Tra i commerci, spesso illegali, di opere d’arte, che gli antiquari italiani portavano avanti con gli emissari di Adolf Hitler e del Maresciallo Hermann Göring, negli anni precedenti e durante la Seconda guerra mondiale, rientra lo scambio Göring-Ventura, un caso emblematico di collaborazionismo nell’esportazione di opere d’arte dall’Italia verso la Germania, che svela tristi retroscena, i quali vedono coinvolti, non solo gli antiquari, ma anche funzionari delle Belle Arti e noti studiosi. Un caso che ci fa comprendere anche quanto fossero delicate e fondamentali le fasi di trattativa con i Servizi Alleati, Americani e Inglesi, nell’economia delle restituzioni delle opere d’arte trafugate in Italia.
Ce ne dà un’idea Rodolfo Siviero, che, in qualità di capo dell’Ufficio preposto proprio al recupero delle opere d’arte trafugate dai nazisti, nella vicenda ebbe un ruolo fondamentale. Rileggiamo il suo punto di vista, attraverso le parole scritte nel saggio Esodo e ritorno delle opere d’arte italiane asportate durante la Seconda Guerra Mondiale. Storie note e meno note (il testo si trova edito in L’opera ritrovata: omaggio a Rodolfo Siviero, catalogo della mostra che si tenne a Palazzo Vecchio a Firenze nel 1984, quindi postuma alla morte di Siviero, avvenuta nel novembre 1983):
Per chiarire e contestualizzare le parole di Siviero occorre, però, fare una precisazione: negli anni precedenti e durante la Seconda guerra mondiale, Hitler e il suo maresciallo Hermann Göring, il “numero due” del regime nazista, perpetuarono, oltre agli altri terribili e ben più noti crimini all’umanità, una massiccia spoliazione di opere d’arte in tutta Europa e soprattutto in Italia e in Francia. Lo scopo primo di Hitler (come ben sanno i lettori di “Operazione Salvataggio”, Chiarelettere e i visitatori del MAIO, Museo dell’arte in ostaggio, nato due anni fa a Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, ndr) era quello di creare a Linz, in Austria, il più grande museo di Belle Arti esistente al mondo, che raccogliesse i preziosi manufatti razziati a scapito dei grandi musei e delle più importanti collezioni private, soprattutto se i proprietari di queste ultime erano ebrei. Ovviamente in questo museo ci sarebbe stato posto solo per opere di artisti cosiddetti “classici” (dai Primitivi agli artisti del Rinascimento italiano, dal Seicento all’Ottocento), escludendo l’arte considerata “degenerata”, non in linea, cioè, con gli ideali estetici imposti dal regime. Le opere requisite e facenti parte di quest’ultima categoria servivano come moneta di scambio, in particolare nei traffici con gli antiquari italiani, soprattutto fiorentini. In questa pratica il vero specialista era, appunto, Hermann Göring. I “bersagli preferiti” da colpire erano gli ebrei in fuga dalla persecuzione nazista. Le opere che a questi Göring razziava confluivano poi nella sua personale e privata collezione, una sorta di tempio, dove egli poteva goderne la bellezza in solitudine, chiamato Carinhall, dal nome della prima moglie, Carin. Esso era situato nei pressi del lago Dollnsee, sessantacinque chilometri a nord di Berlino.
Per acquistare le opere che gli interessavano, spesso Göring utilizzava degli emissari. Primo fra tutti Walter Andreas Hofer, dal 1937 suo personale consulente in materia di arte. Altre volte si recava personalmente presso i luoghi di commercio/scambio. Fu a Parigi spesse volte per mettere le mani sulle collezioni sequestrate agli ebrei e depositate dall’ERR al Jeu de Paume in Place de la Concorde. In questo museo, ormai deputato a punto di raccolta delle razzie tedesche, le opere rimanevano in attesa di essere personalmente scelte da Göring. Su richiesta dell’allora direttore dei Musei Nazionali Francesi, Jacques Jaujard, lavorava al museo la giovane Rose Valland, che, testimone oculare di tutto ciò che accadeva all’interno del museo, raccoglieva quante più informazioni possibili sui traffici e gli spostamenti delle opere d’arte. Informazioni che poi comunicava alla Resistenza, che a sua volta cercava di intercettare i mezzi su cui viaggiavano le opere dirette in Germania. La Valland, inoltre, fece un puntiglioso lavoro di raccolta di informazioni su tutte le opere raccolte al Jeu de Paume. Un lavoro che poi si è rivelato utilissimo nelle operazioni di recupero al termine della guerra. Parallelamente e analogamente alla Valland, lavorava in Italia Rodolfo Siviero, che, proprio grazie alle informazioni raccolte dalla studiosa francese, poi passate agli Alleati, nell’estate del 1945, venne incaricato di indagare affinché fosse possibile recuperare alcuni quadri rubati in Francia da Göring e che, con ogni probabilità si trovavano in Italia, in particolare a Firenze, finiti nelle mani dell’antiquario Eugenio Ventura. La vicenda ebbe ampie ripercussioni sull’opinione pubblica italiana e internazionale, che seguiva i vari risvolti attraverso ciò che si scriveva sulla stampa quotidiana.
Il 10 agosto 1945, su richiesta dell’Ufficio Recupero Opere d’Arte, al cui comando era Siviero, e della sottocommissione Alleata per le Arti in Italia, il Comando della Compagnia Interna dei Carabinieri di Firenze disponeva il fermo dell’antiquario fiorentino Eugenio Ventura, il quale dovette rendere noto il nascondiglio (il Convento di San Marco) di un nucleo di opere di sua proprietà, ma su cui si stava indagando per accertarne la provenienza. Dai vari interrogatori ai quali il Ventura e altre persone coinvolte vennero sottoposte, emersero i particolari che seguono. Il Ventura dichiarò di aver ricevuto una prima visita da parte di Hofer, direttore delle gallerie d’arte del maresciallo Göring, nell’autunno del 1941. L’offerta che ricevette fu di scambiare delle opere di sua proprietà, fra le più preziose della sua collezione con degli “impressionisti francesi” di cui la sua collezione era effettivamente sprovvista. Successivamente Ventura si fece spedire prima le riproduzioni fotografiche per far valutare le opere a chi di competenza, in questo caso Roberto Longhi, poi si fece consegnare i quadri personalmente dall’Hofer. Le trattative tra Göring e Ventura andarono avanti fino all’8 marzo 1943, data in cui l’affare e lo scambio delle opere si conclusero. Il Ventura ammetteva anche di avere, in un recente passato, trattato altre vendite di opere destinate in Germania, per conto di altri antiquari fiorentini, che dalle indagini risultarono essere anche il Bellini e il Contini Bonacossi.
Giovanni Poggi, allora soprintendente alle Gallerie per le Provincie di Firenze, Arezzo e Pistoia, venne chiamato dalla Squadra Investigativa a chiarire il comportamento assunto dal Ventura, nei confronti della Soprintendenza, in occasione del cambio di opere effettuato col maresciallo Göring. Le sue affermazioni risultarono essere poco chiare e addirittura contraddittorie, tradendo il fatto che la Soprintendenza era venuta a conoscenza dell’arrivo in Italia delle opere francesi, senza però trasmetterne regolare denuncia alle autorità competenti. Analoghe dichiarazioni vennero rilasciate dal direttore presso la Soprintendenza alle Gallerie ed alle Opere d’Arte per le provincie di Firenze, Arezzo e Pistoia, Ugo Procacci. Emerse, inoltre, il nome di Roberto Longhi. Venne ascoltato anche quest’ultimo e alla domanda sulla provenienza delle opere d’arte antica italiana di proprietà Ventura, rinvenute insieme alle opere francesi, Longhi rispose che provenivano dalla collezione Gentner acquistata dal Ventura. A proposito dell’acquisto della collezione Gentner, d’altra parte, emergevano vari sospetti, in particolare che la vendita fosse stata effettuata in condizioni del tutto dolose e le indagini lo confermarono: il Ventura aveva minacciato il notaio che sottoscrisse l’atto che aveva aggiudicato la vendita, ostentando le proprie conoscenze, nella fattispecie il Senatore Morelli e Mussolini, e affermando che, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, avrebbe ottenuto di esse l’aggiudicatario della gara alle condizioni che voleva e quando voleva.
Il Ventura venne nuovamente interrogato e confermò che quelle rinvenute nel convento di S. Marco erano opere rimaste in suo possesso dall’acquisto della raccolta Gentner. Le ammissioni più gravi, comunque, fatte nel secondo interrogatorio dal Ventura, erano quelle relative alla continuità dei suoi rapporti con i rappresentanti del maresciallo Göring e primo fra essi, il noto Hofer che già da vari anni frequentava, sia pure per ragioni artistiche, la dimora del Ventura.
Dopo il sequestro delle opere di proprietà del Ventura, i nove quadri di pittori francesi vennero presi in carico dalle autorità ministeriali, portate a Roma e custodite alla Galleria d’Arte di villa Borghese per essere poi mostrate al pubblico proprio nella capitale in occasione della Mostra d’Arte Francese che si tenne a Palazzo Venezia, sotto la custodia di Ranuccio Bianchi-Bandinelli, allora Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, il quale si fece carico di coordinare le operazioni di restituzione. Essa avvenne, dopo vari intoppi burocratici, il 28 novembre 1946: le opere vennero consegnate e furono custodite presso i locali della Commission Récupération Artistique di Parigi, in attesa di essere restituite ai legittimi proprietari o agli eredi di questi.
Le opere italiane cedute dal Ventura a Göring, invece, furono identificate presso il Collecting Point di Monaco dalla Delegazione Italiana per il recupero delle opere d’arte, partita alla volta della Germania il 27 settembre 1946. Una volta restituite le nove opere di pittori impressionisti al Governo francese e proprio alla luce di quanto fatto dal Governo italiano perché questo avvenisse, fu fortemente sollecitata da parte delle autorità italiane, la restituzione delle opere d’arte ancora in Germania. Ma fu solo grazie all’ accordo De Gasperi-Adenauer del 1953 che la restituzione fu accordata e le opere rientrarono fisicamente in Italia nel mese di giugno del 1954.
Infine, le opere, una volta tornate in Italia, vennero restituite alla città di Firenze, da cui provenivano prima di essere portate in Germania. Dal 1953 al 1988 fecero parte di quel deposito detto Recupero Siviero, che fisicamente si trovava in Palazzo Vecchio. Poi, ma solo tra il 1989 e il 1990, destinate alle loro attuali collocazioni: la Galleria degli Uffizi e il Museo di Palazzo Davanzati.
Doveroso è, a questo punto, concludere aprendo una parentesi su di una vicenda collaterale all’affare Ventura, ma non di minore importanza.
Nel giugno del 1945 veniva pubblicato l’articolo Antiquariato e Collaborazionismo ne La Nazione del Popolo. In esso si portava alla luce la rete di relazioni, che l’altro grande antiquario fiorentino, il Contini-Bonacossi, aveva tessuto con Göring e i suoi emissari, tanto da godere della protezione della Gestapo e delle S.S. E secondo l’autore dell’articolo fu l’allora Sottosegretario alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, Carlo Ludovico Ragghianti, ad aver coperto e protetto il Contini. Pochi giorni dopo sarebbe scoppiato il caso Ventura. Circa un mese più tardi, un altro giornale, L’Epoca, pubblicava, in data 11 settembre, l’articolo Giustizia in pantofole (Ancora sull’affare Goering-Ventura), in cui si accusava Ragghianti di aver tentato di fermare le indagini sullo scandalo Ventura. Portato in causa dallo stesso Ragghianti in una lettera di protesta a Repaci, direttore del quotidiano, Siviero aveva dichiarato di aver fatto condurre l’indagine sull’Affare Ventura ai Carabinieri, i quali avevano poi interrogato lo stesso Ventura e altri testimoni, ma di non essere in alcun modo responsabile di quello che i giornali scrivevano. Ragghianti non credette alla buona fede di Siviero. Da qui lo scontro aperto fra i due, che portò ad aprire un’inchiesta parlamentare per verificare le accuse nei confronti di Ragghianti e a sospendere temporaneamente Siviero dall’incarico di Capo Ufficio Recuperi. Ragghianti fu sollevato da ogni accusa e si ritenne, quindi, necessario rimuovere Siviero dal suo incarico. D’altro canto, l’ancora mancata consegna delle opere impressioniste al Governo francese e la sospensione di Siviero, rischiavano di bloccare quel delicato gioco di rivalse su cui marciava l’intero meccanismo delle restituzioni. Ma fu senza dubbio la lettera, inaspettata, datata 2 ottobre 1945 dell’Ammiraglio Ellery W. Stone all’allora Presidente del Consiglio Ferruccio Parri, che “salvò” Siviero dalla brutta situazione in cui si trovava in quel momento.
Nel frattempo l’opinione pubblica continuava ad interessarsi alla vicenda e così, fu pubblicato ancora un altro articolo di giornale: Antiquari all’assalto delle opere d’arte, comparso il 6 dicembre 1945 su Risorgimento Liberale. Il fatto che Ragghianti avesse come segretario particolare Sandrino, il nipote del noto antiquario fiorentino, dette adito al giornalista di Risorgimento Liberale di affermare che, oltre al Ventura, Ragghianti proteggesse anche il Contini. Ragghianti veniva, inoltre, deliberatamente e pubblicamente accusato di aver chiesto la soppressione dell’Ufficio Recuperi dopo lo scoppio dello scandalo Ventura. In realtà egli ne fece richiesta al Ministero della Pubblica Istruzione già il 6 agosto 1945; richiesta “motivata dalla scarsa efficienza del medesimo e dalla ingerenza del S.I.M. nel funzionamento degli uffici dipendenti da questo Ministero” (Il S.I.M., Servizio informazioni militare, è stato lo strumento di intelligence militare italiano dal 1925 al 1945, ndr). Ma il ministro interruppe il processo di trasformazione dell’Ufficio Recuperi, nel momento in cui scoppiò il caso Ventura e alla luce del decisivo ruolo che Siviero e il suo Ufficio ebbero proprio nello svolgimento delle indagini.
La polemica, che altrimenti, con ogni probabilità, avrebbe avuto strascichi ancora più spiacevoli, si concluse a seguito della caduta del Governo Parri e delle conseguenti dimissioni di Ragghianti. Così, nella primavera del 1946, Siviero, grazie al vento a lui favorevole che tirava dopo l’insediamento del nuovo governo De Gasperi ed Enrico Molè al ministero dell’Istruzione, venne ufficialmente designato quale capo dell’Ufficio recupero. E fu così che cadde il silenzio sull’intera vicenda. Silenzio che pare esser stato voluto dai suoi stessi protagonisti. Siviero, come a voler compiere una sorta di damnatio memoriae, non fece il minimo cenno esplicito a Ragghianti, così, quando anche molto tempo più tardi scrisse dello scambio Göring – Ventura, sia ne L’Arte e il Nazismo che in Esodo e ritorno delle opere d’arte italiane asportate durante la Seconda Guerra Mondiale, non fece mai il nome del proprio “rivale”.
Da parte sua, Ragghianti fece lo stesso nei suoi scritti, alludendo alla vicenda e ai personaggi, senza nominare Siviero, quasi a sottolineare l’inadeguatezza del ruolo che, nonostante tutto, questi si trovava a ricoprire. Si ricorda che Siviero non era uno storico dell’arte qualificato e il suo passato nel S.I.M. sollevava, e solleva ancora, numerosi dubbi riguardo la sua assoluta “probità”. Resta il fatto che, comunque, Siviero rimase a capo dell’Ufficio Recuperi, nonostante i numerosi tentativi che si fecero per chiuderlo, fino alla sua morte. Questo anche se, per Ragghianti, Siviero, non rispondendo ai requisiti necessari, non era probabilmente l’uomo adatto a svolgere tale delicato compito. Uno scontro, quello tra Ragghianti e Siviero, che, alla fine dei conti, ha in realtà deviato il discorso verso problematiche non proprio attinenti a quella principale che, invece, il caso Ventura aveva realmente sollevato: come ottenere la restituzione di quelle opere che i nazisti, in particolare il maresciallo Göring, avevano sì illecitamente esportato dall’Italia per portarle in Germania, ma con la collaborazione e la compiacenza di quegli antiquari italiani, in particolare fiorentini, che dalle trattative con i nazisti e dagli scambi o compra-vendite di preziosi oggetti d’arte, avevano tratto un proficuo vantaggio. Un problema che si trovava a prendere sempre più campo in un’Italia dove le leggi di tutela del nostro patrimonio culturale esistevano (pensiamo alle Leggi Bottai del 1939) ma dove il regime fascista e la sua corrotta macchina burocratica avevano permesso di raggirarle (si veda in proposito il caso, eclatante, del Discobolo Lancillotti, acquistato da Hitler con la compiacenza di Ciano e Mussolini, poi recuperato proprio da Siviero nel 1948). Dinamiche, queste, che hanno permesso, negli anni intorno al secondo conflitto mondiale, un esodo di innumerevoli opere dal nostro Paese. Molte di esse, grazie anche al lavoro di persone come Siviero, sono fortunatamente tornate a far parte di quel tessuto culturale che le ha prodotte, di cui esse sono testimonianza e dove è giusto, da un punto di vista storico – artistico e documentario, che esse siano custodite e opportunatamente tutelate.
- Eike Schmidt, Fabrizio Paolucci, Daniela Parenti, Francesca De Luca (a cura di), La Tutela Tricolore. I custodi dell’identità culturale, catalogo della mostra, (Firenze, Gallerie degli Uffizi, Aula Magliabechiana, dal 20 dicembre 2016 al 14 febbraio 2017), Sillabe, 2016
- Commission des archives diplomatiques, Le Catalogue Goering, Edition Flammarion, 2015
- Corinne Bouchoux, Rose Valland: resistance at the museum, Laurel Publishing, LLC, 2013
- Francesca Bottari, Rodolfo Siviero, Castelvecchi editore, 2013
- Monica Naldi, Emanuele Pellegrini (a cura di), Carlo Ludovico Ragghianti: il valore del patrimonio culturale. Scritti dal 1935 al 1987, prefazione di Donata Levi, Felici editore, 2010
- Federica Rovati, Il recupero delle opere d’arte trafugate dai tedeschi, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, volume LVIII, fascicolo III, Settembre – Dicembre 2005, pp. 266 – 291
- Ministero degli Affari Esteri, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, L’Opera da Ritrovare, Repertorio del Patrimonio Artistico italiano disperso all’epoca della Seconda guerra mondiale, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1995
- Beatrice Paolozzi Strozzi, Fiorenza Scalia (a cura di) L’opera ritrovata: omaggio a Rodolfo Siviero, Firenze, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Vecchio, dal 29 giugno 1984), Cantini Edizioni d’arte, 1984
- Rodolfo Siviero, L’arte e il Nazismo, Firenze, Cantini editore, 1984
Oltre ai testi sopra citati, si è fatto riferimento all’ampia documentazione prodotta in seguito allo scoppiare del caso Ventura e attualmente conservata nei seguenti fondi archivistici:
- Archivio Siviero, Museo di Casa Siviero, Firenze, Fondo Stampa quotidiana e riviste periodiche
- Archivio Siviero, Roma, Busta 35, Pratica3/427
- Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti, Archivio Ragghianti, Lucca, Busta Sottosegretariato Reparto calunnie 1945-1965 (Siviero), Fascicoli Reparto Calunnie I e Reparto Calunnie II
- Archivio Centrale dello Stato, Roma, Fondo della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, Divisione III, 1929-60, Busta n. 147, 1938/55, Classifica 4 Firenze, Mostre e Recuperi: Firenze, Quadri Francesi Recuperati presso l’antiquario Eugenio Ventura, Busta n. 178, 1940/50, Classifica 4 Roma, Mostre: Roma 1946 1947 1948, Palazzo Venezia, Mostra d’arte Francese
- Archivio del Ministero degli Affari Esteri, Parigi, Base Spoliations, Carton 377.98, Cote P8 Italie, recherche d’oeuvres d’art d’origine française, 1940-1950, Fascicoli “Italie – Affaire Ventura. Correspondance” 1945-1948 e “Italie – Exposition à Rome – 9 tableaux impressionnistes nascosti da Ventura” 1946-1947.
- A Cassina, alle porte di Milano, ha aperto il MAIO, il Museo dell’Arte in Ostaggio (testo di Tina Lepri per il Giornale dell’Arte online, fotocronaca inaugurazione di Vittorio Giannella
- Quei 1.653 tesori rubati da Hitler e ancora prigionieri di guerra (testo di Salvatore Giannella)
- Pur sfigurata dalla guerra, ai soldati “aggiustaveneri” l’Italia sembrò bellissima (testo di Ilaria Dagnini Brey per Giannella Channel)
- “La Tempesta” nella tempesta della guerra e altre storie di eroici salvatori dell’arte (testo di Mirella Serri per Sette – Corriere della Sera)
- Fu trafugata dai nazisti nel 1943, la “Carica dei bersaglieri” torna alla Garibaldi
- L’italiano che ha salvato l’arte dell’Olocausto. La storia straordinaria di un italiano, Roberto Malini, che viaggiando in mezzo mondo e con l’aiuto della rete, ha recuperato e donato al Museo della Shoah oltre 170 opere di artisti vittime dell’Olocausto (testo di Salvatore Giannella per Conoscere la storia)
- La Venere di San Giovanni in Perareto torna a Rimini dopo mezzo secolo (testo di Sabrina Urbinati per Giannella Channel)
- Sergio Romano elogia Giuseppe Bottai, paladino della cultura: “Era convinto che il nostro patrimonio fosse la prova dell’esistenza di una nazione italiana” (testo di Salvatore Giannella per Sette – Corriere della Sera, elaborazioni artistiche di Giacomo Giannella)
- Chi li ha visti? I tesori di Piemonte e Lombardia, della Toscana e di Firenze ancora prigionieri di guerra
- Quei tesori d’Italia che intrigano gli Indiana Jones. Armati di metal detector, i predatori di antiche ricchezze scandagliano terreni ed esplorano fortezze dal Piemonte alla Sardegna. Per vivere il brivido del ritrovamento (testo di Salvatore Giannella per Sette – Corriere della Sera)
- Gli 007 dei Carabinieri riportano in Italia da Ginevra 45 casse di reperti romani ed etruschi trafugati. Erano in depositi di proprietà dell’antiquario inglese Robin Symes, arrestato
- I monumenti di Arquata del Tronto, nelle Marche, prima delle scosse, nel censimento fatto dal futuro “salvatore dell’arte”, Pasquale Rotondi (testo di Pasquale Rotondi, introduzione di Salvatore Giannella)
- Monza, recuperate dai carabinieri tre importanti opere trafugate dai nazisti. I dipinti sono di Cima da Conegliano, Alessio Baldovinetti, Girolamo dai Libri (testo di Tina Lepri, il Giornale dell’arte online)
- L’uomo che ha combattuto nella ex Jugoslavia per salvare i suoi tesori d’arte. Un nuovo libro illumina la figura e le azioni di Francesco Papafava, una figura a metà tra Sindbad, l’Ulisse d’Oriente e Gino Strada, il medico fondatore di Emergency. Ha fatto fino all’ultimo il pendolare tra la sua casa sulle rive dell’Arno e il Kosovo, per invocare un aiuto (concesso) affinché possano rinascere 1.800 monasteri e affreschi stupendi (testo di Salvatore Giannella)
- E Sgarbi annotò: onore a Pasquale Rotondi, salvò l’arte dalla furia nazista. Il Montefeltro in festa per la settimana ad arte dedicata al premio nato vent’anni fa per illuminare chi pratica l’arte di salvare l’arte (testo di Vittorio Sgarbi per QN, foto di Filippo Biagianti)
- La dichiariamo dottoressa in legge grazie alla sua tesi su guardie e ladri d’arte. Una studentessa in giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano assiste a una serata condotta da uno 007 dei Carabinieri (il capitano Francesco Provenza) impegnato nel recupero delle opere d’arte. S’innamora dell’argomento e s’impegna per un anno in una documentata tesi di laurea che Giannella Channel, dato il grande interesse, presenta condensata in più puntate (testo di Camilla Angelino dalla tesi “Crimini contro il patrimonio culturale”)
Un articolo molto interessante
Articolo splendido. Grazie Caterina! Desideravo acquisire maggiori informazioni al riguardo e mi hai aiutata molto. Vorrei contattarti, posso avere il tuo indirizzo email?