Il 16 dicembre la giornata nazionale dello spazio. E io ricordo quando Biagi ci invitò: "Alzate gli occhi al cielo, c’è l’Italia tra le stelle"
Scienze & Tecnologia – Reprint
intervista di Salvatore Giannella con Enzo Biagi / Oggi, 9.4.2005
Il 16 dicembre la giornata nazionale dello spazio. E io ricordo quando Biagi ci invitò: "Alzate gli occhi al cielo, c’è l’Italia tra le stelle"
Scienze & Tecnologia – Reprint
intervista di Salvatore Giannella con Enzo Biagi / Oggi, 9.4.2005
Per altri campioni di questa Italia eccellente mi aiuta la rilettura di una mia intervista a Enzo Biagi su Oggi del 9 aprile 2005.
GIANNELLA. Caro Enzo, questa settimana l’Italia è alle stelle. Venerdì 11 parte dal cosmodromo russo di Baikonour la missione Eneide: una navetta porterà tre astronauti, guidati dal viterbese Roberto Vittori, sulla Stazione spaziale internazionale in orbita attorno alla Terra. Che cosa ti fa venire in mente questa notizia?
BIAGI. “Intanto mi conferma una caratteristica della nostra gente: esploratrice per natura. Anni fa i biologi avevano scoperto, all’interno del DNA umano, il ‘gene di Ulisse’, quello che spinge a viaggiare curiosi di scoprire nuove terre. Ebbene, quel gene noi italiani lo abbiamo nel sangue, sin dai tempi dell’impero romano (quando a muoverci, oltre alla curiosità, era uno spirito bellicoso) per approdare poi ai vari Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci ai quali si deve la scoperta il nome dell’America. E poi notizie del genere hanno il potere di emozionarmi fortemente: ho visto realizzare tutte le cose che avevo letto del ragazzo, le fantasie più ardite che popolano le pagine dei libri d’avventura alla Giulio Verne sono diventate delle realtà. L’uomo è andato sulla Luna, sta andando al centro della Terra (è recente la notizia di un’esplorazione della faglia di Sant’Andreas in California), sta programmando missioni interplanetarie: stando ai programmi, intorno al 2030 sono previste missioni verso Marte. Quel che di mirabolante è fiorito nella mente di questo scrittore è diventata realtà”.
Stazione spaziale internazionale: un'immagine del modulo italiano polifunzionale Leonardo, scattata il 05/01/05 al Kennedy Space Center.
Con gli italiani nello spazio sono volate anche le nostre specialità culinarie. Già un veterano come Umberto Guidoni, che fin dal 1996 aveva trascorso 16 giorni a bordo dello Shuttle, era riuscito a inserire (tra le musiche di Verdi, una bandiera europea e il vessillo tricolore) pure un pezzo di parmigiano nel contenitore dei pasti da portare a bordo tre…
“Chi fa imprese eccezionali merita pasti eccezionali. Vittori, tra l’altro, coltiverà fagioli e porterà un vitigno di Sassicaia. Altra curiosità: pure il primo mini-frigorifero era made in Italy, creato da un’azienda marchigiana. Così come farà piacere agli italiani sapere che sono l’Agenzia spaziale italiana e industrie nazionali a costruire gran parte dei moduli della Stazione: i tre Leonardo, Raffaello e Donatello, il laboratorio Columbus, due dei tre nodi di collegamento, una cupola di osservazione e un modulo abitabile. Sicché dal 2006, quando il montaggio della struttura orbitante sarà completato, gli astronauti italiani avranno la possibilità di sentirsi un po’ padroni di casa, visto che oltre la metà della stazione sarà rappresentata da moduli costruiti dal nostro Paese. Che, come nella missione sulla Luna, dimostra di avere doti straordinarie e poco note”.
Che c’entra la missione Apollo?
“C’entra. Quella notte del 16 luglio del 1969 al tavolo di comando della NASA c’era un italiano, Rocco Petrone. Suo padre, vice brigadiere di Sasso di Castalda, un paese senza storia presso Matera, era emigrato in America e il figlio Rocco, studiando sodo, è arrivato a quel ruolo di comando della NASA. Il che dimostra come, nel giro di una sola generazione, si possa passare dei Sassi di Matera ai sassi della Luna”.
A proposito
- Il 15 dicembre 1964 partimmo per lo spazio: da una base americana veniva lanciato il primo satellite italiano, il San Marco, per lo studio dell’atmosfera. Dopo Stati Uniti e Urss fummo il terzo paese al mondo a tentare l’avventura spaziale. Il Von Braun italiano era l’ingegnere di Mestre Luigi Broglio.
- Altri big dell’astronautica di casa nostra sono Rocco Petrone, che diresse per la NASA i voli della missione Apollo, e il compianto Giuseppe Colombo, università di Padova, “mago” della meccanica celeste e prezioso aiuto alla NASA per sciogliere complessi problemi.
- I sette astronauti italiani sono, con Paolo Nespoli attualmente in orbita sulla Stazione spaziale internazionale: Franco Malerba, Maurizio Cheli, Umberto Guidoni, Roberto Vittori, Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti.
- Fotogallery qui: asi.it/vita-nello-spazio/litalia-in-microgravita/astronauti/
Ancora un momento, prego
Quel giorno di Yuri Gagarin, il primo uomo nello spazio
testo di Rossana Rossi*
Il volto dell’astronauta Yuri Gagarin, disegnato dall'artista italiano Jorit, sulla facciata di un palazzo a Odincovo, in Russia.
A pronunciare queste poche emozionate parole, il 12 aprile 1961, è l’uomo che per primo ha potuto ammirare il nostro pianeta dal buio dello spazio. Sono passati 60 anni da quel giorno, e l’astronautica ha fatto passi da gigante, ma il nome di quell’uomo, Yuri Aleksejevic Gagarin, è ancora ricordato con reverenza dagli altri coraggiosi che lo hanno seguito.
“Mi è venuta spesso in mente quell’unica frase pronunciata da Gagarin”, racconta l’astronauta italiano Roberto Vittori a sua volta inquilino di un veiciklo spaziale russi, a Soyuz, “quando a tarda sera, chiuso nel guscio della Soyuz, galleggiavo fino a un oblò per scattare fotografie della Terra”.
Figlio di un falegname e di una contadina, Gagarin era nato il 9 marzo 1934 nel villaggio di Klushino, nella Russia nordoccidentale. “Una famiglia molto comune”, amava dire lui stesso, “del tutto simile a milioni di altre del Paese”. Dopo aver frequentato la scuola militare dell’Aeronautica di Orenburg, uscendone con il grado di tenente pilota, nel 1959 entra a far parte di un piccolo gruppo di aspiranti cosmonauti. I sovietici, infatti, si danno un gran daffare per battere gli americani nella corsa allo spazio. Un’équipe di ingegneri sta allestendo la capsula Vostok: un abitacolo sferico con tre oblò del diametro di 2,30 metri soprannominato “charik”, piccola palla. A farle vincere la gravità terrestre provvederà il razzo A-1, dotato di uno stadio in più rispetto a quello che aveva portato in orbita lo Sputnik, mentre il rientro nell’atmosfera sarà reso più “soffice” da un paracadute. Dopo il “battesimo” di un prototipo senza equipaggio, vengono lanciate quattro Vostok con a bordo cani e topi: malgrado ne siano recuperate solo tre, si decide di “osare” con un uomo.
Un volo da brivido
I maligni sostengono che, quando si trattò di decidere a chi toccasse l’onore di salire su quella specie di palla di cannone che sarebbe stata sparata in orbita a percorrere 45.000 km in meno di due ore, la scelta sia caduta su Gagarin perché era il più piccolo del gruppo e poteva installarsi più facilmente nel minuscolo abitacolo. Secondo la versione ufficiale, invece, Yuri fu scelto, come dichiarò l’ingegnere capo Sergei Korolev,
Sposato con Valentina, due figli piccoli, origine proletaria, Gagarin sembra incarnare il “compagno” tipo. Quel fatidico 12 aprile, alle 5,30 del mattino ora di Mosca, Gagarin viene svegliato, fa colazione con purea di carne in tubetto, marmellata di ribes nero e caffè, poi si avvia in autobus alla rampa di lancio. Alle 7,10, con indosso una tuta-scafandro arancione, ermetica come una seconda capsula, è già al suo posto, legato al sedile eiettabile della Vostok. Di fronte ha un oblò panoramico e il pannello degli strumenti, dove spicca un globo terrestre con un indicatore e una freccia per indicargli se la posizione attorno alla Terra è corretta. Durante il conteggio alla rovescia, Yuri ascolta della musica e assicura che è pronto e assolutamente tranquillo. Finalmente, alle 9,07, il via. Il razzo si alza maestosamente poi si inclina verso est: il rumore è assordante, l’accelerazione pari a 8 g schiaccia l’uomo contro il sedile e gli deforma il volto. Dopo il distacco dal razzo la Vostok entra in orbita alla velocità di 28.000 km all’ora, compie un giro intorno alla Terra fino a 327 km di quota poi si rituffa come una bomba nell’atmosfera. Alle 10,55 una palla rovente e bruciacchiata atterra in un campo arato nei pressi del villaggio di Smelovka, 800 km a sud-est di Mosca.
Un incidente misterioso
Nessuno è mai riuscito a stabilire con certezza se Gagarin sia rimasto fino alla fine all’interno della capsula o si sia catapultato fuori con il seggiolino eiettabile. Certo è che l’impatto con il suolo dev’essere stato durissimo. Ma l’impresa si è conclusa felicemente. Il 14 aprile Yuri arriva a Mosca, dove mezzo milione di persone sfila sulla Piazza Rossa per festeggiare il cosmonauta, ritto in piedi sul palco davanti al mausoleo di Lenin. Decorato da Krushev con l’Ordine di Lenin, l’onorificenza più alta, il grande Eroe dell’Unione Sovietica si merita anche alcuni benefit gentilmente concessi dal Partito: un’automobile personale, un appartamento di quattro stanze in una zona residenziale di Mosca e una dacia in campagna. Inizia poi un lungo tour mondiale, accolto dai potenti e dalla gente comune come si accoglie chi ha realizzato un sogno di tutti.
Non torna però più nello spazio, forse per problemi fisici, forse per ragioni politiche: con la destituzione di Krushev da parte di Brezhnev, che intende cancellare il periodo che lo aveva preceduto, restaurando la parte più stalinista dell’Unione Sovietica, Gagarin cade in disgrazia. Decide allora di di rivolgersi a un istruttore esperto, Vladimir Serugin, per tornare a volare sui caccia. Il 27 marzo 1968 i due salgono a bordo di un Mg 15 ma non faranno mai ritorno, perché l’aereo precipita sul bosco di Kirzac poco prima dell’atterraggio previsto.
Alcuni sostennero all’epoca che l’ex cosmonauta fosse ubriaco, altri che il suo omicidio fosse stato ordinato dal Cremlino, allo scopo di eliminare un personaggio che stava diventando ingombrante e poco gestibile. Secondo una ricerca condotta nel 2010 da alcuni studiosi russi, guidati da Igor Kuznetsov, la disgrazia sarebbe stata invece causata da un errore umano. Accortosi che una presa d’aria nell’abitacolo dell’aereo era stata lasciata aperta, forse preso dal panico, Gagarin avrebbe tentato una manovra spericolata per scendere di quota. Ma la discesa in picchiata fu così veloce che entrambi i piloti persero coscienza e si schiantarono al suolo. Il 30 marzo l’Unione Sovietica tributò al suo eroe i funerali di Stato.
Buono a sapersi
- Nel 1968 un asteroide della fascia principale appena scoperto è stato chiamato “1772 Gagarin”.
- Nel 1977 Claudio Baglioni ha a dedicato a Gagarin la prima traccia del suo album “Solo”.
- Nel 1980 è stata eretta a Mosca una statua che lo raffigura: alta 40 metri, è fatta di titanio.
- Nel 1992 la Swacht ha dedicato a Gagarin l’orologio Yuri, disegnato da Igort (Igor Tuveri), oggi da collezione.
- La Città delle stelle: nel 1955 l’Unione Sovietica dà l’avvio alla costruzione di una base ultrasegreta da cui far partire l’avventura dell’uomo nello spazio. È la cosiddetta “città delle stelle”, situata una quarantina di km a nord-ovest di Mosca sulle rive del Syr Daria, alla stazione di scambio 103 della ferrovia che collega la capitale a Taskent. In epoca sovietica era una città chiusa, accessibile solo agli addetti ai lavori, isolata dal resto del mondo, tanto che non compariva su alcuna carta geografica. Dagli anni ’60 qui hanno vissuto e si sono addestrati cosmonauti e aspiranti tali. Anche oggi è un centro militare di addestramento e ricerca spaziale.
(via mail)
Ciao, Salvatore! Forse ricorderai: ci siamo conosciuti oltre quarant’anni fa a Cerignola, in occasione di un cosiddetto “sciopero alla rovescia” dei braccianti della zona. Io, modesto corrispondente di provincia per l’Avanti! con la non nascosta aspirazione a diventare giornalista professionista, tu inviato de L’Europeo: ti chiesi alcuni consigli su libri da leggere in materia di giornalismo, e tu fosti talmente generoso da scrivermi mentre ero in pieno servizio militare in zona friulana. Passarono gli anni e approdai, come collaboratore esterno, alla “Gazzetta del Mezzogiorno” – redazione di Foggia, guidata dal compianto Anacleto Lupo. Diventai professionista e poi caposervizio della stessa redazione foggiana. Da qualche anno sono in pensione, ma non ho rinfoderato la penna. Mi ha fatto piacere incontrarti in… rete, e leggendo il tuo blog mi accorgo che le tue iniziative, i tuoi interventi di valente narratore creano ancora entusiasmo per questo mestiere. Desidero esprimerti i mie sinceri complimenti per il tuo Channel, e inviarti tanti cari saluti.
Il lavoro, volontario e gratuito, per il blog richiede tempo, silenzio e pazienza ma il ritrovare cervelli e cuori amici come quello del collega Lello Vecchiarino ripagano ampiamente. (sg)