Garik Paragianov è il nipote del grande regista Sergei, scomparso nel luglio del 1990, a 68 anni. Il giovane cineasta era a Rimini, durante il Festival, e così ha fatto un salto da me quassù a Pennabilli. Mi ha raccontato il funerale dello zio a Yerevan, in Armenia.
Quel giorno nella capitale faceva un caldo che rasentava i quaranta gradi. La città era ferma per onorare questo suo grande artista. Il sole era a picco e le ombre stavano sotto i piedi della gente e delle case. L’aria bolliva nelle bocche e le fontane erano tutte asciutte.
Per due ore piazze e strade di Yerevan furono percorse da quest’ombra scura di popolo assetato e nero di dolore. Finchè qualcuno avvisò le persone anziane che respiravano il fresco all’interno delle case e allora si aprirorno le porte e le finestre a pianterreno e sbucarono braccia e mani cariche di bicchieri d’acqua offerti alla folla del funerale. La fila enorme che intasava con ordine le strade dietro alla bara scoperta nella quale giaceva Paragianov con il viso circondato dai cubetti di ghiaccio che si liquefacevano, cominciò a scomporsi per correre ad afferrare quei bicchieri. E la cantilena religiosa fu sepolta dalla confusione delle voci di chi si batteva per il possesso dell’acqua. Così fino al cimitero dove nella notte era stata scavata a mano la buca per la sepoltura, come vuole la tradizione per le persone importanti.
Il fotografo che non era mai riuscito a fotografare Paragianov in vita ora poteva farlo che era lì immobile dentro la bara. Purtroppo la pellicola risultò in bianco, probabilmente per un ultimo scherzo del regista. Quando la salma fu calata dentro la fossa, la gente tutt’attorno si mise in ginocchio e i più vicini coprirono la bara con manciate di terra, fino a colmare tutta la cavità.
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