Tempo fa sugli schermi televisivi di Rai5, il canale specializzato dedicato alla storia e alla cultura, correva per l’ennesima volta il pluripremiato sceneggiato, datato 1971 e firmato da Renato Castellani, dedicato alla Vita di Leonardo da Vinci, con il genio impersonato da Philippe Leroy. Un cronista, mentre gusta il caffè post pranzo, ascolta di sfuggita, “con la coda dell’orecchio”, un brano dei dialoghi di quello sceneggiato. Si accenna a rebus e indovinelli ideati da quel genio multiforme per Ludovico il Moro e i suoi ammirati e stupiti cortigiani.
Facevano parte di quegli esercizi dell’intelletto che ancora oggi tengono ben oliato e in forma il cervello. È la molla che scatena il cronista di razza: a mano a mano che si addentrava nei labirinti leonardeschi scopriva divertito a sua volta di essere nato esattamente cinque secoli dopo Leonardo (aprile 1952). Roberto inizia a navigare su Internet, scartabella libri dedicati a Leonardo, in primis il voluminoso tomo di Carlo Pedretti “Leonardo & io”, Mondadori, ed ecco il sorprendente reportage che potete leggere qui di seguito in coincidenza con il 500° anniversario della morte di Leonardo (cade il 2 Maggio 2019). Un testo che illumina una parte dei neuroni curiosoni del genio di Vinci e che meriterebbe di essere accolto in una stanza di un museo intrigante, come pare stiano pensando nel castello di Vigevano. (s.g.)
Era il Bartezzaghi del Cinquecento. E, se fosse nato nella nostra epoca, a fargli da mecenate non sarebbero stati Lorenzo il Magnifico, Ludovico il Moro, Cesare Borgia, Papa Leone X e i re di Francia Luigi XII e Francesco I bensì, molto più prosaicamente, il compianto cavaliere del Lavoro, grande ufficiale, dottor, ingegner Giorgio Sisini conte di Sant’Andrea, ovvero il nobile sardo che nel gennaio 1932 fondò e poi diresse per 41 anni la Settimana Enigmistica (a destra, la copertina del primo numero).
Già, quasi nessuno lo sa, ma Leonardo da Vinci, il più grande genio nella storia dell’umanità (il cui celeberrimo autoritratto senile con barba e capelli lunghi, sommità della testa calva e sguardo imbronciato, eseguito con la tecnica del disegno a sanguigna e conservato nella Biblioteca Reale di Torino, compie proprio quest’anno cinque secoli tondi tondi) oltre al vezzo della scrittura criptica con la mano sinistra da destra a manca, si sollazzava a inventare sciarade intellettuali, frasi in codice, anagrammi, giochi illustrati, filastrocche e rompicapi con cui era solito deliziare il duca Ludovico Maria Sforza, detto il Moro (qui sotto ritratto nella Pala Sforzesca oggi conservata nella Pinacoteca di Brera) nel castello di Milano, che all’epoca era una delle poche città europee con più di 100 mila abitanti.
Fra quelli più amati dai cortigiani del Moro (coetaneo di Leonardo essendo nato pure lui nel 1452), abbiamo scelto dieci indovinelli così come ce li ha tramandati l’artista stesso nelle sue carte:
- Quando li omini gitteranno via le propie vettovaglie?
Quando c’è la semina.
- Quando vedrassi i padri donare le lor figliole alla lussuria delli omini e premiarli e abbandonare ogni passata guardia?
Quando si maritano le putte.
- Il vento passato per le pelli delli animali farà saltare li omini.
Cioè la piva che fa ballare.
- E que’ che si imboccheranno per l’altrui mani fia lor tolto il cibo di bocca.
Il forno
- E saran molti cacciatori d’animali che quanto più ne piglieranno manco n’aranno; e così, de converso, più n’aran quanto men ne piglieranno.
Pigliar de’ pidocchi
- Quando li omini batteranno aspramente chi fia causa della lor vita?
Quando si trebbia il grano.
- Andranno li omini e non si moveranno, parleranno con chi non si trova, sentiranno chi non parla.
Il sognare
- Molti, per mandare fori il fiato con troppa prestezza, perderanno il vedere e in brieve tutti e sentimenti.
Spegnere el lume a chi va a letto
- Verranno li omini in tanta ingratitudine, che chi darà loro albergo sanza alcun prezzo, sarà carico di bastonate in modo che gran parte delle interiora si spiccheranno del loco loro e s’andranno rivoltando per suo corpo.
Battere il letto per rifarlo
- Chi verrà a tanto che non si cognoscerà differenzia in fra i colori, anzi si faran tutti di nera qualità?
La notte
Alla corte meneghina Leonardo è approdato nell’estate del 1482, dieci anni prima della scoperta dell’America. Assunto poi in pianta stabile dal Moro, si dedica a svariate attività: difesa militare della città, sistemi d’irrigazione, ritratti dei nobili e anche scenografie per cene e feste a Corte. Sfarzose quelle per le nozze di Anna Maria Sforza con Alfonso I d’Este nel 1491 e poi di Ludovico Maria con Beatrice d’Este nel 1494. Nello stesso anno riceve la richiesta di decorare L’Ultima Cena nel refettorio del convento dei domenicani di Santa Maria delle Grazie e per la sua carriera è la svolta.
Legato a un’altra committenza ducale è la Dama con l’ermellino, piccolo ma delizioso dipinto a olio su tavola realizzato tra il 1488 e il 1490, oggi conservato al Czartoryski Muzeum di Cracovia, in Polonia: ritrae la sedicenne Cecilia Gallerani, l’amante del Moro che tanto piaceva anche a Leonardo, ma per via del suo cervello. Secondo i critici il quadro nasconde una doppia sciarada intellettuale perché la presenza dell’animale (galé in greco), oltre a richiamare il cognome della donna allude anche all’onorificenza dell’Ordine dell’Ermellino ricevuta nel 1488 da Ludovico il Moro da parte di Ferdinando I re di Napoli.
Tuttavia il rompicapo enigmistico di cui il genio di Vinci è stato maestro assoluto è il rebus, gioco tra parola e immagine dall’origine antichissima e che nel corso dei secoli attrarrà altri suoi celebri colleghi come Lorenzo Lotto, Agostino Carracci, Giorgio De Chirico e René Magritte. Leonardo disegnava tutto lui stesso, segni grafici e scritte, come al solito al rovescio, anticipando alla perfezione da un punto di vista tecnico le regole dei rebus così come le conosciamo oggi. In fondo, ogni rebus altro non è che un’artistica scenografia dove il solutore incontra con ordine, da sinistra a destra, le figure e le lettere che lo porteranno alla soluzione.
Di Leonardo sono noti 171 rebus, quasi tutti conservati alla Royal Library di Windsor in un unico enorme doppio papiro. A raccoglierli e interpretarli per primo è stato il leonardologo di Legnano Augusto Marinoni (1911-1997) in un saggio del ‘54 edito da Olschki e oggi purtroppo introvabile.
Qui di seguito proponiamo nove suoi rebus, ognuno in quattro step fotografici: 1) così come sono stati realizzati da Leonardo; 2) rovesciandoli specularmente per comodità del lettore; 3) con la soluzione “spezzettata” e poi 4) con – in rosso – la soluzione finale, rovesciata rispetto ai precedenti step e vergata a mano dallo stesso Leonardo. (I fotogrammi sono tratti da un filmato del Museo Galileo di Firenze).
E poi, quest’altro, assai didascalico:
Terminiamo con l’exploit leonardesco più complesso, dove i cinque rebus compongono un’unica frase:
In Lombardia l’artista era approdato a trent’anni, spedito in missione dal Magnifico, signore di Firenze, con un dono da consegnare al Moro: un prezioso strumento a corde, una lira d’argento a forma di teschio di cavallo costruita dallo stesso Leonardo. Che, secondo il Vasari, era un provetto musico e infatti con la lira vinse una gara subito dopo l’arrivo alla corte degli Sforza. Del resto, la sua maestria con le sette note è confermata da quest’altro singolare rebus:
Leonardo lascerà Milano dopo la conquista francese, ma poi, lusingato dal governatore Charles d’Amboise, ci tornerà dal 1508 (due anni dopo aver terminato a Firenze La Gioconda) fino al 1513. In quel periodo vive vicino a San Babila e per il primo anno ottiene dal re di Francia la cospicua provvigione di 390 soldi e 200 franchi.
Ci piace chiudere con due “chicche” quasi inedite tratte dai voluminosi e dotti scritti di questo genio assoluto che si è sempre definito homo sanza littere per i suoi scarsi studi accademici: ha frequentato solo una scuola d’abaco (l’istituto tecnico dell’epoca) tra i 10 e i 14 anni e a 17 è entrato nella bottega fiorentina di Andrea del Verrocchio come semplice apprendista Ma ha poi saputo scalare da solo le più alte vette del sapere, spinto da un’insaziabile curiosità e dalla brama di padroneggiare il pensiero e gli strumenti di comunicazione.
La sua versatilità letteraria e la maniacale pignoleria linguistica sono certificate dall’estenuante ricerca delle parole più adatte, che lo portava a redigere in continuazione “repertori di forme omogenee” o interminabili liste di vocaboli. Eccone una poco nota e assai osé scovata tra gli appunti privati: una disinibita filastrocca sui modi popolari di chiamare l’organo sessuale maschile (“Cazzo, nuovo cazzo, cazuole, cazzellone, cazatello, cazata, cazelleria, cazate, cazo in ferigno, cazo erbato, caza vela, pinchellone”, Ar. f. 44 v.), che fa di lui uno spregiudicato antesignano del Gioacchino Belli del sonetto Er padre de li santi del 1832 (Er cazzo se po’ di’ radica, ucello,/cicio, nerbo, tortore, pennarolo,/pezzo-de-carne, manico, cetrolo,/asperge, cucuzzola e stennarello./Cavicchio, canaletto e chiavistello,/er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,/attaccapanni, moccolo, bruggnolo,/inguilla, torciorecchio, e manganello./Zeppa e batocco, cavola e tturaccio,/e maritozzo, e cannella, e ppipino,/e ssalame, e ssarciccia, e ssanguinaccio./Poi scafa, canocchiale, arma, bambino./Poi torzo, crescimmano, catenaccio,/iànnola, e mi’-fratello-piccinino./E tte lascio perzino/ch’er mi’ dottore lo chiama cotale,/fallo, asta, verga e membro naturale./Quer vecchio de spezziale/dice Priapo; e la su’ moje pene, segno per dio che nun je torna bene) e dell’irriverente Roberto Benigni col suo scatenato sproloquio in diretta tv su “patonza e verga” del ‘91 a Fantastico 12 con una Raffaella Carrà divisa tra stupore, imbarazzo e divertimento.
Al contrario, l’ultimo suo manoscritto con una data certa annotata a piè di pagina è del giugno 1518, l’anno precedente alla sua dipartita, ed è una notazione di vita domestica inattesa da uno come lui, che qui pare quasi il “tenero Giacomo” della Settimana Enigmistica: tutto preso dai calcoli di geometria ma evidentemente pressato da qualcuno dalla cucina di casa, Leonardo è costretto a interrompere di colpo la concentrazione e gli studi e a concludere la nota con “Eccetera, perché la minestra si fredda”. Anche i geni mangiano.
A proposito di Leonardo Da Vinci, leggi anche:
- Carlo Pedretti: la mia vita con quel genio di Leonardo
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- Quando i Grandi erano piccoli / Leonardo, bambino e genio “lussureggiante”
- Quando i Grandi erano piccoli / Leonardo disegnato da Hollar, le caricature del genio esposte a Vinci per il varo della nuova Fondazione Rossana & Carlo Pedretti (e un libro sui suoi 20 anni a Milano)
- Zelo Surrigone: “La cugina di campagna” di Leonardo e un affresco di Luini ritrovato
- C come CB Edizioni. Dalla Toscana educare nel segno di Leonardo e Michelangelo
- Dalla nostra inviata alla tavola dell’Ultima Cena / Una cronista ha ricostruito il menù del Cenacolo di Leonardo da Vinci: dove la facevano da padrone, per Gesù e i suoi apostoli, le anguille in agrodolce, alla griglia guarnite con fette di arancia