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Una veduta panoramica della baia di Takashima il luogo in cui, secondo le cronache dell’epoca, la flotta sino-mongola salpata da Quanzhou, nel sud della Cina, sarebbe stata colta dal tifone che l’avrebbe distrutta quasi completamente.

Uno straordinario ritrovamento ha permesso di risolvere uno dei principali cold case dell’archeologia mondiale.
 

La storia

Nel 1274 Kubilai, nipote di Gengis, ormai diventato imperatore della Cina, decise di conquistare anche il Giappone e tutte le isole che si trovavano all’estremità dell’Asia. Sfortunatamente non ci riuscì e fu ricacciato indietro. Nel 1281, allora, ci riprovò con forze maggiori, coinvolgendo i coreani (nel frattempo caduti sotto il dominio mongolo). Inviò così una flotta ‘bicefala’, nel senso che un ramo partiva direttamente da Quanzhou, Cina del sud, l’altro dal porto di Pusan, in Corea. I due tronconi si sarebbero dovuti ricongiungere direttamente nella Baia di Hakata, in Giappone, e lì scatenare l’inferno.

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Gigantesca ancora in legno lunga più di 7 metri appartenuta ad una delle imbarcazioni mongole e ritrovate nei mari giapponesi alcuni anni fa. È ora conservata nel Museo di Takashima.

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Un addetto del Museo di Takashima ripulisce dalle impurità uno degli enormi vasconi in cui sono conservati i pezzi più grandi che costituivano il fasciame delle imbarcazioni mongole.

Anche stavolta gli andò buca però. Per colpa di un disastroso tifone che fece affondare la gran parte delle navi al largo del Kyushu (regione meridionale dell’arcipelago) e uccise migliaia di uomini. I giapponesi li chiamarono evocativamente kamikaze, cioè Venti divini… E così l’episodio passò alla storia o, meglio, al mito.

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A dx nella foto l’archeologo Daniele Petrella, presidente dell’I.R.I.A.E. e Direttore della missione italiana in Giappone, a sx il professor Hayashida Kenzō, discutono a bordo dell’imbarcazione usata per le investigazioni archeologiche nella baia di Takashima.

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Elmo da combattimento indossato dai guerrieri mongoli durante la tentata invasione del 1281. Se ne intuisce la foggia nonostante le pesanti concrezioni marine che lo hanno completamente ricoperto negli ultimi sette secoli.

Unici momenti di battaglia vera tra mongoli e giapponesi (quelli raffigurati sui preziosi ekimono, rotoli di carta di riso che raccontano per immagini alcuni accadimenti del 1281) furono relativi alle incursioni dei samurai sulle navi mongole scampate al tifone.
Scontri corpo a corpo sanguinosissimi, al termine dei quali i guerrieri giapponesi spiccavano la testa dal tronco dei nemici e se la portavano via, come trofeo.

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Schema riassuntivo della tentata invasione mongola del Giappone nel 1281. In rosso la rotta seguita dal ‘braccio’ cinese della flotta di Kubilai, in giallo quella del ‘braccio’ coreano. I cerchi simboleggiano l’andamento sud-est – nord-ovest del famoso tifone che si abbatté sulle navi all’altezza dell’isola di Takashima.

La missione

Gli archeologi nipponici hanno cercato per anni le prove di quel che successe veramente nel Kyushu e con l’aiuto degli italiani dell’I.R.I.A.E. (International Research Institute for Archaeology and Ethnology) di Napoli e dei loro partner della Soprintendenza del Mare della Regione siciliana hanno ricostruito l’accaduto, ritrovando la flotta. Alcuni elementi lignei e un po’ di materiale vario (tra cui preziosi teppo, bombe da lancio piene di polvere da sparo e pezzi di ferro, le prime inventate al mondo) erano venuti fuori nel corso di precedenti campagne ma la prova definitiva risale all’agosto del 2013, quando nel mare dell’isola di Takashima sono state trovate ancore, oggetti personali e tracce inequivocabili di un disastro ‘per cause naturali’. Uno dei più appassionanti cold case dell’archeologia mondiale è stato così risolto. La flotta di Kubilai è tutta lì.

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Questa parte dell’emakimono (rotolo in carta di riso su cui sono riportate le illustrazioni che raccontano il tentativo di invasione mongola del 1281) mostra la scena relativa all’assalto dei giapponesi, a bordo di un barchino, di una nave superstite e conseguente uccisione dell’equipaggio che era a bordo di essa.

L’anno prossimo saranno fatte altre ricerche con sofisticate tecnologie ma soprattutto cominceranno i lavori per allestire un immenso museo ‘in mare’. Il Giappone, infatti, quale firmatario della convenzione UNESCO, non asporterà più nulla dai suoi fondali ma lascerà che il mare stesso sia scrigno dei suoi tesori.

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In questa immagine si intravede il ‘collo’ di una grossa giara del tipo di quelle che erano in dotazione alle navi mongole che tentarono l’invasione nel 1281. Ulteriore prova della massiccia presenza di imbarcazioni nemiche nelle acque nipponiche.

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Un sub è impegnato con una sorbona ad aspirare sabbia e detriti da un pezzo di legno che faceva parte delle paratie esterne di una delle imbarcazioni mongole.

Credit foto Marco Merola / Prefettura di Nagasaki

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