Più volte Mosca ha tentato di convertire la moneta nazionale per partecipare all’economia di mercato occidentale. Uno di questi tentativi ebbe, nel lontano 1653, come protagonista un italiano. Quell’anno un napoletano giunto a Mosca presso la corte dello zar Aleksej Mikhailovic Romanov (1629-1676) racconta al sovrano che i tornesi, soldi di rame, sarebbero stati coniati a Napoli in quantità enorme e avrebbero permesso ai governanti locali di riordinare con successo il loro tesoro. In effetti i tornesi circolarono a Napoli fino al crollo del governo borbonico nel 1860.
Lo zar decide di sperimentare il sistema partenopeo sulle sponde della Moscova. Un ben giorno il Cremlino decretò che il valore dei metalli, argento o rame, era uguale.
Tolta in questo modo dalla circolazione la moneta d’argento, lo zar immette nella circolazione un’enorme massa del surrogato di rame. All’inizio del 1659 il Cremlino toglierà dalla circolazione anche l’Efimok. Sotto la pena di morte il risparmiatore russo è così costretto a cambiare la moneta forte con dei soldi battuti di rame.
Sulla borsa nera della Piazza Rossa il prezzo di un Efimok marchiato rasenterà ben 40 rubli leggeri. Ma quel che passò liscio nel regno borbonico fece scuotere la dinastia dei Romanov.
Il 25 luglio 1662 a Mosca scoppierà la rivolta detta “del rame” che evidenzia la catastrofe finanziaria di Mosca. Nei luoghi pubblici della capitale russa appaiono i primi manifesti dei traditori del popolo. Codesti avrebbero intrattenuto “rapporti segreti con le spie polacche”, cioè il paese che nel gergo politico moscovita è da sempre il simbolo della perdizione, del tradimento e dell’Occidente corrotto. Nell’ottica del Cremlino “il complotto e la cospirazione degli usurai occidentali” sarebbe gestito a partire da Roma così da portare la Santa Russia in rovina e alla religione cattolica.
Esaurita la campagna propagandistica dei manifesti, l’ordine dello zar indignato è puntualmente eseguito: mille persone sono decapitate e impiccate sulla piazza Rossa o, per mancanza di spazio, annegate nella Moscova. È la fine del progetto di convertibilità del rublo alle spese della popolazione russa ma anche delle banche europee.
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(via mail)
Mi piace scavare alle origini delle parole e, nel caso delle monete in corso fino alla fine del Regno delle Due Sicilie, e cioé i “tornesi” voglio segnalarvi che il nome deriva dal latino turonus, corruzione di turonensis, cioè “di Tours”. In sostanza, il termine turonus fu usato già prima del IX secolo per indicare le monete coniate dai monaci dell’Abbazia di San Martino di Tours, nella Francia centrale.