I molteplici, indiscutibili successi non hanno mai tolto alle donne il gusto di competere con i maschi o di affiancarli nel perseguire risultati clamorosi. Da questa motivazione ha origine un’impresa aviatoria d’annoverare tra quelle di maggior spessore tecnico ed emotivo: il giro del mondo senza scalo e senza rifornimento in volo. È un obiettivo talmente ostico che nessun organismo statale, forza armata o industria del settore aerospaziale ha ancora osato proporsi.
Nel 1957 tre bombardieri strategici Boeing B-52 (gli aeroplani dotati di maggiore autonomia) hanno effettuato il periplo della Terra percorrendo 39.000 chilometri in 45 ore e 19 minuti: ma durante il lungo volo sono stati ripetutamente riforniti di carburante da aerei-cisterna. Il record di distanza appartiene tuttora a un B-52, che – senza rifornimenti – nel 1962 ha coperto d’un balzo 20.160 chilometri. Il volo attorno al pianeta richiede un’autonomia almeno doppia: ma le macchine esistenti – realizzate per rispondere a esigenze specifiche – sono il frutto di compromessi e tecnologie che escludono qualsiasi possibilità di migliorare la prestazione del bombardiere statunitense. Bisognerebbe inventarne una di sana pianta, per avere qualche probabilità di riuscita.
Eppure, a un successo di tale portata aspira il titolare di una piccola azienda. Si chiama Burt Rutan: è un tecnico americano che ha rivoluzionato la concezione degli ULM basandone l’allestimento sull’uso dei materiali compositi. La scelta gli ha permesso di progettare velivoli dalle forme stravaganti e dal rendimento aerodinamico elevatissimo. Burt confida l’inaudito progetto a suo fratello Dick Rutan, esperto collaudatore, e alla compagna di questi: Jeana Yeager, ragazza altrettanto entusiasta del volo e dotata del temperamento necessario per aderire all’apparentemente folle impresa.
Il bizzarro aeroplano concepito da Burt – un mostro pesante solo 800 chilogrammi, ma in grado d’imbarcare carburante per un peso cinque volte superiore – viene assemblato con lentezza esasperante nel piccolo hangar di Mojave (California) dove ha sede l’azienda. Per cinque interminabili anni l’energica Jeana – destinata a compiere il temerario tentativo insieme a Dick – è d’esempio a tutti nell’affrontare le difficoltà e i momenti di sconforto che potrebbero far fallire l’iniziativa. Una volta ultimato, Il VOYAGER (nome augurale dato al velivolo) presenta un’apertura alare superiore a quella di un trireattore commerciale, ma per i due piloti è disponibile solo uno stambugio non più grande d’una cabina telefonica.
Il decollo avviene all’alba del 14 dicembre 1986, dall’aerobase militare di Edwards, e solo per miracolo non si conclude in una catastrofe. Il peso del carburante fa piegare in basso le estremità delle ali, che strisciano sul cemento riportando danni. Malgrado tutto, i piloti decidono di proseguire e, staccato l’aereo dal suolo, si dirigono a ovest, verso l’oceano Pacifico.
Dopo 24 ore hanno di poco superato le isole Hawaii e, al termine del secondo giorno, incappano in un violento uragano. Anche il terzo e quarto giorno sono costellati di problemi, dato il persistere delle sfavorevoli condizioni meteorologiche. Ma le avversità più insidiose li attendono sull’Africa, nel quinto e sesto giorno di volo.
Prima è Dick ad andare in tilt, a causa della stanchezza che gli provoca delle allucinazioni. Poi – quando sono costretti a salire fino a 6.000 metri d’altezza per superare una catena di monti – è Jeana a rischiare la vita, per il difettoso funzionamento dell’erogatore d’ossigeno. Nei tre giorni successivi vengono tenuti costantemente in apprensione da molti altri inconvenienti tecnici e da crisi psicofisiche in potenza micidiali, finché giungono in vista della costa californiana la mattina del 23 dicembre.
L’odissea di Dick e Jeana finisce 216 ore e 4 minuti dopo la partenza, quando il VOYAGER posa trionfalmente le ruote sulla pista di Edwards (ai cui bordi si sono appostate, durante la notte, migliaia di persone in attesa). La verifica degli strumenti di bordo rivelerà che sono stati percorsi 48.685 chilometri. Agli intervistatori, che le chiedono chi dei due sia stato più a lungo ai comandi, Jeana ha ancora la prontezza e l’arguzia di rispondere: “Dick ha pilotato l’aeroplano e io ho pilotato Dick”.
La formidabile impresa del VOYAGER ha l’effetto immediato di far aumentare la percentuale dei brevetti di volo rilasciati alle donne e di far cadere le ultime riserve nei confronti delle aviatrici. Persino le compagnie aeree più restie all’impiego di personale femminile rinunciano alla controproducente discriminazione. Una donna ai comandi di un aereo commerciale non stupisce né preoccupa più nessuno: anzi, giova all’immagine dell’aerolinea. Nel 1987 se ne contano già più di 300 negli Stati Uniti, una trentina in Europa e altre in Canada, Australia, Argentina, Messico, Colombia, India, Pakistan. Quattro anni dopo assommano a oltre 750.
Alcune aviolinee non si limitano ad assumere donne abilitate al pilotaggio professionale, ma aprono alle ragazze anche i propri corsi di formazione. È il caso dell’Alitalia, che nel 1989 affida per la prima volta un bireattore di linea a una donna (Antonella Celletti), alla quale seguiranno presto altre quattro colleghe uscite dalla Scuola di volo della compagnia. Un’altra ragazza italiana abilitata a pilotare vari tipi di aeroplani ed elicotteri – Emanuela Barilla – è invitata a volare con i componenti del team acrobatico Alpi Eagles, formato da ex-piloti della celebre pattuglia militare Frecce Tricolori. Non si può escludere che – riportando alla memoria il precedente d’una donna coinvolta nell’esibizione d’una formazione acrobatica della Royal Air Force britannica nel 1962 – l’iniziativa degli italiani abbia indotto altri complessi a valutare l’inserimento di un’aviatrice nelle loro organico.
Un risultato concreto è poi emerso con l’immissione d’una donna nel team dei Thunderbirds, la più blasonata formazione dell’U.S. Air Force. Ma la sorpresa riservataci dai praticanti di questa sbalorditiva disciplina aviatoria si manifesterà nel 2010: quando l’Aeronautica Militare della Repubblica Popolare Cinese renderà nota l’attivazione di una pattuglia di sei componenti formata esclusivamente da donne. Si tratta di una compagine acrobatica destinata a propagandare la presenza femminile nelle Forze Armate cinesi e che, allo scopo, si avvale dei prestigiosi aviogetti da combattimento Chengdu J-10 AY: macchine dalle prestazioni non inferiori a quelle dei più moderni velivoli occidentali della stessa categoria.
In questo clima di tardiva rivalutazione delle “donne con le ali” i mezzi d’informazione scoprono che in terra di missione opera, da un diversi decenni, una religiosa regolarmente munita di brevetto: suor Sean Underwood, che per dare assistenza spirituale e materiale ad alcune tribù africane si sposta a bordo di un piccolo monomotore Cessna 182 regalatole da benefattori del suo Paese, l’Irlanda. Riguardo alle religiose, però, va correttamente segnalato un primato che risale agli anni precedenti la seconda guerra mondiale: due missionarie italiane, suor Maria Cleofe e suor Maria Immacolata, hanno imparato a pilotare per portare celermente il loro prezioso aiuto in sperduti villaggi dell’India e del Pakistan.
Per contro (come succede in tutti gli ambiti dell’agire umano) anche gli aviatori indulgono qualche volta alla ricerca spasmodica di discutibili prodezze, che spesso sconfinano nell’aberrazione. Questa smania, tipica del nostro tempo, provoca un progressivo abbassamento dell’età di chi non resiste alla tentazione di procurarsi una fugace popolarità. Così, le cronache riportano anche il pretenzioso tentativo di una ragazzina appena undicenne di trasvolare da costa a costa il continente nordamericano (sia pure con l’istruttore a fianco).
Al di là di questi eccessi, la più equa considerazione accordata alle aviatrici fa sì che trovino meno ostacoli nell’intraprendere un’attività professionale o anche una carriera tra le più gradite e rischiose. Nel 1991 l’industria aerospaziale americana Boeing rende noto che, dei 130 piloti collaudatori alle sue dipendenze, due sono donne: Susan Darcy, qualificatasi nel 1985, e Rose Loper, che ha avuto la nomina tre anni dopo.
Con gli espertissimi collaudatori che pilotano i sofisticati aerei sperimentali SR-71 della NASA ha lavorato dal 1991 Marta Bohn Meyer. Questa donna, che ha diretto vari programmi di ricerca avanzata, è la prima – e finora l’unica – ad avere volato su un aeroplano a una velocità tre volte maggiore di quella del suono (Mach 3).
Le donne si sono ben inserite anche nel settore del cosiddetto “lavoro aereo”, che comprende attività come il trasporto a domanda (aerotaxi), l’intervento sanitario d’urgenza, l’irrorazione agricola, le riprese cinematografiche e televisive. Ottengono anche di prestare servizio come piloti per gli enti statali che dispongono di mezzi aerei: Polizia, Corpo Forestale, Vigili del Fuoco. Encomiabile è la loro presenza nel Servizio antincendio impegnato nella pericolosa lotta alle fiamme che distruggono i boschi. Dal 1993 la società italiana che svolgeva questa attività per conto della Protezione Civile ha avuto in organico tre donne-pilota. Altre hanno figurato nei ranghi delle similari organizzazioni francese e spagnola.
Nel variegato quadro che si è delineato alle soglie del Duemila, e che evidenzia l’ormai completa integrazione delle donne nel mondo aeronautico e spaziale, si può collocare (come la classica ciliegina sulla torta) la nomina dell’inglese Barbara Harmer a comandante di un aereo civile supersonico CONCORDE. Barbara, che era una delle 40 aviatrici della British Airways, ha fatto carriera volando su tutti i tipi di aviogetti in dotazione alla compagnia e ne ha raggiunto l’apice il 25 maggio 1993, pilotando per la prima volta l’affusolato bolide da Londra a New York.
Più recentemente – a premiarne capacità e impegno dimostrati nell’acquisire il brevetto per pilotare anche velivoli da combattimento, nei reparti dell’Aeronautica Militare Italiana – Samantha Cristoforetti ha partecipato a un concorso indetto dall’Agenzia Spaziale Europea per venire inserita in uno degli equipaggi misti, destinati a operare sulla Stazione spaziale internazionale (ISS). Appena concluso il periodo di addestramento, per eseguire impeccabilmente i compiti da svolgere a bordo del veicolo spaziale, alla prima astronauta italiana è stato assegnato un ruolo cruciale in una missione orbitale – della durata di sei mesi – iniziata il 23 novembre 2014.
La lunga marcia di @AstroSamantha. Il prestigioso incarico assegnato alla nostra connazionale è frutto della sua precoce passione aviatoria, che l’ha spinta a indirizzare tempestivamente la propria formazione verso materie di studio rispondenti allo scopo. Nata a Milano nel 1977, quando la famiglia si è trasferita a Trento vi ha frequentato il Liceo Scientifico, diplomandosi nel 1996. Acquisita la laurea in Ingegneria nel 2001 in Germania, a Monaco di Baviera, la brillante studentessa ha avuto facile accesso all’Accademia dell’Aeronautica Militare, dove è cominciata la sua carriera di pilota, punteggiata da affermazioni accademiche ed esperienze pratiche sfociate nell’agognata assegnazione del brevetto militare, nel 2005.
Nel frattempo ha potuto fruire di ulteriori conoscenze in campo aerospaziale frequentando scuole superiori sia in Francia che a Napoli, nonché l’Università delle Tecnologie Chimiche a Mosca. A tali risultati ha fatto sèguito la promozione a pilota di velivoli da guerra e il grado di capitano. Dopo ulteriori corsi di addestramento specifico negli Stati Uniti (su aviogetti supersonici Northrop T-38) e in Italia, nel 2008 è stata assegnata a unità da combattimento dotate di velivoli da ricognizione e attacco di produzione nazionale Alenia-Aermacchi AMX.
Queste dimostrazioni di eccezionale valenza professionale e le sue conoscenze nei più avanzati settori della ricerca scientifica hanno fatto scattare, nel 2009, la sua assunzione nell’Agenzia Spaziale Europea (ESA): dove nell’arco di un anno ha completato l’addestramento basilare per entrare nel ristretto nucleo degli aspiranti astronauti. Dopo 12 mesi ha cominciato la preparazione al ruolo di astronauta di riserva, in vista della partecipazione a una delle missioni programmate per trascorrere lunghi periodi di permanenza a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Ciò ha comportato un’impegnativa serie di allenamenti finalizzati alla gestione dei complessi sistemi della stazione orbitale, l’eventuale fuoriuscita dal veicolo (per effettuare le cosiddette “passeggiate nello spazio” al fine di svolgere esperimenti o risolvere problemi tecnici) e l’addestramento a bordo di una navicella SOYUZ, per esercitarsi ad assolvere il compito di “primo ingegnere di volo”.
Ma l’aspetto saliente della sua apprezzata attività ha riguardato le indagini inerenti le reazioni fisico-chimiche di numerose sostanze e il comportamento degli organismi viventi esposti all’assenza di gravità. In particolare, per impadronirsi delle rispettive competenze, ha soggiornato a lungo nelle idonee strutture, allestite negli Stati Uniti, in Giappone e in Russia.
Nel 2012 l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) ha proposto di inserire Samantha nel terzetto di astronauti destinati a gestire la missione “Futura”, dedicata alla valutazione di 200 progetti scientifici, coronando così il suo desiderio di essere la prima donna italiana a compiere una missione spaziale. Il suo esordio è stato reso più prezioso dalla molteplicità dei dati raccolti e dai promettenti sviluppi emersi dalle analisi già effettuate: che, tra l’altro, hanno aperto concrete prospettive di migliorare – se non addirittura di rivoluzionare – la cura di molte malattie debilitanti.
La permanenza dell’astronauta italiana e dei suoi due colleghi sulla Stazione Spaziale Internazionale avrebbe dovuto durare sei mesi. Ma l’inattesa perdita della navicella adibita ai rifornimenti e al recupero dell’equipaggio ha costretto a prolungare la missione, che si è conclusa dopo 200 giorni di attività spaziale. Così, Samantha si è trovata inaspettatamente al vertice nella classifica delle donne rimaste più a lungo a bordo di un veicolo in orbita.
Al pari degli uomini. Siamo così giunti alla fine del nostro racconto dell’epopea delle donne volanti. In un’epoca in cui gli aeroplani dominano l’atmosfera che circonda la Terra e numerosi astronauti hanno da tempo messo piede sulla Luna, non sembra eccessivo affermare che le donne possano, al pari degli uomini, ritenersi padrone del cielo.
Della storia del volo non hanno tracciato i capitoli salienti; in qualche caso, però, ne hanno scritto pagine tra le più avvincenti e drammatiche.
Nella maggior parte degli episodi che abbiamo ricordato, la loro presenza è stata complementare: ma va considerato che – per le più diverse ragioni – anche la loro partecipazione è stata a lungo circoscritta e numericamente limitata. Quando sono state chiamate, quando – più spesso – si sono offerte per dare il loro contributo in attività esercitate prevalentemente dagli uomini, hanno affrontato le prove con competenza e slancio non inferiori.
- L’altra metà in cielo. Quando le donne presero il volo
- Elise Deroche, Ruth Law Oliver, Therèse Peltier, Mary Macchi di Cellere, Jeanne Hervieu, Lilian Bland e Rosina Ferrario: le antenate di @AstroSamantha nell’epoca degli aeroplani
- I primi record delle mitiche antenate di @AstroSamantha: Matilde Moisant, Katherine Stinson, Lillian Boyer e Ruth Law Oliver
- Adrienne Bolland, Ruth Elder e Amelia Earhart: un balzo sull’oceano Atlantico delle mitiche antenate di @AstroSamantha
- E il mondo si fece piccolo per Amelia Earhart, Amy Johnson, Jean Batten, Sofia de Mikulska e Beryl Markham, le mitiche antenate di @AstroSamantha
- La sfida all’oceano Pacifico da parte di una mitica antenata americana di @AstroSamantha: Amelia Earhart
- Così la genovese Carina Massone Negrone e le altre antenate di @AstroSamantha Liesel Bach, Marga von Etzdorf, Maude Tait, Florence Klingesmith, Louise Thaden e Jacqueline Cochran, con lo spettacolo di sport e velocità, incantavano folle enormi
- Jacqueline Cochran, Betty Gillies e l’epopea delle aviatrici in divisa
- Marina Raskova, Lidya Litvyak, Marina Smirnova, Hanna Reitsch, Valérie Andrè: ed Eva partì per le missioni di guerra
- La guerra delle due Jacqueline per il primato nei cieli: Jacqueline Douet Auriol e Jacqueline Cochran
- Marion Hart, Teodolinda Fornari, Colette Duval, Pelagia Majewska, Juanita Benjamin e Sue Clouston: arrivarono i tempi d’oro delle “nonnine volanti”
- Cochran e Douet Auriol: si scrive Jacqueline, si legge donne supersoniche
- Dalle stalle alle stelle: la cavalcata nello spazio dell’eroica Valentina Tereshkova
- Sulla scia di Valentina Tereshkova, il cielo accoglie tante nuove padrone: Janice Brown, Svetlana Savitskaya, Sally Ride ed Helen Sharman
- Jeana Yeager, Marta Bohn Meyer, Barbara Harmer e Samantha Cristoforetti: le donne con le ali ora se ne vanno in giro per il mondo
A cura di Salvatore Giannella e Luigi Butti per Giannella Channel
(via mail)
Al di là dei discorsi sulla parità di genere, trovo molto interessante la figura di Samantha Cristoforetti. Come madre di una figlia femmina mi augurerei tante più Samanthe e un po’ meno Belén a proporsi come potenziali modelli di ruolo.
Grazie Salvatore Giannella.