Disastri annunciati: il treno deragliato per una frana presso Ventimiglia e la chiusura della linea ferroviaria tra Italia e Francia, insieme a paesi isolati e strade interrotte nel Ponente ligure, sono disastri annunciati da almeno 35 anni. Risale al 1979 il mio libro, scritto con Paolo Ojetti, “Un’Italia da salvare” (Atlas ed., Bergamo) in cui si leggono queste profetiche parole: “Genova, 17 maggio 1978. Il dissesto della Liguria (la regione che, con l’Oltrepò pavese detiene il primato italiano delle frane: una ogni chilometro sulla strada provinciale Spotorno – Voze – Finale) è tale che si possono perfino fare le previsioni sui punti che saranno colpiti dai prossimi dissesti. Una specie di tragico ‘totofrane’ “.
Il professor Pietro Maifredi, dell’Istituto universitario di geologia, prevede sul quotidiano La Stampa una grave frana sull’autostrada Savona-Ventimiglia, con inevitabile interruzione del traffico tra Italia e Francia: “Quando piove, il muraglione di sostegno diventa una diga colma d’acqua, mancando il drenaggio. Un banale errore di esecuzione dell’opera. Basterebbero poche giornate di lavoro per evitare il peggio. Se nessuno si muove, crollerà un fronte lungo almeno 150 metri e sentiremo gridare al dissesto idrogeologico della Liguria”.
Sulle cause che hanno portato a questa situazione di perenne emergenza, in Liguria e altrove in tutta la penisola, era stato incisivo, in quello stesso libro, il bravo e inascoltato Antonio Cederna: “Abbiamo lasciato che quattro quinti dei nostri boschi si degradassero. Abbiamo tollerato l’impunita escavazione dei fiumi per estrazione della ghiaia, rendendo sempre più rovinoso il corso delle acque. Abbiamo intensamente ‘bonificato’ in zone umide e paludose che sono la naturale valvola di sfogo delle piene. Abbiamo lasciato costruire case e fabbriche nelle aree golenali. Abbiamo costruito strade e altri manufatti in zone di equilibrio instabile, sconvolgendo le pendici e il regime idrico. Abbiamo trascurato l’adeguamento delle fogne alla sgangherata espansione edilizia…Abbiamo inciso, sventrato, perforato, asportato, occluso, manomesso per ogni verso l’ambiente naturale e il territorio senza preoccuparci di conoscerlo. Non meravigliamoci se il Paese ha risposto sfasciandosi”.
E tutto questo senza che mai sia stato preso in considerazione il progetto lanciato nello stesso libro, 35 anni fa, del geologo condotto. Si trattava di una proposta per la creazione di presìdi e sentinelle geologiche per complessivi 20 mila posti di lavoro e con la spesa, in lire di allora, di 26 miliardi. “Nelle 95 province italiane”, scrivevamo, “dovrebbero essere istituiti corsi di un anno con l’insegnamento di materie fondamentali per la difesa del suolo. Come i problemi sanitari del secolo scorso sono stati risolti con una fitta rete di medici condotti, così i problemi geologico potranno essere risolti con una rete di guardie del suolo”, si diceva convinto il presidente dell’Associazione geologi, Floriano Villa.
Sì, ha proprio ragione il procuratore capo di Savona Franco Gradero: “L’impressione che ho avuto sorvolando il luogo del deragliamento del treno tra Italia e Francia è che ci troviamo di fronte non all’opera del fato ma dell’uomo”. E di una classe politica insensibile ai problemi e al risanamento del territorio. Un grande interesse a parole, ma quando si tratta di passare all’azione i tempi si allungano, altri problemi occupano le menti dei politici, il denaro pubblico viene dirottato verso altri canali, l’ecologia operativa scompare dagli accordi dei partiti di governo e dai piani urbanistici di città e comuni grandi e piccoli. E così continuano le distruzioni di risorse limitate e preziose, indispensabili alla cultura, all’identità storica e alla incolumità pubblica.
(via mail)
Quel treno in bilico e l’Italia
L’immagine del treno in bilico sul precipizio nella riviera ligure di Ponente ha reso perfettamente l’idea dell’Italia come è oggi combinata!
Il treno può essere sottratto al precipizio, rimesso a nuovo e restituito al più presto agli utenti come risposta per lo scampato pericolo. Così può essere per l’Italia. Bisogna però muoversi in fretta perché, alla prossima ondata di crisi, farsi inghiottire dall’abisso significherà rimanervi senza più speranza di risalita.