Caro lettore,
prosegue il viaggio di
Giannella Channel attraverso tappe di avvicinamento (tappe studiose e tappe gustose) all’Expo milanese. Al di là degli aspetti, purtroppo consueti, di corruzione che stanno infangando il volto di un’iniziativa che dovrebbe stare a cuore di tutti gli italiani, a parere mio è sbagliata l’impostazione che finora sembra tradirne l’impegno ufficiale: “Nutrire il pianeta. Energia per tutti”.

Per raggiungere l’obiettivo occorrerebbe una attenzione alla cultura dei mezzi per nutrire il pianeta che sono i numerosi complessi prodotti tratti dall’agricoltura, trasformati con processi agroindustriali (pastifici, zuccherifici, conservifici), per arrivare alla distribuzione e alla fine per arrivare sui tavoli, su quelli opulenti e su quelli dei poveri. Processi che coinvolgono, oltre ai prodotti agricoli e zootecnici, energia e acqua.

Con l’aiuto di autorevoli collaboratori, andremo a illuminare il concetto, che è ecologico, tecnico-scientifico e merceologico, del ciclo natura -> industria -> commercio -> “consumo” e che continua con i rifiuti e il loro smaltimento. Una campagna che sostenesse l’importanza della cultura agricola, agroindustriale e alimentare farebbe, a nostro modesto parere, cosa utile anche ai fini del successo di una impresa che impegna, oltre a una montagna di soldi, anche la faccia del nostro paese. Più di cantanti, mùsici, ballerini, chefs e calciatori. (S.G.)

franklin-roosvelt

Franklin Delano Roosevelt (1882 – 1945) è stato il 32º presidente degli Stati Uniti d’America.

In questa bizzarra estate fa piacere leggere che il sindaco di Bari, Antonio Decaro, ha deciso di stanziare dei fondi per assicurare un piccolo reddito mensile a disoccupati che si impegnino in lavori in cooperative; l’hanno chiamato “reddito di cantiere” e ha un precedente illustre, ottanta anni fa. Siamo nel 1933, in piena crisi economica mondiale; negli Stati Uniti ci sono milioni di disoccupati, vaste terre rese sterili dall’erosione e dalle alluvioni; il 14 marzo di quell’anno, dieci giorni dopo essere stato eletto, il presidente Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) predispose un progetto per impiegare un esercito di giovani disoccupati in lavori di difesa ambientale, in cambio di alloggio e di un piccolo compenso.

Il 31 marzo 1933 il parlamento americano approvò l’istituzione dei Civilian Conservation Corps (CCC) e, nell’estate del 1933, 300.000 giovani americani disoccupati, dai 18 ai 25 anni, figli di famiglie assistite, erano nei boschi impegnati in opere di difesa del suolo, che da molti anni erano state trascurate. Piantarono alberi, scavarono canali per l’irrigazione, costruirono torri antincendio, combatterono le malattie dei pini e degli olmi, ripulirono spiagge e greti dei fiumi. Più di due milioni e mezzo di giovani americani prestarono servizio nei CCC; nel 1935 fu raggiunto il massimo numero di 500.000 presenze. Durante il periodo di funzionamento dei CCC furono piantati 200 milioni di alberi e furono gettate le basi di quello che sarebbe diventato il servizio di difesa del suolo del Dipartimento dell’Agricoltura.

Una simile iniziativa si ebbe in Italia a partire dagli anni cinquanta del Novecento con i cantieri di rimboschimento organizzati dalla Cassa per il Mezzogiorno e con la legge del 1952, voluta dal ministro dell’Agricoltura Amintore Fanfani (1908-1999) che era un colto professore di storia dell’economia. Soprattutto nel centro sud vennero piantati milioni di alberi che contribuirono a rallentare il dissesto idrogeologico. Mi auguro che anche i “cantieri” dei disoccupati pugliesi siano dedicati ad alleviare i molti problemi di Bari e della Regione, dalla regolazione del flusso delle acque alla sistemazione delle coste.

Una seconda buona notizia viene dalla Puglia settentrionale. La Regione ha stanziato fondi per assicurare alloggi agli immigrati che svolgono lavori saltuari nei campi e che finora sono stati soggetti al caporalato e allo sfruttamento in alloggi vergognosi. Anche in questo caso c’è un precedente, ancora nell'”Età di Roosevelt” quando milioni di piccoli agricoltori sono stati costretti ad abbandonare le terre che avevano in affitto, rese sterili per il vento e le piogge, per migrare verso un qualche lavoro nei campi della fertile California. La storia di una di queste famiglie, ispirata a eventi reali, è raccontata nel libro “Furore” di Steinbeck e nel film omonimo del registra John Ford. La famiglia dei Toad, giovani e anziani, decide di caricare le povere masserizie su una traballante automobile per andare a ovest dove dicono che in California, terra di ricchi raccolti, è possibile trovare occupazione in agricoltura.

Dopo un lungo terribile viaggio la California, terra promessa, si rivela però subito ostile; ci sono troppi immigrati, non c’è lavoro per tutti e le paghe sono basse al punto che i Joad arrivano mentre è in corso uno sciopero; i padroni, attraverso ”caporali” organizzati dalla criminalità, sono disposti ad assumere i nuovi arrivati come crumiri che subito si scontrano con gli altri poveri in sciopero, poveri contro poveri. Uno spiraglio è offerto da un campo di accoglienza statale della “Resettlement Administration”, l’agenzia creata, anche questa, dal presidente Roosevelt e affidata a Rexford Tugwell (1891-1979), un professore di economia, studioso di agricoltura, ma soprattutto una eccezionale figura di difensore dei diritti civili e degli emigranti.

Nel campo dell’agenzia gli immigrati con poca spesa trovano casette decenti, docce e acqua corrente, spazi per i bambini; l’agenzia statale ha cura anche di procurare lavoro a paghe dignitose, organizza opere di difesa del suolo e rimboschimento, assegna piccoli appezzamenti di terreno e organizza cooperative. Nel film i padroni degli operai in sciopero usano la criminalità locale, con la complicità della polizia, per cercare, senza successo, di smantellare il campo di accoglienza che sottrae al loro sfruttamento la mano d’opera.

Una simile iniziativa si ebbe in Italia, dopo la Liberazione, negli anni cinquanta. Il “Comitato Amministrativo di Soccorso Ai Senzatetto”, l’UNRRA-CASAS, col sostegno del “Movimento di Comunità” di Adriano Olivetti (1901-1960), assicurò una vera abitazione, non un rifugio, ai contadini meridionali immigrati nelle terre della riforma fondiaria. Apparve anche allora che un intervento pubblico di costruzione di alloggi e di assistenza civile può alleviare il disagio dei poveri togliendoli dalle grinfie della speculazione, della illegalità e della criminalità.

Che proprio dalla Puglia stia partendo un “New Deal” come quello rooseveltiano con iniziative saldamente ancorate alla soluzione di concreti problemi, insieme, di occupazione e umani e ambientali? Molti governanti, per accattare voti promettono di diminuire le tasse; io sono contento di pagare le tasse se in parte servono a rendere un po’ più decente la vita di coloro che si sfiancano nei campi, sotto il sole, per pochi soldi, per assicurare frutta e verdura fresche sulla nostra tavola.

bussola-punto-fine-articolo

* Giorgio Nebbia, merceologo con una quarantennale attività di docente, pioniere dell’ecologia in Italia. Ha orientato i suoi studi sull’analisi del ciclo delle merci, sull’energia solare, sulla dissalazione delle acque e sulle questioni relative alla risorsa acqua. È stato deputato (dal 1983 al 1987) e senatore (dal 1987 al 1992) della Sinistra indipendente. Per contattarlo: nebbia@quipo.it

A PROPOSITO

Giuseppe Di Vittorio e il New Deal per l’Italia

Giuseppe_Di_Vittorio

Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 1892 – Lecco, 1957).

Questo testo è tratto dal sito della CGIL, lì inserito il 24 gennaio 2013 e ripreso dal sito eddyburg.it. Il “piano del lavoro” proposto dal bracciante pugliese divenuto, dopo anni di antifascismo militante, segretario generale del sindacato dei lavoratori italiani è un atto culturale e politico che va ricordato oggi, che al Lavoro si vogliono continuare a faro pagare i prezzi della crisi provocata da un capitalismo selvaggio. Non è la prima volta che ricordo sui giornali da me diretti il significato che il New Deal americano e quella proposta del grande e stimato sindacalista pugliese che rifiutava i regali ebbero sul mondo del lavoro. Su “Airone” si susseguirono mese dopo mese, con autorevoli testimoni e proposte, le pagine “Per un nuovo New Deal italiano”. Che quelle proposte non siano state riaccolte in quegli anni e rapidamente dimenticate dalla stessa politica e cultura della sinistra italiana è un triste segno dei tempi. Su quella esperienza negli Stati Uniti torneremo nei prossimi giorni con i brani condensati di un antico ma ancora attuale libro, oggi sul mio tavolino: Arthur M. Schlesinger, Jr: L’età di Roosevelt e la crisi del vecchio ordine 1919-1933 /Editrice il Mulino, 1957.

Il piano del lavoro 1949-50

Nel 1949, anno in cui, in ottobre, al Congresso nazionale di Genova Giuseppe Di Vittorio presenta la proposta di un “piano economico e costruttivo per la rinascita dell’economia nazionale”, l’Italia è ancora tutta alle prese con gli effetti disastrosi della Seconda guerra mondiale. I senza lavoro sono due milioni, concentrati per gran parte al Sud, un milione di lavoratori sono a orario ridotto e più di un milione di braccianti è occupato solo saltuariamente. Anche le infrastrutture sono ai minimi termini, il tasso di scolarizzazione è tra i più bassi d’Europa, moltissimi italiani sono costretti a emigrare, le diseguaglianze sono fortissime, la fame e la malnutrizione sono realtà tangibili.

Ma il 1949 è anche un anno di mobilitazioni e di lotte di massa per il lavoro, per il salario, per il riscatto del Mezzogiorno che vedono la CGIL in prima fila. E, a proposito del Mezzogiorno, Di Vittorio a Genova afferma “che l’unica spedizione militare che potrebbe riuscire a eliminare il banditismo e la mafia dovrebbe essere una spedizione di ingegneri e di tecnici”. Il Piano del lavoro nasce con un’ispirazione keynesiana e con l’idea di raccogliere e unire tutte le energie produttive per far sì che la fase delle ricostruzione coincida con un nuovo sviluppo del Paese. Non una trasformazione radicale dei rapporti di classe, dunque, ma un deciso intervento pubblico per correggere gli squilibri sociali ed economici. E, per la CGIL, un modo di affermarsi come sindacato di proposta e di lotta anche su questioni di carattere generale.

Il Piano, che dopo il Congresso di Genova viene presentato l’anno successivo a Roma, può essere sintetizzato in tre direttrici di intervento: nazionalizzazione dell’energia elettrica con la costruzione di nuove centrali e bacini idroelettrici laddove erano più necessari, soprattutto al Sud; avvio di un vasto programma di bonifica e irrigazione dei terreni per promuovere lo sviluppo dell’agricoltura, specialmente nel Mezzogiorno; un piano edilizio nazionale per la costruzione di case, scuole e ospedali. La realizzazione del Piano prevedeva la creazione di 700 mila posti di lavoro e i finanziamenti sarebbero arrivati da una tassazione progressiva “da richiedere alle classi più abbienti, in modo particolare ai grandi gruppi monopolistici e alle società per azioni”; dal risparmio nazionale e da prestiti esteri che non mettessero in discussione “l’indipendenza economica e politica della nazione”.

Anche se il Piano non diede nell’immediato i risultati voluti, indicò tuttavia alcune direttrici di politica economica che sarebbero poi state avviate avviate e realizzate dai governi dei decenni successivi (la nazionalizzazione dell’energia elettrica, le bonifiche, il piano edilizio, ecc., per esempio). E produsse, inoltre, una straordinaria mobilitazione civile, “un movimento – come ha sottolineato Bruno Trentin – che liberò immense energie potenziali, che suscitò l’insorgere di nuovi fatti associativi e organizzativi, di nuove forme di partecipazione dal basso”.