A guardarla da lontano, con il suo lento ruminare, non si pensa che quel tranquillo animale sia una macchina, non molto diversa da quelle di una fabbrica. Come una fabbrica introduce materie prime e combustibili e produce delle cose utili; così l’erba o il mangime sono le materie prime per il “funzionamento” della mucca che, con la combustione degli alimenti nel suo corpo, vive e produce il latte che arriverà poco dopo sulla nostra tavola. Come una fabbrica “butta fuori” nell’ambiente una parte delle materie in entrata sotto forma di gas e rifiuti e scorie, così anche la mucca, nel suo processo vitale quotidiano butta nell’ambiente gas, urina ed escrementi.
L’esame della storia naturale della mucca fornisce alcune utili informazioni; non è facile redigere una contabilità per gli esseri viventi perché i 1.300 milioni di bovini esistenti nel mondo, 6 milioni in Italia, sono tutti diversi fra loro, ma si possono fare dei conti approssimativi. Immaginiamo una mucca ”media” che pesa 500 chili; nel corso di un anno questa mucca mangia circa 3.000 chili di erba e mangimi, e beve circa 10.000 chili di acqua. Qualche tempo prima, la mucca era stata fecondata e aveva partorito un vitello per la cui alimentazione la mucca (come succede per tutti i mammiferi) trasforma una parte del suo cibo nel latte.
Per nostra fortuna il latte della mucca è abbondante e in eccesso rispetto alle necessità del vitello, tanto che una mucca media è in grado di rendere disponibili a noi umani una quantità di latte, variabile, ma che in media si può stimare di circa 6.000 litri all’anno. Si tratta di un liquido contenente circa il 3 per cento di grasso, circa il 4 per cento di proteine, circa il 6 per cento di zuccheri e l’1 per cento di sali dei preziosi (dal punto di vista biologico) elementi calcio e fosforo. Insomma il latte prodotto in un anno, col suo 14 per cento di sostanze solide, contiene circa 100 chili di sostanze nutritive, formate da quelle che erano originariamente presenti nel cibo della mucca.
Prima di arrivare nella tazza della nostra colazione o nei dolci, il latte deve fare un lungo cammino; trattandosi di una soluzione instabile deve essere rapidamente analizzato, trasferito, sottoposto a un processo di conservazione, per lo più un riscaldamento a bassa o alta temperatura; alla fine, dopo altri viaggi, viene inscatolato e distribuito nelle confezioni che si trovano nel negozio. Di tutto il latte prodotto in un paese, in Italia circa 10 milioni di tonnellate all’anno, a cui si aggiungono altri tre milioni di tonnellate di latte importato, soltanto circa un terzo viene avviato al consumo diretto. Il resto viene inviato nei caseifici dove viene trasformato nei numerosissimi formaggi commerciali, dopo separazione della maggior parte del grasso che viene commerciato come burro. La soluzione restante viene fatta coagulare: la parte dei grassi e delle proteine insolubili in acqua (globuline) si separa dalla soluzione acquosa in cui restano disciolti una parte delle proteine (le albumine), e gli zuccheri. Questo liquido, il siero, viene per lo più usato per l’alimentazione dei suini, avendo cura che non finisca nell’ambiente dove diventerebbe fastidiosa fonte di inquinamento delle acque.
Finora abbiamo considerato le cose utili, i “prodotti” della fabbrica-mucca, ma una parte del cibo ingerito dalla nostra mucca, nel corso del processo vitale viene trasformata in rifiuti gassosi: si tratta di circa 3.000 chili all’anno di anidride carbonica, immessi nell’aria con la respirazione, e anche di una certa quantità di gas puzzolenti che fuoriescono da una parte del corpo della mucca che non nomino; quest’ultima miscela di gas libera nell’aria circa 100 chili all’anno di metano. Il metano è un gas che contribuisce a modificare negativamente il clima, anzi un chilo di metano danneggia il clima come circa 23 chili dell’altro “gas serra”, l’anidride carbonica. Un bel po’ delle modificazioni climatiche sono quindi dovute anche alla zootecnia: il prezzo ambientale che si deve pagare per avere carne, latte e formaggi. Niente è gratis in natura.
Ma c’è di peggio: una mucca, come, in proporzione, qualsiasi altro animale (umani compresi), elimina una parte dell’acqua e dei rifiuti sotto forma di escrementi. La nostra mucca ne elimina circa 6.000 chili all’anno; si tratta di una miscela puzzolente di sostanze liquide e solide fangose, contenenti azoto, fosforo, molecole organiche. Quando gli allevamenti del bestiame avevano a disposizione grandi pascoli, gli escrementi finivano nel terreno e, decomponendosi, addirittura fornivano sostanze nutritive per il pascolo o i successivi raccolti; insomma erano rifiuti rimessi in ciclo secondo le buone regole ecologiche. Con gli allevamenti intensivi lo smaltimento dei liquami degli allevamenti è diventato un problema.
Però una recente pubblicazione, a cura della professoressa Caterina Tricase, descrive le ricerche dei merceologi dell’Università di Foggia secondo cui è possibile evitare che i liquami zootecnici vadano a inquinare l’ambiente; trattandoli con microrganismi si recupera metano in forma utilizzabile come fonte di energia: con gli escrementi della nostra mucca “media” è possibile ottenere ogni anno circa 150 metri cubi di metano, equivalenti più o meno a circa 150 litri di gasolio. E’ vero che il processo di fermentazione produce anch’esso altri rifiuti gassosi e anche fanghi, ma nella vita non si può avere tutto.
Di Giorgio Nebbia per Giannella Channel:
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