Quello che gli europei devono decidere è se abbia ancora senso un accanimento terapeutico sui vecchi confini nazionali – che proteggendo i loro Stati li separano l’uno dall’altro mettendo in crisi l’idea stessa dell’unità europea – o se invece non convenga lavorare sulla gestione di una frontiera comune, condividendone oneri e vantaggi
Michele Ballerin, scrittore e saggista
La più antica ha 1.720 anni: è la frontiera tra Spagna e Portogallo. Fu stabilita nel 1297 con il Tratado de Alcañices tra María de Molina, combattiva reggente nel nome di Fernando IV, re di Castiglia (che allora aveva 11 anni) e Dionisio I del Portogallo, che forse avrebbe preferito fare il poeta anziché il sovrano e che riuscì a evitare le guerre al suo Paese ma non le lotte intestine tra i suoi figli.
Dal 1297, al netto della riunificazione spagnola e di qualche piccola modifica, è rimasta la stessa. Tutto il resto, in Europa, come nel mondo, si è mosso. Perché se la parola “frontiera” evoca qualcosa di minacciosamente rigido, non c’è nulla che si sposta come le frontiere. Spesso a prezzo di conflitti sanguinosi. E spesso di pochi chilometri. Ma, molto più di frequente e molto più di recente di quanto, forse, pensiamo.
A questo tema è dedicata la seconda winter school per adulti, organizzata a Milano, presso il Circolo De Amicis, dall’Istituto lombardo di storia contemporanea e dalla Fondazione Aldo Aniasi, assieme all’Istituto nazionale Ferruccio Parri e all’Isec (info e iscrizioni: corsistoriaws@gmail.com). Il corso, affidato al professor Marcello Flores, vede la partecipazione del noto inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi, e una lezione sulla “versione femminile” delle frontiere di Valeria Palumbo (mettete in agenda il suo prossimo reading: sabato 28 ottobre, ore 19, Casa della Memoria, via Confalonieri 14, Milano: “Un lungo fiume amaro”, la storia molto attuale di Cipro che paga ancora le conseguenze del colpo di Stato dei militari in Grecia del 1967, con Nicosia unica capitale in Europa ancora divisa in due). Ma ha la peculiarità, come tutte le quattro winter schools avviate per l’anno 2017-2018, di affidare a un giovane ricercatore, Simone Bellezza, il compito di completare le lezioni con un report inedito e originale, che si avvantaggerà non soltanto dei suggerimenti degli allievi, ma anche dell’intera quota (molto popolare) versata per accedere al corso. Una nuova forma di crowdfunding, insomma, per sostenere la ricerca storica in un momento in cui le false memorie e le false narrazioni inquinano anche il dibattito politico.
I corsi, che fanno anche parte dell’aggiornamento di docenti e giornalisti, hanno dunque un obiettivo di crescita della “cittadinanza”: raccontare la storia, per evitare che i miti inducano a scelte politiche avventate. E uno dei miti è proprio quello che i confini nazionali, regionali o addirittura comunali, siano gli stessi da sempre o da lungo tempo. L’Italia, tanto per cominciare, ha oggi frontiere stabilite con il Trattato di pace di Parigi, firmato, dopo la sconfitta, il 10 febbraio 1947. Fu un accordo severo con l’Italia, che puniva le folli mire espansioniste del regime fascista e della monarchia sabauda (Vittorio Emanuele III si era fatto incoronare imperatore d’Etiopia e re d’Albania) e che riconduceva l’Italia dietro confini più stretti di quelli ottenuti dopo la sanguinosa Prima guerra mondiale. L’Italia perdeva le colonie e i territori occupati, ossia terre che non le spettavano. Ma anche zone tradizionalmente di lingua e storia italiana, come il comune di Tenda che, dal 1754 era stato dei Savoia e prima della contea di Ventimiglia e quindi della famiglia Lascaris di Ventimiglia e che, con l’Unità era confluito nel Regno d’Italia. Anche in questo caso insomma, difficile stabilire reali o durature appartenenze.
Invece ad Alcañices, Dionisio dovette cedere alle minacce di María de Molina e smettere di appoggiare Juan de Castilla, che si era proclamato re di León. Juan, che era l’inquieto zio di Fernando, aveva tentato in tutti i modi di impossessarsi della Castiglia e del regno di León. Il Trattato, che fece passare dalla Castiglia al Portogallo diverse zone frontaliere, non fermò le lotte dinastiche castigliane e i conflitti tra i regni e i regnanti di Spagna. Sarebbe troppo lungo perfino riassumerle. Certo è che María de Molina passò tutta la vita a fronteggiare guerre familiari: morto Fernando IV, fu reggente per il nipote Alfonso XI, assistette al Desastre de la Vega de Granada, ossia al catastrofico tentativo del 25 giugno 1319 di conquista del regno musulmano di Granada (che sarebbe durato fino al 1492), e morì nel 1321, quando Alfonso era ancora minorenne. Curiosità: in quegli anni la Catalogna, oggi al centro dell’attenzione mondiale proprio sui temi dell’indipendenza e quindi della frontiere, faceva parte del regno di Aragona. In particolare l’unione dei territori della contea di Barcellona e del regno d’Aragona era avvenuta, con il matrimonio tra Raimondo Berengario IV, conte di Barcellona, e Petronilla d’Aragona, nel 1137. Confini inquieti. A riprova che la storia è sempre complessa. E semplificarla è sempre politicamente pericoloso.
(via mail)
A proposito dell’interessante testo sulle frontiere in Europa, credo di farvi cosa utile segnalandovi questo intrigante articolo apparso sul sito http://www.linkiesta.it
Il confine più assurdo?
Passa su un’isoletta
tra Svezia e Finlandia
Nasce come isoletta sulla linea di confine e si trasforma, negli anni, in un grande grattacapo tra Svezia e Finlandia. È l’isola di Märket, divisa – ma non contesa – tra i due Paesi scandinavi: è disabitata e ospita sul suo scarso territorio (sono 0, 03 chilometri quadrati) un vecchio faro, automatizzato dal 1979.
Ebbene, che problemi possono mai esserci? Tutto comincia nel 1885, quando i finlandesi, considerando l’isola terra di nessuno, hanno costruito il faro. Come logica vuole, lo hanno collocato sulla parte più alta, che si trova sul lato occidentale. Una scelta sbagliata: il confine, deciso nel 1809 tra Svedesi e impero russo, correva proprio a metà dell’isola. E il faro era di là, dalla parte della Svezia. Un errore non certo grave (del resto chi mai si era preoccupato di Märket?), ma non semplice da risolvere.
Per arrivare a una soluzione ci sono voluti cento anni, più una serie di colloqui e una buona dose di creatività. L’isola, quasi come un distretto di uno Stato americano, è stata sottoposta a una complicata suddivisione chirurgica, e il confine è stato ritracciato seguendo una “s” immaginaria.
In questo modo sono state mantenute le rispettive porzioni di territorio, è rimasta uguale la linea di costa (importante quando si parla di diritti di pesca) e, in più, il faro è tornato a essere sotto la sovranità finlandese (che dovrà occuparsi della sua manutenzione e dei suoi costi). Che poi i due Paesi abbiano un fuso orario diverso aggiunge ilarità a una situazione già, al momento, piuttosto surreale.