Negli anni tra la prima e la seconda guerra mondiale, segnati da un’attività febbrile in tutti i settori aeronautici, le competizioni aviatorie si diffondono come mai in precedenza. Le più impegnative (nelle quali sport e spettacolo si fondono perfettamente) richiamano folle enormi e danno un effettivo contributo al progresso tecnico, oltre che all’arte del pilotaggio. Nell’ottobre del 1930, a Milano, si svolge una spettacolare settimana aviatoria. Alle gare è ammessa la partecipazione delle donne e la signorina tedesca Liesel Bach figura, nientemeno, tra gli abilissimi e audaci concorrenti per l’acrobazia individuale. La prova della prima donna che si esibisce in una gara d’alta acrobazia è attesissima: e l’aviatrice accoglie applausi meritatissimi, anche se si classifica ultima su sei competitori.
I suoi avversari, infatti, erano i più prestigiosi “assi” della specialità: fuoriclasse celeberrimi, come il tedesco Gerhard Fiesler e l’italiano Mario De Bernardi. Successivamente la Bach si farà notare anche come conquistatrice di record ai comandi del più moderno monoplano da turismo Messerschmitt Me-108. In ambito internazionale si distingue un’altra aviatrice tedesca: Marga von Etzdorf, che nel 1931 vola, a tappe, da Berlino a Tokyo in 12 giorni.
In questo periodo rivalità ed evoluzione tecnica fanno registrare un’incessante serie di affermazioni individuali e collettive, promosse dall’elevato spirito competitivo dei vari paesi all’avanguardia nel settore aeronautico. E’ un fenomeno positivo, nel quale spicca anche la figura di una brillante aviatrice italiana. Carina Massone Negrone (Bogliasco, Genova 1911-1991), consorte del marchese Ambrogio, ha ottenuto il brevetto di volo a 23 anni e si mette in luce già un anno dopo con la conquista del suo primo trofeo: il record di altitudine (5.544 metri) stabilito ai comandi di un idrovolante. L’apprezzato successo la stimola a rivolgersi al Comando della Regia Aeronautica (così era designata, all’epoca, l’attuale Aeronautica Militare Italiana) per tentare di superare il primato assoluto femminile (11.289 metri) di cui è titolare l’aviatrice francese Maryse Hilsz.
Autorizzata a frequentare il prestigioso Centro sperimentale di Guidonia (Roma), si addestra al pilotaggio di un biplano Caproni Ca-113, modificato per voli ad alta quota. Il 25 giugno 1935 vi sale a bordo munita di una tuta debitamente imbottita (per vincere il freddo) e di una maschera collegata a un serbatoio che contiene l’ossigeno necessario per sopravvivere nell’aria rarefatta dell’alta atmosfera. Tra quanti assistono al decollo, pochi credono che sarà in grado di superare gli 11.000 metri di altitudine. Invece, resistendo all’insidioso malore che la tormenta nell’ultima fase del volo, la tenace aviatrice porta il velivolo a 12.046 metri, impadronendosi di un primato che rimarrà imbattuto fino all’avvento degli aerei a reazione.
Negli Stati Uniti fioriscono competizioni d’ogni genere: di velocità, acrobazia, caccia ai palloncini, lancio di bombe (che in realtà sono sacchi di farina). Le sfide più avvincenti sono quelle che danno luogo alla disputa di premi ambitissimi: il Trofeo Thompson, che va al vincitore di una corsa in circuito chiuso; il Trofeo Bendix, che spetta al più veloce concorrente di una corsa a tappe attraverso tutto il continente, da Burbank (in California) a Cleveland (nell’Ohio). Stimolati dalla rivalità professionale e dalle grosse somme in palio, a queste gare partecipano i migliori piloti statunitensi. Le donne si battono spavaldamente anche su questo fronte. Nel 1931, con un aereo da competizione Gee-Bee, Maude Tait porta il primato mondiale di velocità per la categoria femminile a 320 chilometri orari. E’ un risultato notevole, considerato che l’aeroplano sta attraversando un periodo critico della sua evoluzione tecnica. Il raggiungimento di elevate velocità condiziona le caratteristiche di decollo e atterraggio, per cui i bolidi da corsa risultano pericolosi al massimo proprio in queste delicate fasi del volo. A riprova c’è il fatto che i velivoli più rapidi del momento sono gli idrovolanti, che come piste usano superfici liquide di estensione praticamente illimitata.
I Gee-Bee sono apparecchi terrestri di nuova concezione e, in quanto tali, pieni di incognite. Nel 1932 un Gee-Bee pilotato da Jimmy Doolittle conquista il record mondiale di velocità sfrecciando a 477 chilometri all’ora. Ma nello stesso anno altri piloti perdono la vita su questo tipo di aereo, al cui ricordo rimarrà per sempre legato l’appropriato nomignolo di “killer”. Nel 1933, a Chicago, Florence Klingesmith sta concludendo la disputa del Trofeo Philips ai comandi di un Gee-Bee. In vista del traguardo, proprio durante l’ultima virata, si stacca il rivestimento dell’ala destra. Il bolide vibra, vacilla, sbanda; poi si capovolge di colpo e repentinamente si schianta al suolo provocando la morte della sfortunata aviatrice.
Un’altra gara che le donne affrontano con disinvoltura è il Trofeo Bendix. Qui l’insistenza con cui insidiano i primi posti ai concorrenti dell’altro sesso viene meritatamente premiata nel 1936, quando la vittoria arride a Louise Thaden, che col suo Beechcraft C-17R ottiene una media di 266 chilometri orari. Un secondo successo femminile si ha nel 1938, quando il primo posto viene conquistato da Jacqueline Cochran, che ha fatto registrare al suo filante Seversky S-2 la media di 401 chilometri all’ora.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale mette fine a tutto: ai raduni allegri e pittoreschi, alle esibizioni acrobatiche, alle corse spettacolari. Tutte le energie, adesso, sono incanalate nell’intento di dare ai combattenti il maggior aiuto possibile. Fin dalle fasi iniziali del conflitto le forze aeree giocano un ruolo decisivo sull’esito delle battaglie e l’assillante bisogno di piloti per i reparti di prima linea impone che si chiamino in causa anche le donne. Generalmente i piloti di sesso femminile sono impiegati in compiti di retrovia: ma, nelle circostanze in cui si verifica, il loro apporto è considerato determinante.
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A cura di Salvatore Giannella e Luigi Butti per Giannella Channel