La 12ma tappa del Giro d’Italia 2019 da Cuneo a Pinerolo ha riportato in prima pagina la mitica impresa di Coppi del 1949, quando il Campionissimo entrò nella leggenda del ciclismo (andò in fuga e scalò da solo 5 montagne giungendo a Pinerolo con 11’52” di vantaggio su Gino Bartali). E io ho sfogliato un grande libro (Fausto Coppi, la grandezza del mito, edito dalla bolognese Minerva) che racconta, con immagini mai viste e con testi unici di grandi firme, i cento volti dell’Airone (copyright Orio Vergani) in coincidenza con i cento anni dalla nascita. Questo il contributo a me richiesto.

Fausto Coppi, la grandezza del mito, a cura di Luciano Boccaccini (Minerva).

Roberto Mugavero, dinamico editore in Bologna, mi chiede di raccontare il Coppi che pedala nella mia memoria e io lo accontento con il mio Giro d’Italia mnemonico che vedo confluire nelle 400 pagine del grande libro sul Campionissimo. Un libro interessante per molti versi (spettacolari le immagini, molte inedite, tratte dall’archivio fotografico di Walter Breveglieri), come si ricava dalla incisiva presentazione-sequenza di un bravo cronista sportivo, Marco Pastonesi su TuttoBiciWeb:

C’è il Coppi che vince, a mani basse, e il Coppi che non vince, impenetrabile, e c’è anche quello che perde, spento. C’è il Coppi in salita, rapace, e il Coppi in pista, aerodinamico. C’è il Coppi alla partenza, teso, e il Coppi all’arrivo, invecchiato. C’è il Coppi che sorride, una rarità, ma non così rara, e il Coppi che disegna una smorfia, tra sofferenza e sfinimento, forse anche destino. C’è il Coppi solitario, sulla strada, sulla pista, dovunque, e il Coppi insieme, insieme con i gregari, rassicurato, garantito, regale, insieme con gli avversari, fiero, responsabile, consapevole, insieme con la folla, assediato, con i giornalisti, circondato, con gli sportivi, amato, con i bambini, amorevole, con il fratello Serse e con Gino Bartali, un altro fratello che la vita gli regalò. E c’è anche il Bartali con Coppi. C’è il Coppi a terra, ingessato, il Coppi sui pedali, incerottato, il Coppi a letto, immobilizzato. C’è il Coppi in pigiama e il Coppi in canottiera. C’è il Coppi in maglia rosa e il Coppi in maglia gialla… c’è il Coppi con Bruna, la prima moglie, e il Coppi con Giulia, la seconda. C’è il Coppi con Marina e il Coppi con Faustino… C’è il Coppi che viene spinto in salita e il Coppi che viene accompagnato al cimitero. Questo è un librone che si legge, che si studia, che si mangia con gli occhi. Perché è il giacimento aurifero dell’archivio fotografico di Walter Breveglieri, bolognese di Crevalcore, del 1921 lui (due anni meno di Coppi), del 1946 l’assunzione al Resto del Carlino e la fondazione dell’agenzia, dunque l’inizio di un patrimonio di immagini che specchiano la storia del ciclismo… un librone così grande, così profondo, così definitivo che vale anche come mostra. In più, testi di Orio Vergani, Giulio Crosti, Ruggero “Raro” Radice, Luca Liguori, Gian Paolo Ormezzano, Claudio Gregori, Gianfranco Civolani, Paolo Francia, Sergio Neri, Italo Cucci, Claudio Ferretti, Gianni Mura, Marino Bartoletti e Salvatore Giannella. A cura di Luciano Boccaccini, e c’è anche un ricordo di Marina Coppi e di Faustino Coppi…

Ed ecco il Coppi che conservo nel salvadanaio dei miei ricordi: è fatto di memoria ma anche, sorprendentemente, di un’indicazione per il futuro. Seguitemi in questo ideale Giro d’Italia in sei tappe mnemoniche, tra velodromi e documenti legati da un odore tenace.

Prima tappa: Barletta, 1959

Incontrai Coppi, già mito vivente, una domenica d’aprile di quel lontano anno, nel velodromo “Lello Simeone”, l’unico operante allora in Puglia. Avevo dieci anni e mio padre Giacomo, grande tifoso dell’Inter e di Coppi, mi volle premiare per un buon voto a scuola portandomi dal borgo agricolo in cui vivevamo (Trinitapoli, nel Tavoliere foggiano) nella vicina Barletta, la città resa famosa dalla Disfida di Ettore Fieramosca, per assistere a una disfida di campioni del pedale organizzata dal gruppo sportivo “Lanotte”: Coppi, il “campionissimo” per antonomasia che già aveva vinto tutto quello che si poteva vincere, contro il romagnolo Ercole Baldini, il “treno di Forlì” già vincitore a 26 anni di un titolo olimpico, del record dell’ora, di un Giro d’Italia e di un campionato mondiale su strada. La fama dei due giganti del ciclismo (che all’epoca conquistava più cuori e titoli del calcio) aveva richiamato una folla straripante: già tre giorni prima della data fissata erano stati venduti tutti i biglietti e si erano verificati disordini ai botteghini. A me, ragazzino, era toccato un posto in piedi ai bordi della pista in cemento.

Barletta 1959: Fausto Coppi posa prima della gara al velodromo "Lello Simeone". Alla sua destra, il medico sportivo Ruggero Scommegna. Nella foto in apertura: Giro di Lombardia 1948, l'Airone ha preso il volo sulle rampe del leggendario Ghisallo.

Barletta 1959: Fausto Coppi posa prima della gara al velodromo “Lello Simeone” (credit: Il Fieramosca / Rotas). Alla sua destra, il medico sportivo Ruggero Scommegna. Nella foto in apertura: Giro di Lombardia 1948, l’Airone ha preso il volo sulle rampe del leggendario Ghisallo.

Nell’archivio personale ho conservato una foto di quella giornata e un ritaglio di giornale in cui il medico sportivo, Ruggero Scommegna, chiamato d’urgenza al capezzale di Coppi presso l’Hotel Artù, alla vigilia della gara, racconta:

Coppi stava male. Ebbi la sgradita sorpresa di trovare un atleta sofferente, con febbre alta e una tosse cavernosa che non faceva presagire nulla di buono. Era affetto da una bronchite trascurata, con modica dispnea, pessime condizioni generali, bradicardia costituzionale, ipotensione… Gli prescrissi una terapia d’urto e soprattutto una settimana di riposo. Coppi mi fissò con lo sguardo rassegnato dicendomi: “Domani sarò in gara. Non posso deludere tanta gente che è accorsa per vedermi”. Alle mie proteste, mi rivolse un amichevole sorriso, promettendomi che avrebbe seguito le mie cure. E infatti il pomeriggio della domenica era puntualmente in sella sull’anello della pista.

Era una fresca domenica di aprile e al campionissimo mancava meno di un anno di vita.

Ricordo le volate di Fausto ed Ercole e, come ho confidato a Baldini in un recente incontro nella sua villa forlivese sulla via Emilia, mi sembra di aver conservato nelle narici persino l’odore del loro sudore, quando sfrecciavano davanti ai miei occhi di bambino incapaci di trattenere le immagini di quelle sagome che quasi mi sfioravano.

Seconda tappa: Loreto (Ancona), 1977

È memoria l’incontro con il documento che segnava la spaccatura in due dell’Italia di Coppi e Bartali, quel mondo raccontato in versi da Roberto Roversi:

L’Italia è contadina / nei campi i buoi bianchi dalle corna di luna. / Una guerra terribile è ancora vicina / con le ossa fra le macerie della strada. / Ma questa strada non ancora asfaltata porta a un’altra strada. / Gli operai in tuta azzurra lasciavano / di giuocare a palla per guardare / e Coppi, leggero come un pensiero, / appoggiato sulle ruote dell’ombra che aveva strani bagliori, saliva…

La penisola era divisa tra chi era solidale con Fausto e chi lo condannava senza appello per il suo amore per Giulia Occhini, la Dama bianca. Quell’anno, da cronista del settimanale L’Europeo, arrivai in un albergo centrale del borgo marchigiano sede di uno dei santuari più importanti del mondo cattolico, e lessi – ancora affissa alla parete – la lettera mandata negli anni Cinquanta dal vescovo di quella diocesi al titolare della casa ospitale: “Giunge notizia che i due pubblici concubini Fausto Coppi e Giulia Occhini sono in arrivo a Loreto. Chiunque darà loro ospitalità sarà corresponsabile del loro peccato…”. A proposito: Giulia, al centro della morbosa attenzione di tutt’Italia, bigotta e non, è morta poi nel ’93 nell’indifferenza generale, dopo 522 giorni di coma per trauma cranico. Era in macchina davanti a casa, il 4 agosto del ’91, quando l’automobile fu travolta da una Golf che procedeva a tutta velocità. Il 6 gennaio del ’93 il suo cuore si è fermato.

Terza tappa: tra Italia e Africa, 2002, la mia inchiesta sulla sua morte

Quell’odore rimasto nella memoria del ragazzo che non aveva accettato la morte del suo campione mi porterà nel febbraio 2002 per Oggi, tra Italia e Africa, sulla malattia in parte misteriosa che portò “il grande airone a chiudere le ali” (copyright: Orio Vergani) alle 8:45 del 2 gennaio 1960, a soli 40 anni. Coppi aveva contratto il morbo pochi giorni prima in un viaggio nell’Alto Volta, attuale Burkina Faso, dove era stato chiamato a un criterium con gli amici francesi Roger Riviere, Jacques Anquetil e Raphael Geminiani (figlio di genitori romagnoli, di Lugo: parlava meglio il romagnolo che il francese, lui colpito dalla malaria era stato salvato dai farmaci disponibili). Alla gara seguì una battuta di caccia, con un pranzo in cui Coppi si concesse una trasgressione alimentare, rivelata da Geminiani: assaggiare “per curiosità” radici crude della manioca amara (apprezzata nei paesi caldi, però è un arbusto velenoso, contenente glucosidi cianogenici che liberano acido cloridrico: questo principio tossico viene normalmente allontanato con ripetuti lavaggi e la cottura). Spiegavo così, con l’aiuto dell’assistente Adriano Laiolo che fu vicino a Coppi in quella trasferta africana, quel “misterioso fattore collaterale, debilitante dell’organismo” da sempre indicato dal medico della famiglia Coppi, Ettore Allegri, come l’elemento che deviò dalla diagnosi della malaria le prime indagini sanitarie sul campionissimo.

Quarta tappa: Milano 2014, la scoperta del suo memoriale

È ormai memoria la scoperta, negli archivi della Rizzoli a Milano (dove stavo ricostruendo la storia dei primi 70 anni di vita del settimanale Oggi) del sorprendente memoriale in cui Coppi racconta Coppi e i retroscena delle principali sue 151 vittorie su strada ottenute nei 21 anni di carriera da professionista (18 se si considera l’interruzione a causa della guerra). Sono parole di Coppi che erano sconosciute persino a suo figlio, Faustino (nato nel 1955 dall’unione con Giulia Occhini), da me contattato nella sua casa di Novi Ligure. Lo stesso Coppi, nella lettera d’accompagnamento, spiegava perché si era deciso, in quel 1952 (aveva 33 anni, gliene resteranno altri sette da vivere) a raccogliere i principali ricordi della sua carriera:

Sono state scritte infinite cose su di me, sulla mia vita; cose in gran parte inesatte o inventate di sana pianta. È accaduto anche che molti, copiando l’uno dall’altro, abbiano ripetuto a catena la stessa falsità, fino a convincere che fosse proprio vera. Se dovessi smentire o rettificare le innumerevoli cose ridicole o irritanti che leggo quotidianamente sul mio conto, dovrei smettere il mestiere di corridore e assumere almeno un paio di segretarie. Perciò, in un raro momento di calma, mi sono deciso a raccogliere questi miei ricordi. Essi sono i più esatti che siano stati pubblicati, i più vicini alla verità.

In quei ricordi, ripubblicati lo scorso anno come e-book del Corriere della Sera (titolo: “Fausto Coppi. La mia vita di corsa”) cercherete invano notizie sulla vita privata di Fausto. Come tenne a precisare lui stesso in un intervento successivo al memoriale:

Non capisco perché la gente debba occuparsi tanto di queste faccende. Io sono un corridore di mestiere, mi sono creato un nome correndo in bicicletta e richiamo pubblico attorno a me appunto con la mia attività sportiva. Ora io vorrei che gli sportivi continuassero a vedermi solamente come un corridore, e mi elogiassero o rimproverassero per questo, senza pretendere di entrare nelle mie vicende personali. Ognuno ha diritto di avere una sua vita privata e di mantenere un giusto riserbo su di essa. Io desidererei questo, appunto: essere lasciato in pace a risolvere da solo una situazione delicata che, ripeto, non dovrebbe riguardare nessun altro all’infuori di me.
Dicembre 1956. Fausto Coppi e Giulia Occhini assistono a un incontro di pugilato

Dicembre 1956. Fausto Coppi e Giulia Occhini assistono a un incontro di pugilato.

Quinta tappa: l’altra faccia del campione

È memoria la scoperta, grazie a quelle carte ritrovate in via Rizzoli, dell’altra faccia del campione: la sua vita infelice, costellata da lutti (come la morte prematura in una corsa dell’amato fratello Serse) e da dolori a catena (tanti incidenti, altrettante fratture che gli fecero credere in più occasioni di essere un uomo prematuramente finito). Tanto che, in quel ricordato 1952, “avvilito da prove incolori, dall’accanimento della sfortuna, dalla baldanza sfrontata degli avversari”, stava per rassegnarsi al declino definitivo della sua parabola e ritirarsi. Chiese consiglio a Biagio Cavanna, l’ex corridore e poi massaggiatore cieco (aveva perso la vista per una malattia) che ho scoperto, dalle stesse parole di Fausto, essere stato il vero artefice del miracolo Coppi, suo consigliere, forse secondo padre.

Cavanna mi toccò con le sue dita magiche, sentì il mio cuore, i battiti del polso, massaggiò i muscoli con le mani esperte. Poi disse: “Fausto, tu stai benissimo. Sei quello di sempre. Tu sei l’uomo del ’49, forse ancora meglio di allora. Il tuo male è dentro di te, nel tuo animo, non nelle tue gambe o nei tuoi polmoni. Devi guarire il morale, devi riprendere fiducia, devi dare a te stesso la prova che puoi vincere”. Questa prova la ebbi durante il Giro d’Italia, alla quinta tappa, la Roma-Rocca di Papa, a cronometro. Cavanna mi accompagnò con l’automobile lungo il percorso prima della partenza, perché lo conoscessi esattamente, mi ripeté la raccomandazione di stare calmo, di avere fiducia e così mi salutò, vicino al traguardo: “Fausto, oggi devi vincere a qualunque costo”. Vinsi. Infatti, e di colpo ebbi l’impressione di essere guarito di tutte le paure. Da quel momento non avvertii più la fatica. Il Giro d’Italia mi aveva rivelato 12 anni prima e il Giro d’Italia, ora, mi aiutava a ritrovare me stesso.

L’anno successivo, il 30 agosto 1953, Coppi vinceva il titolo di campione del mondo su strada a Lugano, arrivando solo al traguardo, in una corsa che appartiene alla storia e alla leggenda del grande ciclismo (almeno trecentomila persone varcarono i confini per assistere al suo trionfo, e sarà Giulia, raggiante, a consegnargli il mazzo di fiori per la maglia iridata conquistata).

fausto-coppi

Tour de France, 4 luglio 1952. Durante una impegnativa salita, il fotografo della Omega Fotocronache Carlo Martini scattò una fotografia sul passo del Galibier in cui si vedeva un passaggio di una borraccia tra i due eterni rivali: Fausto Coppi (che conduceva la gara, in maglia gialla) e Gino Bartali. La foto divenne rapidamente un simbolo della rivalità sportiva cavalleresca, della sfida tra galantuomini e del fair play che ha caratterizzato negli anni il rapporto tra i due campionissimi, ma la verità sullo scatto è sempre stata in discussione.

Ultima tappa: Bologna 2017, Alex Zanardi e l’indicazione per il futuro

Per la serie delle mie interviste su “Il mio eroe” per Sette, lo storico magazine del Corriere della Sera (le prime 67 le troverete in un primo libro edito da Minerva, In viaggio con i maestri) ho incontrato Alex Zanardi, che considero il più grande campione italiano d’oggi, per la sua voglia di vivere e di vincere: come sapete lui, dopo aver perso le gambe in un incidente di Formula 1, è tornato a vincere ori alle Paralimpiadi nella specialità parente del ciclismo, l’handbike, dove si pedala a forza di braccia. (Per unirsi ai suoi progetti: obiettivo3.com).

Qual è lo spirito guida di Zanardi? “Le consegno un’immagine doppia come doppia è la mia vita: Coppi e Bartali. Io sento questi due campioni come protagonisti di una pagina non scritta nei libri di storia italiana. La loro sfida riportò in alto l’orgoglio dell’Italia, cominciò a restituirci il rispetto di cui avevamo bisogno nel mondo. Dalla seconda guerra mondiale eravamo usciti male. La guerra voluta da Mussolini ci aveva distrutto, oltre che materialmente, anche nella nostra reputazione. Debiti a parte, c’erano stati centinaia di migliaia di morti. Giovani mandati a combattere lontano da casa, mai più tornati a casa. Eravamo umiliati e con la pancia vuota. Io ammiro quegli italiani che, con le loro imprese da singoli, hanno ricostruito la reputazione dell’Italia. E li unifico tutti nell’immagine di Coppi e Bartali, con le cui imprese nonna Gisella riempiva molte mie serate bolognesi. In particolare rimasi colpito dall’immagine, passata alla storia, di loro due insieme nel Tour de France 1952. Coppi conduceva la gara in maglia gialla. Su una durissima salita, al passo del Galibier, il fotografo della Omega Fotocronache, Carlo Martini, quel 4 luglio scattò una foto in cui si vedeva un passaggio di una borraccia tra i due eterni rivali. È una foto che simboleggia l’altra faccia della mia ammirazione per loro due: la rivalità sportiva cavalleresca, la sfida tra galantuomini e il fair play che andrebbe insegnato ai giovani di oggi e di domani. Insieme al valore della competizione cooperativa, che ci auguriamo vada a sostituire l’ormai obsoleto modello di competizione individuale e d’impresa basato sul presupposto mors tua, vita mea, sull’idea sbagliata che occorre sconfiggere l’altro per esaltare se stessi”.

Quella mitica borraccia che passa tra due eterni rivali uniti nel segno dell’Italia rappresenta, agli occhi dell’ex bambino oggi nonno che racconta storie di campioni ai suoi nipoti, il simbolo dinamico di un’idea che ci aiuterà a portarci fuori dalla crisi. •

Salvatore Giannella*


Fotogallery

Dall’album delle immagini mai viste di Walter Breveglieri, campionissimo del clic

Roma, 27 aprile 1955. Fausto Coppi in visita all'Altare della Patria in occasione del VI Gran Premio ciclomotoristico

Roma, 27 aprile 1955. Visita all’Altare della Patria in occasione del VI Gran Premio ciclomotoristico.

Bologna 1950: Fausto Coppi con la moglie Bruna a comprare vestiti dopo la gara.

Bologna 1950. Con la moglie Bruna a comprare vestiti dopo la gara.

31 maggio 1954, Giro d'Italia. L'arrivo di Fausto Coppi in Viale Carducci della tappa di Firenze-Cesenatico

31 maggio 1954, Giro d’Italia. L’arrivo in Viale Carducci della tappa di Firenze-Cesenatico.

Cervia, 29 agosto 1955, Giro d'Italia. Fausto Coppi cede a Fornara per soli 11'' in una cronometro di 50 km

Cervia, 29 agosto 1955, Giro d’Italia. Fornara lo batte per soli 11” in una cronometro di 50 km.

Tour de France, 1951. Fausto Coppi con il rivale Hugo Koblet che vinse il Tour con 22'20 su Geminiani. Coppi arrivò decimo a 46'31''

Tour de France, 1951. Coppi con il rivale Hugo Koblet che vinse il Tour con 22’20 su Geminiani. Coppi arrivò decimo a 46’31”.

1949, Fausto Coppi al Tour de France

1949, al Tour de France.

19 luglio 1952, Parigi. Fausto Coppi viene proclamato vincitore del Tour de France

19 luglio 1952, Parigi. Fausto Coppi viene proclamato vincitore del Tour de France.

Salvatore Giannella, giornalista che ha ideato e cura con passione questo blog, ha diretto il mensile scientifico del Gruppo L’Espresso Genius, il settimanale L’Europeo, il primo mensile di natura e civiltà Airone (1986-1994), BBC History Italia e ha curato le pagine di cultura e scienza del settimanale Oggi (2000-2007). Ha scritto libri (“Un’Italia da salvare”, “L’Arca dell’arte”, “I Nicola”, “Voglia di cambiare”, “Operazione Salvataggio: gli eroi sconosciuti che hanno salvato l’arte dalle guerre”, “Guida ai paesi dipinti di Lombardia”, “In viaggio con i maestri. Come 68 personaggi hanno guidato i grandi del nostro tempo”), curato volumi di Tonino Guerra ed Enzo Biagi e sceneggiato docu-film per il programma Rai “La storia siamo noi” (clicca qui per approfondire).

Prossimamente: un altro grande libro, un’altra interessante storia che campeggia sul mio comodino: “Gino Bartali, una bici contro il fascismo”, di Alberto Toscano (Baldini + Castoldi).

A proposito di Fausto Coppi e ciclismo, leggi anche: