma delle mie convinzioni riconducibili alla morte dell’artista il lettore li troverà nel libro di Brignolo & Gino Vercelli Van Gogh. Ipotesi di un delitto a fumetti, Daniela Piazza Editore, Torino, € 23). Nasce da qui il rinnovato invito alla visita sulle tracce di Van Gogh, lo spirito guida del cantante pugliese Caparezza.

Le orme e le radici di Van Gogh sono localizzate nella provincia olandese del Brabante, quella in cui il famoso artista è nato (il 30 marzo 1853, a Zundert, morirà il 29 luglio 1890 ad Auvers-sur-Oise, Francia), ha vissuto e dove ha realizzato la sua prima opera, ‘I mangiatori di patate’. I ‘luoghi di Van Gogh’ sono ubicati nelle immediate vicinanze delle vivaci città e propongono moltissimi spunti per una visita interessante, durante la quale assistere ad attività quali degustazioni e workshop di pittura.
Per questo motivo è consigliabile trascorrere la notte nella regione in uno dei paesi dell’itinerario, quali ad esempio:

  • Auberge Vincent

    Hotel piacevole nel centro della cittadina di Nuenen. L’hotel offre 20 stanze e 5 suite, un accogliente ristorante e una brasserie con tanto di terrazzo. Questo albergo è il punto di partenza ottimale per diverse attività e visite delle attrazioni nelle immediate vicinanze.

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Autoritratto, dipinto ad olio su tela (1889), è conservato al Museo d’Orsay di Parigi.
Van Gogh dipinse un grande numero di autoritratti durante la sua carriera artistica, e questo è considerato uno dei suoi più belli, se non addirittura il migliore. Fu realizzato nel settembre 1889 nel manicomio di Saint Remy, quando il pittore s’era appena ristabilito da una lunga crisi di follia durata due mesi, e durante la quale tentò di uccidersi ingerendo i colori. A proposito di questa tela, Van Gogh scriverà al fratello Theo: “Noterai come l’espressione del mio viso sia più calma, sebbene a me pare che lo sguardo sia più instabile di prima”.

  • Art Hotel Eindhoven

    Trendy hotel nel cuore della città. Caratteristica principale è che si trova nella torre luminosa (‘Lichttoren’), famosa perché una volta ospitava la fabbrica della Philips. L’arte è un tema centrale: gli interni sono caratterizzati da oggetti di design, un mix di antichità e opere d’arte. Nuenen, il paese di Van Gogh, è distante soli 7 km da Eindhoven.

  • Museo all’aperto di Nuenen

    L’attrazione dispone di circa 21 edifici e luoghi che sono direttamente collegati con Van Gogh. Un quarto delle sue opere sono state realizzate a Nuenen. Il Vincentre invece è una vera e propria testimonianza della modo in cui Van Gogh viveva e dipingeva a Nuenen. In virtù delle più moderne tecnologie sembrerà di essere stati trasferiti nel tempo all’epoca di Van Gogh.

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Breda, Brabante Settentrionale (Olanda). La regione del Brabante è situata nella parte sud della nazione. Confina con il Belgio a sud, con il Limburgo ad est, con la Zelanda a ovest e con l’Olanda Meridionale e la Gheldria a nord oltre il fiume Mosa (Maas).

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Fonte: BlogOlanda

A PROPOSITO

Il film “Loving Vincent”:

la grande arte nell’arte

Sul grande schermo è approdato nel 2017 il primo lungometraggio interamente dipinto su tela, in un esperimento che fa immergere lo spettatore dentro i quadri e la vita dell’artista van Gogh, e a indagare sulla sua scomparsa. A ridipingere le scene del film nello stile del pittore olandese, un team di 125 artisti

di Benedetta Rutigliano

Al ritmo di una danza che trascina lo spettatore fino al termine di una storia che ha la suspense di un giallo, pennellate dense di materia e colore, in modo fluido, si trasformano in emozioni, occhi, tele, volti, interni di locande e case, fienili, fiumi, campi di girasoli, notti stellate. I paesaggi e i soggetti di Vincent van Gogh, visibili nei più importanti musei del mondo, prendono vita in Loving Vincent, scritto e diretto da Dorota Kobiela & Hugh Welchman e distribuito nei cinema italiani da Nexo Digital in collaborazione con Adler (con i media partner Radio DEEJAY, Sky Arte HD e MYmovies.it), nell’ambito della rassegna La Grande Arte al Cinema, che inaugura la seconda metà della stagione 2017-18 (qui la programmazione) il 30 e 31 gennaio con il docufilm su uno degli artisti britannici più famosi al mondo, David Hockney.

Un lungometraggio, quello su Vincent van Gogh, che non è solo un film, né solamente un film d’animazione: tutti i fotogrammi di questo capolavoro che ha conquistato i cuori degli spettatori e il botteghino, infatti, sono stati dipinti su tela con la cura e il talento di ben 125 artisti che han preso parte al grande progetto dello studio Breakthru Productions – vincitore dell’Oscar per il cortometraggio animato Pierino e il lupo. Attori in carne e ossa si muovono sulle scene degli studi di Londra e Wroklaw, e si trasformano, grazie alla pittura a olio, in ritratti e paesaggi ispirati allo stile del Maestro. Ma attenzione: non si tratta neanche di una sequenza di opere d’arte reinterpretate, perché c’è un lungo processo specifico, elaborato negli studi di due nazioni (Polonia e Grecia) che ha portato all’attuale visione uniforme del film. Lo spettatore, senza saperlo, si trova davanti a ben 65.000 fotografie in alta risoluzione delle pitture realizzate dagli artisti: immagini ben connesse tra loro, senza tremolii o sbavature, ma in fluido e continuo divenire, grazie a un accurato lavoro di precisione e correzione.

Quel che pare così macchinoso nella tecnica, conduce in realtà a un’esperienza fortemente emozionale nell’intensa vita dell’artista olandese, con lo stesso impeto di un mare in tempesta, dove la cresta di ogni onda dalle gocce variopinte si spezza per infrangersi e prendere una forma diversa. Così nel film ogni colore e ogni pennellata si tuffano in sfumature e personaggi sempre differenti, in un flusso continuo al di fuori dal tempo e dallo spazio.

Ci si ritrova così immersi nel grande schermo, tramite più di 120 quadri (94 dipinti di Van Gogh che sono caratterizzati da una forma simile a quella originale, e 31 che sono rappresentati parzialmente) e 800 lettere – l’intimo scambio epistolare dei fratelli Van Gogh – nei conflitti e nelle sfide professionali e personali del pittore olandese, fino all’epilogo così enigmatico, universalmente registrato come caso di suicidio. Ipotesi che si è sempre ben sposata con le effettive tendenze maniacali e depressive di un talento travagliato come van Gogh, definito da Antonin Artaud il “suicidato della società”. Ma che rimane piena di contraddizioni, come racconta il film, per diversi motivi: uno dei quali è che il pittore, dopo una vita passata a dimostrare a se stesso e agli altri di valere qualcosa, al momento della scomparsa si trovava finalmente quasi all’apice del riconoscimento nel complesso e spietato sistema dell’arte (successo di cui quindi non poté mai godere, ma che ancora, e in modo sempre diverso e più tecnologico, si continua a celebrare).

Loving Vincent, il titolo del film, è tratto dalle ultime parole con cui Vincent van Gogh firmava le sue lettere: ed è proprio per via di una sua lettera che ci addentriamo in questa storia, che comincia in Francia nell’estate del 1891.

Il postino Joseph Roulin possiede un’epistola scritta dall’amico Vincent van Gogh (l’attore Robert Gulaczyk), ormai morto, e chiede al proprio figlio Armand (l’attore Douglas Booth) di consegnarla a mano a Théo van Gogh, amato fratello di Vincent, che vive a Parigi. Armand è demotivato, e non riserva alcuna stima per l’artista, che ha sempre considerato come un folle, tagliatosi un pezzo di orecchio e internato in un ospedale psichiatrico. Il figlio del postino parte ugualmente, con malavoglia, per questa missione, ma arrivato a Parigi scopre da Père Tanguy, il noto commerciante di colori amico di Van Gogh, che Théo è scomparso poco dopo Vincent, distrutto dal dolore per la perdita fraterna. Tanguy racconta ad Armand del legame tra i due, della spinta emotiva ed economica di Théo nei confronti di Vincent nell’aiutarlo a trasformare la sua vita: dopo una serie di tentativi inconcludenti, a 28 anni Vincent van Gogh capisce di dover seguire la propria vocazione artistica, e impugna pennelli e tele giungendo velocemente dove altri stentano ad arrivare in un’intera vita. Da qui Armand comincia a cambiare idea sul pittore, e a interrogarsi sulla natura della sua misteriosa morte. Ha inizio il viaggio verso il villaggio di Auverse-sur-Oise, a un’ora da Parigi, per incontrare il dottor Paul Gachet (l’attore Jerome Flynn), medico di Vincent nelle ultime settimane di vita. Il medico è fuori casa per un paio di giorni, e Armand nel frattempo decide di aspettarlo e continuare le indagini interrogando gli abitanti del villaggio. Si ferma all’albergo dei Ravoux, dove Vincent visse per le ultime dieci settimane prima della ferita di proiettile nell’addome che lo portò alla morte, il 29 luglio 1890. Qui Armand trova degli spunti interessanti da Adeline Ravoux (Eleanor Tomlinson), la figlia del proprietario della locanda, ma interroga anche la domestica di Gachet, Louise Chevalier, la figlia del medico, e il barcaiolo conosciuto da Vincent.

Tra maldicenze popolari, strazianti rivelazioni, equivocabili avvenimenti, Armand continua ostinatamente a cercare la verità per rendere giustizia all’artista van Gogh, di cui si trova infine a difendere le scelte e ad amarne la vita e le opere.

Perché “Non possiamo che parlare con i nostri dipinti”, scrisse Vincent nell’ultima lettera. Ed è stata proprio la sua arte a render nota la sua vita, e ancora le pennellate fluide di questo film – realizzato grazie a una magica alchimia tra arte, tecnologia e pittura – a raccontare questa storia commovente e intrigante che si è aggiudicata il Premio del Pubblico all’ultimo Festival d’Annecy. E che trasporta completamente lo spettatore all’interno di un’opera d’arte continua a più mani e in cui si sovrappongono tempi diversi (quello del passato dei dipinti dell’artista, quello contemporaneo delle riprese, delle pitture dei fotogrammi, della fotografia e dell’animazione, dei successivi e scrupolosi interventi di correzione), con una delicatezza nella tecnica e nella narrazione che ben sono restituite dalle molteplici sfumature di colore tipiche dello stile del Maestro e fil rouge di quest’opera multimediale.

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Benedetta Rutigliano è giornalista pubblicista, divulgatrice di arte e cultura sul web (Wakeupnews.eu, Artincontro.com, Stillmagazine.eu) che ha dimostrato una passione per il giornalismo e la scrittura dai tempi del liceo classico, quando collaborava con il settimanale La Gazzetta della Martesana, edito a Cernusco sul Naviglio. Si è laureata a pieni voti in Storia e critica dell’arte presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sperimentale, sulla pittura murale in edifici pubblici nell’Italia del dopoguerra (gli artisti trattati: Aldo Borgonzoni, Renzo Grazzini, Sineo Gemignani, Armando Pizzinato e Sabino Coloni). Ha frequentato un Master in Giornalismo e comunicazione multimediale e lavora nel campo della comunicazione e dell’organizzazione di eventi.