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L’attacco della Germania alla Russia si è avvantaggiato della superiorità aerea favorita dalle prestazioni dei moderni aerei da caccia Messerschmitt Me-109.

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Un’immagine famigliare di Marina Raskova (Mosca, 1919 – rive del Volga, 1943), incaricata di formare un primo nucleo di aerei da caccia affidati ad aviatrici debitamente addestrate per arginare la supremazia tedesca. E’ la prima donna a essere fregiata del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.

In Russia, la disperata situazione militare che fa seguito all’inatteso attacco tedesco del 1941 non consente di guardare troppo per il sottile e le aviatrici meglio addestrate vengono direttamente inquadrate nelle unità combattenti. Nei primi mesi di battaglie l’aviazione sovietica è stata quasi completamente annientata dalla Luftwaffe, che dispone di piloti preparatissimi e di aeroplani di prim’ordine. Così Stalin in persona fa chiamare l’aviatrice Marina Raskova (classe 1919, passata dalle giovanili passioni come cantante lirica al brevetto da pilota e navigatore militare e poi all’insegnamento nell’Accademia Zhukovskij di Mosca, prima donna a farlo) e la incarica di organizzare un reparto femminile. Insignita del grado di colonnello, in poche settimane la Raskova crea dal nulla il 122° Reggimento aereo, prima unità da combattimento interamente formata da donne. Questo gruppo da caccia, equipaggiato con una quarantina di monoposti Yakovlev YAK-1, è l’avanguardia di altri reparti simili che vengono gettati nella fornace della guerra pochi giorni dopo l’assegnazione dei velivoli.

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Alcune delle prime 40 donne russe abilitate al pilotaggio dei caccia Yak-1, coi quali hanno inizialmente affrontato la lotta contro i velivoli della Luftwaffe.

Quanto sia prezioso il loro tempestivo intervento nel vivo della lotta è un fattore di portata incalcolabile, soprattutto sul piano morale. Di fatto, le donne russe non sono meno combattive degli uomini e, nella lista degli “assi” che hanno abbattuto aerei nemici, figurano molti nomi femminili: vanno menzionate almeno Lidya Litvyak (, il “Giglio bianco di Leningrado”, 7 vittorie aeree), Katia Budanova (6) e Tamara Pamyatnika (4). Generose, infaticabili, coraggiosissime, le donne-pilota dell’aviazione russa contribuiscono ad arginare l’avanzata tedesca e a capovolgere, gradualmente, il rapporto di forze. Nella primavera del 1943, grazie all’entrata in linea di aeroplani di nuovo tipo, l’aviazione sovietica raggiunge la parità tecnica con la Luftwaffe. Ben presto i Russi avranno, rispetto ai Tedeschi, anche una netta superiorità quantitativa.

Dopo lo sbandamento iniziale le aviatrici vengono selezionate con maggior cura e assegnate a compiti più adatti alle loro caratteristiche psico-fisiche.

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Le eccellenti prestazioni di caccia come lo Yak-3 (nella foto) hanno permesso ai piloti sovietici d’entrambi i sessi di opporsi validamente ai temibili avversari germanici.

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Lydia Litvyak (Mosca, 1921-1943) il “Giglio bianco di Leningrado”, è stata la più abile, tra le molte donne entrate nella classifica degli “assi” della caccia sovietica, a ottenere il maggior numero di vittorie (7). Il 1° agosto del 1943 decolla da Krasnyi Luch, in Ucraina, per la missione, la quarta di quel giorno, dalla quale non farà più ritorno.

La maggior parte presta servizio nei reparti da trasporto e da bombardamento; un’aliquota consistente alimenta i gruppi da caccia e da appoggio tattico; una non trascurabile minoranza vien fatta affluire ai reparti specializzati nella caccia notturna, tra i quali il 586° Reggimento è composto esclusivamente da donne. Nelle caotiche battaglie notturne (in cui, ai rischi del combattimento, si sommano quelli del volo nelle tenebre) si distinguono per capacità e dedizione la già citata Lidya Litvyak, Valeria Khomyakova e Olga Yamschikova. In tutto, il personale di volo femminile impiegato dall’aviazione russa nel corso della guerra assomma a circa cinquemila unità. Numerosi riconoscimenti premiano il valore di queste aviatrici, una delle quali (il capitano delle “Guardie” Marina Smirnova) viene fregiata del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.

Dopo la fine del conflitto si viene a conoscenza d’una singolare avventura vissuta dall’aviatrice tedesca Hanna Reitsch, famosa (negli anni precedenti la guerra) per le sue brillanti affermazioni sportive e scientifiche: nel 1933, a poco più di vent’anni, fa parte di una spedizione in Sud America incaricata di studiare le correnti e le condizioni meteorologiche sulle rotte che interessano la Lufthansa.

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L’obsoleto biplano Polikarpov Po-2 è stato largamente utilizzato dalle aviatrici russe per effettuare devastanti incursioni sfruttando esclusivamente il chiaro di luna.

Fallita la prima offensiva aerea contro l’Inghilterra, i Tedeschi hanno cominciato a prepararne un’altra da effettuare con armi di nuova concezione. Le “bombe volanti”, divenute tristemente celebri con la sigla V-1, sono ordigni rivoluzionari, progenitori dei missili odierni. Somigliano a piccoli aerei, privi però della cabina di pilotaggio. A mantenerli su una traiettoria prestabilita provvedono speciali congegni di guida; la propulsione è assicurata da un motore a reazione che imprime loro una velocità di 650 chilometri orari. Nella parte anteriore del missile è alloggiata una micidiale carica di tritolo, del peso di 900 chilogrammi.

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Le donne dedicatesi all’attacco notturno di postazioni nemiche, a bordo del vecchio Po-2, hanno acquisito sia le meritate decorazioni che il leggendario appellativo di “Streghe della notte”.

La messa a punto di armi così avanzate è alquanto laboriosa: le prime V-1 lanciate a scopo sperimentale si sfasciano in volo. Ciò rende necessario approntarne una versione pilotata per indagare sulle cause della disfunzione. Pilotare un missile!… Nessun altro avvenimento è paragonabile, più di questo, al proverbiale “cavalcare una tigre”. Non occorre soltanto ardimento, ma una consumata perizia nel pilotaggio degli aerei più rapidi. La scelta delle persone adatte va fatta nella cerchia dei piloti da corsa e, tra questi, viene interpellata Hanna Reitsch.

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Il bombardamento è un altro settore operativo in cui hanno brillato le aviatrici russe: in particolare si è distinta Mariya Dolina, al comando di uno stormo di bimotori Petlyakov Pe-2. Figlia di contadini, Maria è nata nel 1922 a Sharovka, un villaggio nella regione di Omsk in Siberia. Diplomata nel 1939 alla scuola di volo Osoaviakhim, ottiene l’abilitazione al ruolo di istruttore e mobilitata nel 587° Reggimento del quale diventa vicecomandante. Il 2 giugno 1943 il suo velivolo ha il motore colpito e incendiato dal tiro dell’artiglieria contraerei e durante il volo di rientro alla base è attaccato da caccia tedeschi. L’equipaggio si difende strenuamente riuscendo a sottrarsi all’abbattimento. Alla fine della guerra, con all’attivo 72 missioni di guerra, viene insignita del titolo di Eroe dell’Urss. E’ morta a 87 anni nel 2010.

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Hanna Reitsch (Hirschberg, 1912 – Francoforte sul Meno, 1979) ammiratissima aviatrice sportiva negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, per avere collezionato un’esaltante serie di primati nazionali e internazionali. E’ stata testimone della caduta del nazisdmo e dei suoi capi. Il giorno prima di uccidersi lo stesso Hitler la incaricò di arrestare Himmler.

La donna accetta di far parte del gruppo di collaudatori ed è lei a iniziare le prove in volo, nell’aprile del 1944. Il “missile pilotato” viene portato in quota appeso sotto l’ala di un bombardiere Heinkel. Quand’è stato sganciato, il pilota mette in funzione il motore a getto e manovra l’ordigno nelle condizioni di volo più critiche, in modo che i tecnici possano trarre utili osservazioni. I rischi maggiori si presentano all’ atterraggio, dato che l’infernale arnese si avvicina al suolo a velocità elevatissima. E’ proprio durante un atterraggio che Hanna Reitsch perde il controllo dell’infida macchina. La V-1 tocca il terreno malamente, lo scava prima con un’ala e poi con l’altra, comincia a roteare sul proprio asse finché si arresta in una nuvola di polvere e di rottami. Quando i soccorritori estraggono l’aviatrice dalla carcassa, constatano con sollievo che è solo leggermente ferita.

Per fortuna, le “bombe volanti” non saranno mai perfezionate a dovere. A partire dal giugno 1944 i Tedeschi ne lanciano più di ottomila contro Londra e altre migliaia contro la città belga di Anversa: meno della metà raggiunge i bersagli. Il loro sistema di guida si guasta facilmente e le batterie contraeree riescono a colpirne un’alta percentuale. Anche i piloti dei caccia più rapidi (SPITFIRE, MUSTANG, TEMPEST) riescono a raggiungerle e ad abbatterle. Anzi: intuitone il punto debole, i piloti escogitano un modo per non sprecare nemmeno i proiettili. Si affiancano al missile, avvicinano l’ala del loro apparecchio a quella dell’ ordigno, poi danno un colpetto che fa rovesciare la V-1. Il brusco cambiamento d’assetto fa bloccare gli strumenti di guida e il missile precipita a terra, lontano dal suo bersaglio. Già detentrice di decine di record mondiali in ambito sportivo, prima e dopo lo spericolato pilotaggio della V-1 la Reitsch si è distinta partecipando, con altri esperti collaudatori, alla messa a punto dei velocissimi caccia a reazione. Come il bireattore Messerschmitt Me-262, l’Heinkel He-162, oltre al caccia Me-163 KOMET: una macchina “tuttala”, rivoluzionaria sia nell’aspetto che per il sistema di propulsione a razzo.

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L’esemplare della “bomba volante” V-1 pilotato dalla Reitsch, per valutarne e migliorarne il sistema di guida automatico.

Il periodo che segue la fine della seconda guerra mondiale è caratterizzato dall’ininterrotto stillicidio dei “conflitti locali”. Una nota positiva, nel marasma delle interminabili guerre, è data dalla luminosa azione di un’ammirevole donna- pilota: Valérie Andrè, che svolge la sua attività in Indocina al seguito delle forze armate francesi. Da ragazza si è accostata all’aviazione non per soddisfare un hobby o una passione sportiva, ma col preciso scopo di trarre dalle macchine volanti il massimo vantaggio ai fini della sua professione. Infatti, Valérie è dottoressa in medicina e (nel paracadutismo prima, nel pilotaggio poi) ha visto i mezzi per migliorare la rapidità dei suoi interventi. Come medico-chirurgo è in Indocina una prima volta nel 1948. Vi fa ritorno nel 1950 già in possesso dei due brevetti di paracadutista e pilota d’elicottero.

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Nel corso dell’accanito conflitto Hanna Reitsch ha collaborato intensamente, con i più validi collaudatori, all’evoluzione dei primi aviogetti, tra i quali spicca il rivoluzionario caccia a razzo Messerschmitt Me-163 KOMET.

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In qualità di medico in grado di pilotare elicotteri, Valérie André è stata a lungo attiva nel soccorrere i militari francesi rimasti feriti nella guerra del Tonchino (Vietnam, 1946-1954).

Energica e volitiva, Valérie diventa un personaggio leggendario compiendo centinaia di logoranti missioni e operando nella duplice veste di medico e pilota. L’apparizione del suo piccolo, ronzante elicottero, riconoscibile dalle due barelle appese ai lati della fusoliera, è una visione che ridà speranza ai feriti e che conforta anche chi non ha bisogno di assistenza sanitaria.

Per anni Valérie tiene un ritmo di vita massacrante: i fattori che concorrono a fiaccare le sue forze sono innumerevoli. C’è l’estenuante cura di soldati orrendamente feriti, ustionati, mutilati; ci sono le difficoltà di volare su un terreno insidiosissimo, tutto jungla e acquitrini, e infestato dai guerriglieri; c’è la fatica di resistere a un clima debilitante; ci sono, infine, i continui rischi dei combattimenti in cui rimane coinvolta. Al prezzo d’inenarrabili sacrifici l’intrepida ragazza continua a prodigarsi, rimanendo attivissima fino al ritiro dell’esercito francese da quelle tormentate contrade.

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Uno degli innumerevoli interventi compiuti dalla André con l’elicottero, per prelevare un ferito e trasferirlo rapidamente nel più vicino ospedale.

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La cerimonia di decorazione di Valerie André.

9. Continua. Link agli altri capitoli.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).
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A cura di Salvatore Giannella e Luigi Butti per Giannella Channel