Durante gli anni drammatici della prima guerra mondiale all’aeroplano si irrobustiscono le ali. Il mortale confronto, che costringe i contendenti a superarsi in ogni settore, dà al progresso della tecnica aeronautica una spinta essenziale. Alle migliaia di persone che operano nell’aviazione (o per l’aviazione) l’aeroplano è diventato familiare e, alla fine del conflitto, appare come l’ideale mezzo di comunicazione che avevano sognato i pionieri. Di fatto, le prime aviolinee commerciali nascono nell’immediato dopoguerra. La maggior parte della gente, però, associa l’immagine dei mezzi aerei a quella delle bombe e delle distruzioni. Per cancellare questa impressione negativa bisogna sostituirla con una più “pulita”, più convincente sulle reali possibilità offerte dagli aeroplani. Forze armate e industrie aeronautiche non esitano a appoggiare le iniziative che potrebbero ribaltare la situazione con risultati di prestigio.
Un traguardo molto ambito, raggiungibile con i velivoli dell’epoca, è la trasvolata dell’oceano Atlantico. I primi tentativi falliscono, ma il 15 giugno 1919 i piloti John Alcock e Arthur Brown – a bordo di un bimotore inglese Vickers VIMY – volano in sedici ore da Terranova all’Irlanda. L’anno dopo, con un avventuroso viaggio a tappe durato più di tre mesi, gli italiani Arturo Ferrarin e Guido Masiero collegano Roma a Tokio. Nel 1924 due velivoli americani completano il primo giro del mondo: partono da Seattle il 4 aprile e vi ritornano il 28 settembre, dopo aver percorso 49.560 chilometri. Il passo successivo mira a dimostrare la possibilità di collegare senza scalo una grande metropoli degli Stati Uniti e una capitale europea. Il raid New York-Parigi (5.800 chilometri) vede impegnati i più famosi aviatori dell’epoca e fa registrare alcuni luttuosi incidenti. L’audace impresa viene finalmente realizzata, tra il 20 e il 21 maggio 1927, da Charles Lindbergh, con un volo leggendario della durata di 33 ore e mezza.
Una francese sulle Ande. In questo periodo di conquiste decisive per l’affermazione dell’aeronautica, le donne non restano a fare da spettatrici. La prima a gettarsi nella mischia è Adrienne Bolland, che nel 1921 suscita enorme scalpore sorvolando la catena delle Ande tra l’Argentina e il Cile. Ventitre anni, francese d’origine belga, Adrienne ha acquisito il brevetto soltanto un anno prima, alla scuola di volo dei costruttori Gastone e René Caudron. Unica donna iscritta, ha dovuto superare la diffidenza dell’istruttore e dei colleghi. E l’ha fatto con esiti brillanti, al punto che i Caudron l’hanno voluta alle loro dipendenze con l’incarico di consegnare ai clienti i velivoli appena usciti di fabbrica. Primo pilota di sesso femminile a svolgere questo compito, Adrienne è ben presto tentata di emulare le imprese dei più arditi aviatori, delle quali le giunge insistentemente l’eco da ogni parte del mondo. Quando apprende che in Sudamerica sia il cileno Cortinez che l’italiano Locatelli hanno superato la Cordigliera delle Ande, propone ai Caudron di fare propaganda ai loro aeroplani fornendole i mezzi per trasvolare l’imponente massiccio.
I costruttori francesi hanno fiducia in lei e cedono alle sue insistenze. (Pare che con uno dei due ci fosse del tenero). La spedizione viene rapidamente organizzata e, il 1° aprile 1921, la ragazza può decollare dal suolo argentino a bordo di un aereo militare Caudron G-3. “Riesco a salire fino a 4.280 metri”, racconterà a cose fatte, “ma il mio aeroplano non guadagna nemmeno un centimetro in più. Davanti a me si ergono le cime minacciose dei monti dominati dai 6.960 metri dell’Aconcagua. Viro a sinistra e punto verso la gigantesca muraglia… Ma ecco che, quando già penso di schiantarmi contro una cresta ghiacciata, mi appare un passaggio nascosto da uno spigolo roccioso. Mi ci infilo dentro e, dopo lunghi attimi di apprensione, scorgo finalmente la pianura cilena!”.
La passione di Amelia. Quattro mesi dopo il fantastico balzo di Lindbergh sull’Atlantico, altre donne sono pronte a emulare anche il mitico trasvolatore. Comincia l’americana Ruth Elder, accompagnata dall’ufficiale di rotta George Haldeman. Sulle prime pare che tutto proceda alla perfezione: invece, quando sono già stati percorsi oltre 3.800 chilometri, un guasto meccanico costringe l’aviatrice a prender terra alle isole Azzorre. Poco male; perché anche gli uomini, inizialmente, hanno subìto i loro rovesci.
L’occasione per una rivincita del sesso debole si presenta l’anno dopo ad Amelia Earhart, che diventerà un’aviatrice fra le più abili e ammirate. Amelia è approdata all’aviazione appena ventenne. Ha preso il brevetto pagandosi le lezioni di pilotaggio con i guadagni di un’attività straordinaria e, qualche mese dopo, ha potuto comprare un aereo di seconda mano. Già da questo comportamento, insolito perfino nella spregiudicata America, si intuisce la forza d’una passione che va ben oltre la voglia del voletto domenicale. Infatti, nel 1920 Amelia conquista il primato mondiale d’altezza per la categoria femminile salendo a 4.700 metri. Sia pure entro la ristretta cerchia dei conoscenti, si mette in luce per le sue notevoli doti: preparazione e risolutezza, temperate da una grazia e un riserbo tipicamente femminili. I suoi voli sono sempre orientati verso mete molto impegnative. Nel 1928 Wilmer Stultz e Louis Gordon, che si preparano a superare l’Atlantico con un trimotore Fokker, incaricano l’editore George Putnam di scovare una ragazza disposta a completare l’equipaggio.
Perché una donna? Il fatto è che, in concorrenza al Fokker, c’è un altro trimotore pronto all’impresa: un Bellanca, battezzato “Miss Columbia“, che dovrebbe essere pilotato dall’aviatrice americana Mabel Boll. A Putnam viene fatto il nome della Earhart e lei, interpellata, accetta senza esitazioni. Il 17 giugno il Fokker si alza in volo da Boston, mentre il Bellanca è costretto a rinviare la partenza. In 22 ore e 50 minuti Amelia e i suoi compagni coprono 3.950 chilometri e atterrano a Southampton, nel Galles. La slanciata ragazza dai capelli corti e arruffati si trova di colpo circondata dalla celebrità. E’ la prima donna che ha sorvolato l’Altlantico e, per gli americani, è diventata un’eroina. La sua vaga somiglianza con Lindbergh fa sì che le appioppino l’affettuoso nomignolo di “Miss Lindy“.
Al suo ritorno in patria le accoglienze sono trionfali. Con rara modestia Amelia si schermisce. Confida ai giornalisti: “Non ho fatto nulla di eccezionale. La cosa più rimarchevole è stato il tentativo di lanciare un messaggio al capitano di un piroscafo. Ho messo il biglietto in un sacchetto appesantito da alcune arance e l’ho gettato. Ma non ho nemmeno centrato la nave!”.
Qualche tempo dopo Amelia sposa George Putnam e diventa “Lady Lindy“. Non è ambiziosa, ma il desiderio di fare qualcosa di più qualificante la induce a progettare un volo transatlantico da effettuare da sola. Nel 1932 cade il quinto anniversario della trasvolata di Lindbergh e – in omaggio al grande predecessore – la Earhart spicca il volo da New York il 19 maggio, a bordo di un monomotore Lockheed VEGA. Sorvolata Terranova, l’aviatrice solitaria scavalca 3.000 chilometri d’infida distesa d’acqua toccando terra a Londonderry, in Irlanda, dopo 15 ore e 18 minuti. È un successo strepitoso: la conferma delle fenomenali capacità aviatorie di una donna che farà ancora parlare di sé e di cui nessuno può, ora, immaginare il tragico destino.
4. Continua. Link alle puntate precedenti.
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- Elise Deroche, Ruth Law Oliver, Therèse Peltier, Mary Macchi di Cellere, Jeanne Hervieu, Lilian Bland e Rosina Ferrario: le antenate di @AstroSamantha nell’epoca degli aeroplani
- I primi record delle mitiche antenate di @AstroSamantha: Matilde Moisant, Katherine Stinson, Lillian Boyer e Ruth Law Oliver
- Adrienne Bolland, Ruth Elder e Amelia Earhart: un balzo sull’oceano Atlantico delle mitiche antenate di @AstroSamantha
- E il mondo si fece piccolo per Amelia Earhart, Amy Johnson, Jean Batten, Sofia de Mikulska e Beryl Markham, le mitiche antenate di @AstroSamantha
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A cura di Salvatore Giannella e Luigi Butti per Giannella Channel