Monika Gruetters

Monika Gruetters.

La Germania conferma il suo impegno e la sua “responsabilità permanente” per quel che riguarda il complesso processo della restituzione dell’opere d’arte trafugate dai nazisti. Lo ha confermato la ministra per la cultura di Berlino Monika Gruetters alla conferenza internazionale in cui oltre mille esperti da tutto il mondo affrontano il tema della “Raubkunst“, appunto quell’immenso patrimonio di capolavori di cui si appropriarono i vertici del Terzo Reich fino al 1945.

La conferenza si tiene a esattamente vent’anni dai cosiddetti “Princìpi di Washington“, quando per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale fu ratificato un impegno a livello internazionale per fare luce sui crimini compiuti dai nazisti anche nel campo dell’arte durante prima e durante il secondo conflitto mondiale, quando in tutta Europa i gerarchi di Hitler fecero razzia di decine di migliaia di opere sottratte prevalentemente a famiglie ebraiche, ma non solo. Allora, nel 1998, l’iniziativa voluta da Madeleine Albright era volta a trovare “soluzioni” eque per le vittime e i parenti di coloro che erano stati depredati. Oggi quell’impegno viene rinnovato, con tanto di dichiarazione congiunta sottoscritta da Stati Uniti e Germania.

Appuntamento a Berlino

L’appuntamento berlinese – al quale è intervenuto anche il presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder – è anche un modo per rispondere ai rimproveri rivolti più volte e da più parti alla Repubblica federale “di non impegnarsi abbastanza” nella ricerca delle opere d’arte trafugate durante il regime nazista. Il tema è tutt’altro che semplice: si calcola che sono oltre 600 mila le opere d’arte sottratte con la forza o con il ricatto a collezionisti, commercianti e famiglie ebree e che oggi si trovano nei musei di tutto il mondo.

Dalla promulgazione dei Princìpi di Washington a oggi, la Germania ha proceduto – stando alla stima del centro per la ricerca di Magdeburgo – alla restituzione di circa 5.800 opere agli eredi dei vecchi proprietari. A queste bisogna aggiungere quasi 12 mila volumi. Ma siamo solo agli inizi. Gruetters e Lauder hanno rivolto un appello a mercanti d’arte e privati affinché partecipino all’impegno internazionale volto a ritrovare e identificare le opere d’arte trafugate dal Terzo Reich: “È una responsabilità che non appartiene solo agli Stati e alle istituzioni”, hanno detto.

Anche per questo è in preparazione uno speciale “Help Desk” volto ad aiutare anche i privati a orientarsi nella burocrazia dei beni culturali. Dal 2020 sarà attivata anche una banca dati che renderà disponibile a livello globale tutte le conoscenze in materia, sia per quello che riguarda le opere che per quello che riguarda l’identificazione degli eredi. “Ma non parlate di arte rubata – ha detto Avraham Nir Feldklein, inviato dall’ambasciata d’Israele ai partecipanti al convegno – parlate di anime derubate”.

L’aspettativa nei confronti della Germania è alta, ha spiegato Ronald Lauder: “Attualmente appena il dieci per cento dei musei e delle varie istituzioni interessate ha iniziato a fare ricerca tra le proprie collezioni, e già adesso contiamo migliaia di restituzioni”, ha detto il presidente del World Jewish Congress. Aggiungendo però “che non dovrebbe trattarsi del dieci per cento, bensì del cento per cento. Altrimenti gli spettri della Seconda guerra mondiale non ci lasceranno mai”.

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* Fonte: Agenzia Giornalistica Italia, 27.11.2018

A PROPOSITO/ DI ANTONIO SOCCI*

L’enorme razzia di opere d’arte fatta in Italia dalla Francia napoleonica e dalla Germania nazista. Prima di dar lezioni di europeismo, restituiscano quelle meraviglie che racchiudono la nostra identità

“Le nozze di Cana”, di Paolo Veronese, oggi al Louvre.

“Le nozze di Cana”, di Paolo Veronese, oggi al Louvre.

E credo che per ristabilire l’amicizia europea, sarebbe bene che – prima di tutto – i ladri restituissero la refurtiva.

Così tuonò Piero Calamandrei, nel suo discorso del 1951, a Londra, parlando delle “Opere d’arte in Italia e la guerra”.

Chi sono stati coloro che hanno “spogliato” l’Italia trafugando i suoi tesori? Anzitutto Germania e Francia, proprio quei paesi che oggi pretendono di insegnare l’europeismo e di condannare gli italiani come “nazionalisti” perché cercano di difendere i loro interessi.

Due volte hanno provato con le armi e con il sangue a “unire l’Europa” sotto il loro dominio: prima con Napoleone e poi con Hitler. In entrambi i casi sono venuti in Italia a massacrare e derubare i nostri immensi tesori d’arte (che poi sono la nostra anima e la nostra identità).

Chi oggi vuole davvero “fare l’Europa” dovrebbe cominciare a chiedere – con Calamandrei – la restituzione della “refurtiva”. Ma non facciamoci illusioni. In questa Europa all’Italia si riservano solo attacchi. A noi nessuno restituisce alcunché.

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Veduta del Torrione seicentesco di Cascina Casale a Cassina de’ Pecchi sede del MAiO, Museo dell’Arte in Ostaggio, ideato dal giornalista e scrittore Salvatore Giannella.

Il British Museum di Londra ha appena deciso di far tornare in Nigeria i Bronzi del Benin, un’enorme quantità di oggetti artistici che gli inglesi presero nel 1897. Analoghe rivendicazioni arrivano da altre parti del mondo. Per esempio la Grecia chiede la restituzione dei marmi del Partenone portati via dall’Acropoli, verso Londra, nell’Ottocento. E l’Egitto vuole la restituzione della preziosa Stele di Rosetta che fu “presa” dall’esercito napoleonico e poi ceduta alla Gran Bretagna.

Proprio la Francia napoleonica è storicamente tra i peggiori trafugatori di tesori artistici altrui. Ora a Parigi una commissione insediata da Macron ha raccomandato la restituzione delle opere portate in Francia nel periodo coloniale. Ma si tratta, appunto, delle razzie fatte in Africa (circa 46 mila pezzi).

Ciò che muove queste “restituzioni” è l’ideologia “politically correct” che alimenta i sensi di colpa delle potenze occidentali per il loro passato colonialista in Africa.

Ma all’Italia nessuno pensa di restituire nulla. L’Italia, che è lo scrigno più prezioso del mondo, dove la Francia napoleonica e la Germania nazista sono venute a fare razzia, non è nemmeno presa in considerazione.

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Museo Maio (Cassina de’ Pecchi). La “Pala di Brera” riprodotta in grandezza naturale, uno dei capolavori milanesi affidati (con altri della Pinacoteca di Brera, del Poldi Pezzoli, del Castello Sforzesco ma anche dell’Accademia Carrara di Bergamo e del Duomo di Treviglio) dal Soprintendente di Milano Guglielmo Pacchioni alle cure di Pasquale Rotondi nel Montefeltro.

Ogni tanto c’è da parte nostra qualche isolato sussulto. Proprio nei giorni scorsi il tribunale di Bologna ha disposto la confisca di otto opere di Tiziano, Tintoretto, Carpaccio e Veneziano – oggi esposte al museo nazionale di Belgrado – perché durante l’occupazione tedesca furono sottratte a una famiglia fiorentina dal gerarca nazista Hermann Goring e finirono, dopo la guerra, in Serbia. Ma quante speranze ci sono di riaverle?

D’altronde questa è solo la punta dell’iceberg. Salvatore Giannella, nel libro “Operazione Salvataggio” (Chiarelettere), ci informa che restando soltanto ai beni trafugati in Italia durante il fascismo e la Seconda guerra mondiale, l’elenco è lunghissimo. Non sono mai tornati almeno 1.653 pezzi: 800 dipinti, decine di sculture, arazzi, tappeti, mobili, strumenti musicali tra cui violini Stradivari e centinaia di manoscritti. E stiamo parlando di “capolavori di Michelangelo, del Perugino, di Marco Ricci, oltre a sculture greche e romane e a tavole di primitivi di ottima fattura”.

Molte opere furono recuperate dopo la guerra e si tratta di autori come Leonardo, Michelangelo, Masaccio, Botticelli, Tiziano, Raffaello e Pollaiolo.

Ma oggi sembra che nessuno si occupi più di quei “prigionieri di guerra”. Anzi, probabilmente è proprio per un malinteso “spirito europeista” che negli anni scorsi si è voluto evitare di riaprire il problema (non sia mai che l’Italia difenda i suoi diritti), così restano da recuperare quei 1.653 pezzi di cui talora si sono perse completamente le tracce… (L’elenco completo di tutte le opere ancora “prigioniere di guerra” è, come sanno i lettori di Giannella Channel, nel MAiO, il piccolo ma suggestivo museo sorto nel 2015 a Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, Ndr).

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* Fonte: il testo integrale è su Libero, 25.11.2018 e anche sul blog “Lo straniero” del giornalista toscano Socci, autore di una quindicina di libri (l’ultimo, Il segreto di Benedetto XVI, Rizzoli).

Da “I salvatori dell’arte”: