Caro Salvatore Giannella, io in quel lontano 1959, nel velodromo di Barletta che tu ricordi nel particolare e-book del Corriere della Sera “La mia vita di corsa” dedicato a Fausto Coppi (link), ero fra il pubblico che tifava per Ercole Baldini nelle sfide che facevano i corridori per essere vicini alla gente e incrementare legittimamente i loro guadagni. Ero in compagnia del giornalista Aurelio Papandrea – convinto da mio padre a portarmi -, impegnato a strappare al vecchio campione, al cospetto del giovane, una sensazionale intervista per il suo settimanale Settegiorni. Non avevo ancora dieci anni allora, ma la mia bicicletta a Bari era il ‘terrore’ del quadrilatero Via Crisanzio, De Rossi, Garruba, Quintino Sella.
Secondo la magnifica interpretazione-esposizione di Orio Vergani il 2 gennaio 1960 “il grande airone chiuse le sue ali” per sempre.
Salvatore Giannella, nativo di Trinitapoli come ci tiene a far presente la sua grande amica poetessa Grazia Stella Elia, giornalista di successo con un curriculum che lascia senza fiato (come i ciclisti dopo una volata!), ha al suo attivo l’idea di una sagace operazione che dimostra come il genio italico (non a caso ha diretto Genius, oltre L’Europeo e Airone e le pagine culturali di Oggi) sia sempre ‘acceso’: il MAIO, Museo dell’Arte in Ostaggio, si deve a una sua idea. A Cassina de’ Pecchi, alle porte di Milano, vi è questo Museo dedicato ai tesori culturali trafugati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale e mai più tornati in Italia. Il ‘campionissimo’ avrebbe approvato lui che, grazie alla vicinanza della signora Occhini, divenne un grande amante dell’arte. Di questa singolare e sorprendente storia di autentico amore, di cui Faustino Coppi è il frutto più bello, non dobbiamo parlare rispettando la volontà del ciclista. Infatti, come ci fa sapere Giannella che ha scovato tra le pagine del settimanale Oggi di oltre mezzo secolo fa un impensato memoriale a puntate in cui Coppi ripercorre le tappe della sua straordinaria carriera con schiettezza e sincerità, il corridore di mondo era geloso della sua vita privata… che non fu mai ‘privata’. La mia vita di corsa ci restituisce un campione che soffre sulla bicicletta come tutti gli altri e forse di più: un uomo dal fisico eccezionale, ma con tutte le fragilità umane tipiche della vita che non fa sconti a papi, imperatori e ‘garzoni’ (il mestiere di Coppi prima di diventare ciclista) campioni del mondo.
Diciotto anni di carriera effettiva, 21 con la guerra, in cui vi sono state 151 vittorie su strada, 5 giri d’Italia (1940, ’47, ’49, ’52, ’53), 2 di Francia (1952, ’53), campione del mondo su strada (1953), campione d’Italia (1942, ’47, ’49) e il record dell’ora stabilito il 7 novembre 1942 al Vigorelli di Milano, velodromo all’epoca ancora in convalescenza per i mali della guerra.
Coppi nella sua lucida ricostruzione della corsa ammette che fu uno sforzo disperato e che riuscì a battere il record del francese Archambaud di appena 31 metri (km 45,871 contro 45,840), ma da quel grande signore della bicicletta che è stato non dice che i cerchi del suo mezzo erano sbilenchi e i tubolari di larga sezione e lui indossò normali calzoncini e maglia di lana. Ci volle la classe e l’eleganza di Jacques Anquetil nel 1956 per battere il record di Coppi, ma qualche mese dopo, sempre al Vigorelli, Ercole Baldini riportò in Italia il primato. In seguito fu Eddy Merckx ad arrivare quasi a km 49,500, ma ci volle Francesco Moser nel 1984 per superare i 51 chilometri, ma è tutta un’altra storia fatta anche di trovate tecnologiche.
Veniamo alle verità, raccontate in prima persona da Coppi, che Giannella pone alla nostra attenzione: l’airone scrisse queste cose nel 1952 quando la sua rivalità con Bartali era ai massimi livelli eppure non manca di ricordare come nel primo Giro d’Italia vinto nel 1940 fu proprio il suo capitano d’allora Bartali che gli procurò una borraccia d’acqua e lo aiutò, in un momento di crisi, a rientrare nel gruppo. (Non è dato sapere se il Ginettaccio abbia in seguito considerato tale gesto la più grande ‘ingenuità’ della sua carriera). Le vittorie di Coppi sono state quasi tutte in solitario, mai in volata e a tal proposito ecco la sua spiegazione:
Qui viene fuori l’uomo buono, colui che partecipava a tanti circuiti con tutta la squadra, in modo da dividere con loro i premi in palio.
Quando ero militare a Civitavecchia un ufficiale di carriera di Pinerolo appassionato di ciclismo, cui avevo regalato un autografo di Vittorio Adorni procuratomi da Beppe Lopez, mi raccontava sempre di aver assistito sui tornanti di casa in diretta alla famosa tappa del Giro d’Italia Cuneo-Pinerolo del 1949, in cui Coppi inflisse ritardi pesantissimi a tutti.
Mi parlava di pedalata composta di grandissima potenza di Coppi e di sforzo sui pedali di Bartali, a sentire lui gli altri corridori viaggiavano con ore di ritardo: il libro curato da Giannella vede Coppi parlare proprio di questa impresa. L’airone distaccò di 12 minuti Bartali, che a sua volta mise otto minuti fra la sua bici e gli altri ciclisti. Coppi ci ricorda che anche in quell’occasione ebbe momenti di crisi e ci volle tutto il suo orgoglio per continuare: avrebbe potuto raccontare ‘li ho stracciati’ tutti con la mia pedalata irresistibile in salita’ e…
Nel suo racconto Coppi non dimentica il mitico massaggiatore Biagio Cavanna: un amico, un confidente… il suo medico di fiducia. L’uomo che lo ha educato a essere un atleta servendosi solo dell’esperienza accumulata nel suo quotidiano rapporto con i ciclisti. L’uomo che fu il primo a convincerlo della necessità di cambiare squadra, in modo da non sprecare anni a prendere ordini da Gino Bartali. L’uomo che gli aveva sconsigliato quel viaggio in Africa con Geminiani, Riviere e Anquetil e che aveva sempre ‘odiato’ quella passione improvvisa per la ‘caccia’. Coppi, nato il 15 settembre del 1919 a Castellania (provate a togliere una ‘i’ e vi troverete a Castellana… per un pomeriggio intero, negli anni che furono, Andrea Castellaneta fece uno ‘scherzo’ a un giornalista portato nella famiglia della Gazzetta del Mezzogiorno da Gismondi e completamente sprovvisto di nozioni sul ciclismo; il ‘campionissimo’ risultò, per poche ore, avere origini nel paese delle grotte… forse Giannella potrà intuire) è leggenda anche per quella morte ingiusta… Le favole si alimentano con esempi di buoni e cattivi, ma la trama porta, quasi sempre, a un lieto fine: morire da ‘campionissimo’, dopo venti anni di grandi sacrifici e immense soddisfazioni, quando pensi che stai per intraprendere una vita finalmente serena e appagante nella normalità, non è altro che il disegno che il Creatore di tutto aveva programmato per quel volenteroso ragazzo di salumeria che serviva le ‘salsicce’ a Cavanna, reduce dai suoi tour in giro per il mondo al seguito dei ciclisti.
Bisognerebbe chiedere a Biagio Cavanna se sia disposto a barattare quei 18 anni vissuti in più del ‘campionissimo’ (è morto nel 1961 a 68 anni), per una gloria imperitura e a Coppi se…
Il prezioso volume curato da Giannella Fausto Coppi. La mia vita di corsa possiede una piccola morale: tutti corriamo, vi è chi arriva primo, secondo, terzo, ma tutti… arriviamo; fin quando questa classifica è in vita vuol dire che anche il mondo continua a produrre ‘campionissimi’ o semplici ‘campioni’ della specie umana.
P.S. Amico lettore tutte le citazioni sono frutto della mia memoria (una volta elefantiaca oggi soltanto ‘equinica’) per cui mi affido alla tua indulgenza e dal momento che non sono una persona tecnologica (o meglio quanto basta per non essere ‘rottamato’!) invito il valente giornalista Giannella, quel professionista che ha curato i dotti libri di Tonino Guerra La valle del Kamasutra e Polvere di sole (Bompiani) e quel giudizioso scrigno di Enzo Biagi Consigli per un Paese normale (Rizzoli), raccolta dei dialoghi tenuti con il Maestro, a evitarmi in avvenire il ‘supplizio’ di questa lettura su video (probabilmente non è il termine adatto), io sono un uomo di carta: l’odore di quel prodotto industriale, ottenuto da sostanze fibrose macerate e ridotte in poltiglia e quindi in sottili fogli di carta, lo avvertirò fino alla fine. È risaputo che ognuno cavalca la bicicletta che ritiene più congeniale e il sottoscritto non è tipo da eccezione.
A proposito di Fausto Coppi e ciclismo, leggi anche:
- Fausto Coppi, l’Airone che pedala ancora nella mia memoria. Un grande libro (“Fausto Coppi, la grandezza di un mito”, Minerva) racconta, con immagini mai viste e con testi unici di grandi firme, i cento volti dell’Airone in coincidenza con i cento anni dalla nascita
- Fausto Coppi racconta Coppi in un nuovo eBook del Corsera (da me curato): “Fausto Coppi. La mia vita di corsa”
- Nove soste sulla Nove Colli tra storia e meraviglie dei borghi di Romagna. La Granfondo ciclistica più antica d’Europa, con partenza e arrivo a Cesenatico, è l’occasione per invitare alla visita di nove tra le eccellenze lungo il percorso. A seguire, illuminiamo una terra generosa con la mia intervista al “treno di Forlì” Ercole Baldini e con la festa per la solidale gara della 2XBene a Longiano
- Due pittori in viaggio lungo il Po: De Pisis, con le parole e in bici, Nino Vincenzi con i suoi pennelli. Un artista d’oggi e il grande pittore ferrarese uniti, ognuno con la sua storia e la sua memoria, dal grande fiume tra Ferrara e Rovigo in una iniziativa editoriale a tiratura limitata
- Dalla Romagna fino in Nuova Zelanda: a Jovanotti partito per un viaggio in bici di 3.000 chilometri consigliamo la visita dei piccoli musei che hanno molto da insegnarci. Il cantante, da sempre legato alla riviera romagnola, s’è messo in viaggio da Forlì per un giro della Nuova Zelanda in bicicletta. Può essere utile (a lui e a tutti i fan dei piccoli musei italiani) rileggere il reportage di un noto economista marchigiano, Ercole Sori, sul ricco patrimonio di esperienze raccolto durante un viaggio di studio in quello Stato insulare, terra dei Maori
- Oliviero Beha, il giornalista contro che aveva come eroe Gino Bartali. Affido alle parole che mi consegnò due anni fa il ricordo di un cronista aspro e amico. Per lui “le parole erano molto importanti” e la libertà “un lusso di pochi”. Ammirava un uomo su tutti: il campione ciclista, toscano come lui, salvatore di ebrei e antifascisti
- Quando il campione Nino Borsari tirò la volata agli italiani di Melbourne. Originario dell’Emilia Romagna, Borsari (1911-1996) vinse l’oro olimpico nella gara ciclistica dell’inseguimento a squadre ai giochi di Los Angeles del 1932. La guerra poi lo bloccò in Australia, dove restò per sempre. Qui il suo nome è ancora sinonimo di qualità nel campo del ciclismo, degli affari e della solidarietà.