“Il volto amato della Patria”, come Benedetto Croce (nato nel cuore dell’Abruzzo montano, a Pescasseroli) e i suoi amici naturalisti definivano i parchi, è in pericolo. Per le modifiche che si vogliono apportare alla buona legge-quadro Ceruti-Cederna del 1991 sulle aree protette, con disegni di legge e con la stessa immanente legge di stabilità. Ai primi quattro Parchi Nazionali – Gran Paradiso e Abruzzo (1922), Circeo (1934) e Stelvio (1935) – seguì una lunghissima stasi, sino al Parco Nazionale della Calabria (1968) peraltro mai attivato. In realtà settant’anni di immobilismo. Poi tanti nuovi Parchi Nazionali sino a raggiungere quota 23, più il Parco del Gennargentu (1998) per il quale non si muove foglia. Dalla miseria di un 3% di territorio protetto dai Parchi Nazionali al 10,5. Un milione e mezzo di ettari. Oltre 3 milioni se sommati a parchi regionali, oasi, riserve naturali.
Un bel balzo, certo. Spesso teorico purtroppo. Nel 2012 essi hanno ricevuto, secondo Federparchi, 63 milioni, cioè 42 euro per ettaro, 20 % meno delle medie europee. Poca cosa a fronte delle sole tasse che lo Stato ricava dai Parchi: oltre 300 milioni di euro, cioè 5 volte quanto restituisce per la loro sopravvivenza. Infatti, stando anche alle cifre più prudenti, i visitatori sono 34 milioni l’anno, gli occupati diretti 4.000 più 76.000 nell’indotto fra servizi, centri visita, prodotti agro-silvo-pastorali freschi e trasformati, coop di servizio (750). Con tentativi continui (Matteoli, Prestigiacomo e C.) di stravolgere i Parchi in Luna-Park.
Un patrimonio naturalistico formidabile, minacciato nella sua integrità da impianti di risalita, nuove piste di discesa, funivie, cabinovie, speculatori edilizi, cacciatori e, diciamolo, dalla stessa pochezza dei fondi. Rari i presidenti competenti e autorevoli. Sempre più ex sindaci che poco sanno opporre agli appetiti clientelari e corporativi. Gli sfregi al “volto amato della Patria” si possono, si devono restaurare. Invece nuovi pericoli si addensano ora su di esso con la legge di stabilità e con altri strumenti. La manovra parte da più lontano. “Un istante prima che il governo Monti cadesse”, spiega Fulco Pratesi, fondatore del Wwf Italia, “con inspiegabile urgenza, la commissione Ambiente del Senato stava per varare modifiche inaccettabili alla legge quadro sulle aree protette del ‘91”. Spinta attivata dai senatori Ferrante e Della Seta, ex Legambiente. Consigli direttivi con metà dei membri nominati dalle Comunità locali e metà dalle associazioni ambientaliste, dentro i rappresentanti degli agricoltori e fuori quelli del Ministero dell’Ambiente (che pure nomina i presidenti…) e delle Politiche Agricole, cioè dello Stato. “Gli agricoltori non hanno molto a che fare, per ora, con la tutela della biodiversità. Ma ancor meno c’entrano i rappresentanti di altre categorie economiche come gli albergatori, i boscaioli, i cavatori…”. Più economia, insomma, e meno tutela per questi grandi polmoni verdi, prima di tutto, è bene ribadirlo, “naturali”.
Le conseguenze a cascata? Si allentano i vincoli sulla caccia nei parchi, voluta dalle lobby venatorie fortissime in Parlamento. Difatti alla guida delle bellissime Foreste Casentinesi è stato nominato di recente un ex presidente dei cacciatori. Si incentivano le cosiddette royalties per accogliere nelle aree protette cave e miniere, attraversamenti di elettrodotti, centrali energetiche, ecc. I direttori vengono nominati senza concorsi, tanto per “snellire”…
Tutte le associazioni ambientaliste hanno elevato una dura protesta, tranne Legambiente che detiene la presidenza di molti parchi, quella di Federparchi e che ha ricevuto anche dalle Regioni (dalla Regione Lazio, per esempio) svariate nomine ai Parchi regionali. Così si è arrivati alle proposte radicali di modifica del disegno di legge n. 119 (senatore Antonio D’Alì, uno dei fondatori di Forza Italia nel ’94, oggi NCD), che ribalta la gerarchia di valori ribadita in più occasioni dalla Corte Costituzionale, vale a dire: la tutela dell’ambiente deve prevalere sempre su qualunque interesse economico privato. In esso la reintroduzione della caccia viene mascherata da “controllo della fauna selvatica”, pur con la supervisione dell’Istituto di ricerca del Ministero dell’Ambiente. Si prevede di fatto – denunciano Wwf, Mountains Wilderness, Touring Club, Italia Nostra, FAI, Lipu, ecc. – un diretto coinvolgimento dei cacciatori nella gestione della fauna all’interno delle aree naturali protette. Cosa che è già consentita, ma agli Enti Parco per esempio per i cinghiali dove risultano in sovrannumero.
“Ora però arriva la legge di stabilità a introdurre sbrigativamente modifiche gravi alla legge n. 394”, spiega Carlo Alberto Pinelli, importante documentarista, presidente di Mountains Wilderness. È il governo a proporre all’articolo con le “Misure di semplificazione” che i direttori dei Parchi Nazionali non siano più nominati dal Ministero dell’Ambiente ma dal Consiglio direttivo del Parco all’interno di una rosa proposta dal presidente. “Noi sosteniamo che essi debbano essere invece scelti attraverso concorsi pubblici o di pubblica evidenza”, ribadisce Pinelli. Un altro comma indebolisce il ruolo di controllo del Minambiente. In nome, ossessivamente, di una “snellezza”, a ogni costo. Mentre controlli penetranti – con gli scandali che girano, anzi vorticano – ridiventano essenziali. Eliminata anche, per i soli esponenti locali, la saggia prescrizione del DPR 73/2013 secondo cui tutti i componenti dei consigli direttivi dei parchi nazionali (cioè anche quelli designati dalle comunità dei parchi) devono dimostrare un minimo di competenze in tutela ambientale, biodiversità, gestione faunistica e forestale. “Siamo alla Pro Loco”, commenta amaro Carlo Alberto Pinelli. “Sarebbe molto, molto opportuno includere invece un esponente del Ministero dei Beni culturali che ha competenze sul paesaggio, sui centri storici, su pievi, abbazie, castelli e ora sul turismo”.
Anche per redigere piani di assetto dei Parchi in stretta connessione con il Codice per i Paesaggi (Rutelli/Settis) e per evitare, ad esempio, l’installazione di enormi quanto presso che inutili (ai fini della produzione di energia) torri eoliche in prossimità dei parchi, lungo crinali appenninici di intatta bellezza. Quella bellezza per la quale accorrono milioni di turisti italiani e stranieri. E invece, conclude Pinelli, “se si leggono i disegni di legge D’Alì e Caleo non si esclude che gli aerogeneratori siano ficcati addirittura all’interno dei Parchi Nazionali”. Da non credere ai propri occhi.
(via mail)
Per salvare i parchi italiani facciamo come nel calcio: affidiamoci agli oriundi
L’amara proposta del padre della legge che istituì i parchi nazionali, Gianluigi Ceruti
Quando la legge 394 del 1991 sui Parchi nazionali e le altre aree protette venne approvata dal Parlamento fu giudicata la più avanzata a livello planetario per il grado di conservazione degli ecosistemi che la stessa assicurava.
Letto il nobile appello di Vittorio Emiliani ripreso nel suo blog da Salvatore Giannella – che, quando dirigeva Airone, dedicò ampio spazio a questa normativa mentre percorreva il suo iter parlamentare – quale padre della legge 394/1991 non posso che aderire alle loro parole e confermarmi nell’amara convinzione che il nostro Paese, sotto il profilo etico-politico specie per quanto riguarda la protezione naturalistica, merita soltanto la tutela di un protettorato.