Ho scelto di leggere La mia vita con Leonardo di Pinin Brambilla Barcilon (Electa, 118 pag., 19,90), perché sono storica dell’arte e conosco approfonditamente quello che ha significato a livello tecnico l’ultraventennale restauro (dal 1977 al 1999) del Cenacolo di Leonardo da Vinci, in Santa Maria delle Grazie a Milano. Il restauro più importante di tutti i tempi a livello storico, il più discusso a livello artistico, il più ammirato e il più contestato dai media di tutto il mondo.
Mi affascinava poter leggere quello che aveva vissuto, attraversato e respirato la restauratrice e l’autrice del libro, ovvero Pinin Brambilla Barcilon, perché in questo si concentra il libro, sulla vicenda umana del restauro.
Leonardo è l’amico che accompagna l’autrice in tutto il testo, ma la protagonista è lei, Pinin, con i suoi sentimenti, emozioni e patimenti interiori. Ora molti potranno sapere cosa ha significato nella vista di questa donna un restauro che è durato 22 anni e che lei dedica giustamente al figlio, come una doverosa richiesta di perdono per averla sottratta per tutti questi anni al “lavoro” di madre.
Un rapporto di amore e odio con il pittore come lei stessa scrive:
Questo passaggio del libro l’ho letto e l’ho riletto poiché mi catapulta nel rapporto viscerale che ha instaurato Pinin con Leonardo, quasi fosse una persona, un collega col quale confrontarsi quotidianamente, perché così è stato.
Un incontro quotidiano con quella perfezione, con il genio, come lei stessa scrive, che l’ha più volte messa in crisi sulle scelte e sulle strade da percorrere, tanto da dover sospendere in alcuni momenti il lavoro, dedicarsi ad altro e poi riprendere più forte e tenace di prima, ferma nelle convinzioni professionali da intraprendere.
È una lettura intensa e affascinante quella scritta da Pinin che esorto tutti a fare, un libro non da addetti ai lavori, ma per tutti, per scoprire come il genio di Leonardo ancora oggi a distanza di più di cinquecento anni riesca a donare emozioni forti e controverse al tempo stesso.
A PROPOSITO
Quando mi fece conoscere Demos, pittore di Rimini e socio di Fellini
testo di Salvatore Giannella
Nel 2015, grazie a mostre che per il centenario della sua nascita si sono succedute in Romagna, da Cervia a Forlì sapientemente guidate da Sabrina Marin, ho conosciuto un pittore che, sebbene inserito dai critici tra i migliori pittori del Novecento, risulta ingiustamente in penombra: il riminese Demos Bonini (1915-1991), per tutti Demos. L’arte era la sua passione, e la pittura la sua voce. Demos ha dipinto storie di mare e di collina, di fatiche contadine e di abitudini borghesi, di uomini e di prospettive con il disincanto, l’ironia, l’inquietudine e la gioia tipica dei sopravvissuti alla seconda guerra mondiale.
È stato un pittore speciale, non solo perché ha esposto le sue opere in decine di gallerie in Italia e all’estero, o per i premi prestigiosi ma anche perché la sua vita è stata segnata dall’ intensa amicizia con Federico Fellini, di cinque anni più giovane (con il quale apre nel 1938 a Rimini un negozio di caricature e disegni realizzati spesso a quattro mani e firmati FeBo, le due iniziali dei due rispettivi cognomi), Sergio Zavoli e Renato Guttuso: con quest’ultimo resta a bottega, a Roma, dal 1959 al 1951. Demos è l’unico ad avere le chiavi dello studio, Guttuso non aveva mai dato questo privilegio a nessun’altro. Qui conosce Renato Birolli, Turcato, Vedola. E nel periodo romano, nel 1950, firma Il Manifesto del realismo.
Nel 1951 Guttuso diventa il pittore ufficiale del Partito comunista che richiede all’arte una funzione propagandistica. Demos, animo e artista libero, oppone un fermo NO, e prima di abbandonare per sempre Roma dirà: “A Roma è sceso il gelo. Io faccio fatica a sentirmi a mio agio”. Altra amicizia molto cara a Demos è quella con Filippo De Pisis che ha il piacere di conoscere in occasione dei periodi di vacanza a Rimini dell’artista ferrarese dal 1938 al 1942. Da De Pisis mutua lo stile metafisico fatto di silenzi, personaggi/marinai isolati, oggetti carichi di significato simbolico e spazialità immobile.
Demos dipingeva dal vero i suoi marinai. I lavoratori del mare, come quelli illuminati in un’altra serie dedicata ai minatori, sono al centro di una operazione di denuncia contro lo sfruttamento del lavoro e il logorìo disumano a cui alcuni lavori spesso sottopongono gli uomini. Forse l’esempio più celebre è quello del “Cuciniere di bordo”, 1952, fra i più rappresentativi di questa prima maturità dopo il ritorno a Rimini dallo studio di Guttuso a Roma, perché ritrae “È ner” personaggio realmente esistito e conosciuto a Rimini. Altro personaggio più volte rappresentato e realmente esistito è “la mela”, la più nota venditrice di povarazze (poveracce, ovvero le vongole) della piazzetta a Rimini.
Pittore dei marinai e minatori ma anche “pittore delle giacche”. “Perché sempre questa giacca?”, gli chiedevano. E lui: “I vestiti hanno origini lontane. Nella mia stanza da ragazzo spiccavano degli abiti appesi che mi suggerirono i primi quadri, quelli del 1942. Già da allora sentivo, nel loro abbandono sull’attaccapanni la solitudine dell’uomo”. Questa è la genesi e il significato della giacca, uno stilema inconfondibile e personale che ha accompagnato il pittore per 50 anni di attività.
“Demos nello scenario romagnolo”, mi spiegò Sabrina, “è fra i primi, se non il primo, a rivestire esplicitamente un ruolo intellettuale impegnato e a entrare in stretto contatto con i più ampi circoli della cultura nazionale e a confrontarsi con idee e ideali su cui si accendeva la discussione artistica fra gli anni ‘40 e ‘50”.
Un sito ben curato (demosbonini.it) e i contatti qui indicati con il figlio di Demos, Aureliano (creatore nel 1982 di Trademark Italia, la prima società italiana di consulenza di marketing e di ricerca per l’economia dei turismi) consente di approfondire, grazie anche all’indicazione di utili libri, l’avventura umana e artistica dell’artista riminese che amava Van Gogh.
A proposito di Leonardo Da Vinci, leggi anche:
- Carlo Pedretti: la mia vita con quel genio di Leonardo
- La storia segreta di un pioniere dell’enigmistica: Leonardo da Vinci
- Quando i Grandi erano piccoli / Leonardo, bambino e genio “lussureggiante”
- Quando i Grandi erano piccoli / Leonardo disegnato da Hollar, le caricature del genio esposte a Vinci per il varo della nuova Fondazione Rossana & Carlo Pedretti (e un libro sui suoi 20 anni a Milano)
- Zelo Surrigone: “La cugina di campagna” di Leonardo e un affresco di Luini ritrovato
- C come CB Edizioni. Dalla Toscana educare nel segno di Leonardo e Michelangelo
- Dalla nostra inviata alla tavola dell’Ultima Cena / Una cronista ha ricostruito il menù del Cenacolo di Leonardo da Vinci: dove la facevano da padrone, per Gesù e i suoi apostoli, le anguille in agrodolce, alla griglia guarnite con fette di arancia