Era il 19 luglio 1937 quando a Monaco inaugurò la mostra Entartete Kunst (Arte degenerata), voluta dal regime nazista per mettere alla berlina l’arte contemporanea d’avanguardia, considerata un esempio di decadimento estetico e culturale. L’esposizione, che comprendeva 650 opere di 120 artisti accompagnate da didascalie dal tono canzonatorio, era costellata di nomi eccellenti, perlopiù legati alla corrente espressionista: Max Beckmann, Otto Dix, Wassily Kandinsky, Paul Klee, Käthe Kollowitz, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Edward Munch e molti altri. Senza dimenticare, naturalmente, l’artista “degenerato” per eccellenza: lo spagnolo Pablo Picasso.

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Monaco. Tedeschi in coda per ammirare l’Arte degenerata (Entartete Kunst).

La grande mostra, che vediamo in questo eccezionale documento storico girato dal regista e fotografo statunitense Julien Bryan, ebbe molto più successo di quella dedicata all’arte ufficiale, la “grande arte tedesca”, inaugurata appena il giorno prima nelle immediate vicinanze. L’arte degenerata venne visitata da oltre un milione di persone, che si misero in coda pur di vedere le opere d’arte tanto vituperate dal regime, e la mostra si spostò in tante città della Germania e dell’Austria. Alla fine, alcune opere vennero messe all’asta e acquistate da musei e collezionisti privati, altre furono rubate e molte altre distrutte.

* Fonte: Art Tribune, 3.4.2016. Artribune è una piattaforma di servizi dedicata all’arte e alla cultura contemporanea, nata nel 2011 grazie all’esperienza decennale nel campo dell’editoria, del giornalismo e delle nuove tecnologie del suo staff, composto da Marco Enrico Giacomelli, Claudia Giraud, Massimo Mattioli, Helga Marsala, Santa Nastro, Daniele Perra, Caterina Porcellini, Valentina Silvestrini, Valentina Tanni, Arianna Testino, con la direzione di Massimiliano Tonelli. Edita da Artribune srl, presieduta da Paolo Cuccia (anche presidente del Gambero Rosso), Artribune è la più ampia e diffusa redazione culturale del Paese (conta 250 collaboratori in tutto il mondo) e il più seguito strumento d’informazione, aggiornamento e approfondimento in Italia sull’arte e su tutto ciò che le ruota attorno. Non solo web magazine, ma anche free press, grazie a una rivista cartacea gratuita stampata in 55mila copie e distribuita in tutta Italia. Info: www.arttribune.com.

A PROPOSITO / DAL MIO LIBRO «OPERAZIONE SALVATAGGIO»

Adolf Hitler, artista mancato,

divenne nemico degli artisti

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“Operazione salvataggio”, il libro di Salvatore Giannella per Chiarelettere (2014), 238 pagine, euro 14,90.

Il feroce sterminatore degli artisti dell’Olocausto era un artista mancato. Hitler avrebbe desiderato diventare una firma dell’arte ma ebbe cocenti delusioni. Gli bruciò in particolare il rifiuto dell’Accademia di belle arti di Vienna, che nel 1907 emise un verdetto senza appello: “Sprovvisto di talento e di cultura generale. Prova di disegno insufficiente. Non ammesso”.

Negli anni seguenti, nella sua vita raminga tra Vienna (città che lo respinse e che poi detesterà come simbolo dell’odiato ebraismo) e Monaco, dove si trasferì nel 1913, si guadagnò da vivere ricopiando cartoline, creando schienali campestri per i divani, immortalando neosposini che uscivano dall’ufficio di Stato civile, dipingendo acquerelli per i corniciai. Quattro di questi li ho visti con i miei occhi in un deposito dell’esercito statunitense al pianterreno di un anonimo palazzo di dieci piani ad Alexandria, in Virginia, a meno di venti chilometri da Washington. Rappresentano vie e piazze cittadine, rigorosamente prive di ogni traccia di vita. (I dipinti sono stati riprodotti nel mio articolo sull’Europeo “Metti Hitler nel salotto”, 13 luglio 1981)…  

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Cortile dell’Antica Residenza a Monaco di Baviera, 1914, acquerello.

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Monaco, Hofbräuhäus, 1913 circa. Acquerello su carta, 21,8 x 28,3 cm

  Gli insuccessi accademici facevano sentire il dittatore nazista un artista incompreso da un mondo che, a suo dire, aveva abbandonato i canoni classici e si era fatto contaminare da modelli irrazionali e degenerati, derivati soprattutto dalla cultura e dalle tradizioni giudaiche, che il suo odio antisemita identificava quali germi di decadenza. Espresse chiaramente il suo pensiero a tale proposito nel Discorso per il congresso della cultura del 1935:

Sono sicuro che pochi anni di governo politico e sociale nazionalsocialista regaleranno innovazioni nel campo della produzione artistica e notevoli progressi nel settore, comparati ai risultati degli ultimi anni del regime giudaico. Per raggiungere tale fine, l’arte deve proclamare imponenza e bellezza e quindi rappresentare purezza e benessere. Chiunque voglia giustificare i disegni e le sculture di dadaisti, cubisti, futuristi o di quei malati degli espressionisti, sostenendo l’opportunità di uno stile primitivista, non capisce che compito dell’arte non è quello di nutrire germi di degenerazione, ma di trasmettere ideali di salute e di bellezza.

Hitler provava disgusto di fronte alle opere di Marc Chagall e dei pittori yiddish. Suscitavano in lui sentimenti iconoclasti le novità formali di Otto Muller, Otto Dix, George Grosz, Max Beckmann. Era convinto che il lavoro di Kandinskij, Paul Klee, Kathe Kollowitz, Edward Munch corrompesse i giovani artisti del Reich, distogliendoli dalla ricerca della perfezione. Nel suo mondo ideale, sterilizzato da ogni diversità e imperfezione, Pablo Picasso rappresentava il serpente di Eva, il male assoluto.

Da “I salvatori dell’arte”: