La Romagna piange Muky, l’artista che ha fatto ancor più grande Faenza, capitale della ceramica

Da Trento a Roma alla comunità faentina, 95 anni vissuti tra bellezza, creatività e qualche scandalo

GENTE NON COMUNE | ARTI & CULTURE

introduzione di Salvatore Giannella – testo di Nevio Casadio*

La Romagna piange Muky, l’artista che ha fatto ancor più grande Faenza, capitale della ceramica

Da Trento a Roma alla comunità faentina, 95 anni vissuti tra bellezza, creatività e qualche scandalo

GENTE NON COMUNE | ARTI & CULTURE

introduzione di Salvatore Giannella – testo di Nevio Casadio*

 
Faenza e la Romagna piangono la scomparsa di un’artista molto brava e generosa, Wanda Berasi in arte Muky, che è spirata a 95 anni il 5 gennaio 2022 nel suo palazzetto zeppo di opere d’arte. A lei Tonino Guerra si affidava per le sue targhe che arricchiscono i muri di Pennabilli con le biografie poetiche della gente non comune di quel borgo del Montefeltro. A lei mi sono rivolto quando, alla scomparsa di Tonino, ho voluto ricordare sul muro della nostra casa sul porto canale di Cesenatico, che tra quelle mura “il poeta Tonino Guerra amava arrotolare le parole con gli spaghetti alle vongole”. Lei si è resa protagonista di un grande atto di generosità per la comunità faentina quando ha ufficializzato la volontà di donare parte dei suoi immobili alla Fondazione Mic, nello specifico l’area ubicata tra Piazza 2 Giugno e via Maioliche. Il progetto si chiama Casa dell’Arte Muky-Matteucci e i suoi spazi saranno dedicati a un Museo, alle residenze d’artista e alla didattica della ceramica. Una parte del museo accoglierà una mostra permanente dedicata ai lavori di Muky e Domenico Matteucci, suo compagno di vita e di lavoro. Il progetto nasce con un’ottica internazionale e accoglierà artisti provenienti da tutto il mondo, con l’obiettivo di valorizzare la cultura ceramica artistica e promuovere l’arte come strumento di pace. Il gesto di Muky aprirà le porte della ceramica faentina al mondo e viceversa.

A questa figura di artista non comune (“In ogni partenza è nascosto il ritorno e tu, cara Muky, ritornerai a stupire le future generazioni”, ha scritto Lora Guerra al sindaco faentino Massimo Isola) il giornalista amico e cacciatore di storie, Nevio Casadio, aveva dedicato nell’estate di tre anni fa un interessante ritratto sulle pagine di Repubblica che, integrato di parti rimaste tagliate, illumina più di mezzo secolo del mondo dell’arte e dello spettacolo non solo italiano. Lo riproduciamo qui di seguito. (S.Gian.)

Muky ritratta da Maurizio Galimberti (c), il fotografo che le è accanto nella quarta foto.

Faenza (Ravenna) –

“Ridono ancora i bambini?”. La risata le esce di getto, come un tempo i bambini ridevano di fronte a un clown. Risata, che la vita alle spalle non le ha scalfito innocenze e stupori, nonostante i suoi novant’anni passati. “Come posso non ridere pensando a quella serata a Chianciano? Ero arrivata lì per ritirare un premio conferito a una mia raccolta poetica di versi erotici. Tra i premiati con il Vip d’oro, Franco Zeffirelli, Belinda Lee, Alberto Sordi e altri personaggi che non ricordo. Quando fu il mio turno salii sul palco, il presentatore lesse la motivazione e quando pronunciò il titolo della mia opera premiata, Alberto Sordi scoppiò in una delle sue risate e da istrione qual era, irruppe sulla scena esclamando a tutta voce: ‘Ma che razza di titolo è Io sono la tua libellula e tu il mio uccello?’ Alzai la mano, ‘alt, fermati’, replicai. ‘Io, caro Alberto, quando vado al cinema per ridere a un tuo film, entro nella sala avendo pagato il biglietto. Quindi tu ridi pure, ma devi pagarmi per averti fatto ridere’. Ci abbracciammo ridendo come fossimo amici da sempre e mi pagò con tre piccoli baci, due sulla guancia e l’altro sulla fronte”.

Wanda Berasi, esile e filiforme, ha l’aspetto di un giunco sottile. Pittrice, scultrice, scrittrice, poetessa, ceramista, operatrice culturale, in definitiva categorie che sfuggono da recinti netti per sfociare nel suo universo di donna e artista. In arte Muky.

Quando proponevo le mie opere, sculture, quadri o ceramiche, firmate con il mio nome, Wanda Berasi, in pochi se le filavano. In quei tempi, negli anni ‘50/60, le donne, come in altri settori, non erano considerate, in particolar modo nel mondo dell’arte. Eravamo sacrificate, schiacciate nell’orgoglio e nel talento. Pensai quindi di attribuirmi un nome d’arte che non permettesse di capire se l’autore fosse un uomo o una donna. E ha funzionato. Tant’è che le mie opere, a firma Muky, iniziarono a essere contese e acquistate via via come il pane.

L’artista nacque a Trento a metà degli anni Venti e Trenta. “Mio padre, Augusto”, racconta, “funzionario di banca, era un austro-ungarico tutto d’un pezzo. Una persona meticolosa e ordinata. Mi proteggeva come il bene assoluto. Mi portava delle monetine e mi chiedeva di metterle in ordine, in colonnine separate. Poi, alla sera, mi chiedeva di quante monetine fosse composta ognuna di quelle minuscole torri. ‘Sai’, mi diceva, ‘nella vita insegui i tuoi sogni, ma facendo sempre i conti con la realtà’. Non ricordo alcun abbraccio da parte di mia mamma, donna bellissima, affascinante. La stanchezza non le dava tregua, iniziava a suonare il pianoforte e dopo alcuni minuti cominciava a tremare. E quando io compii otto anni, mia madre morì”.

La piccola Wanda non amava le bambole. Appena ricevute in regalo le rinchiudeva in un armadio. Un giorno chiese in dono un meccano e il padre glielo comprò. A vent’anni sposò un medico, di vent’anni in più e, dopo tre mesi, lo lasciò perché le tarpava le ali.

L’amore per l’arte la trasferisce a Roma. La giovane trentina inizia a frequentare gli artisti del posto. All’Accademia Tedesca di Villa Massimo si imbratta le mani nelle botteghe degli artisti in voga. Allieva prediletta del pittore e scultore Renato Marino Mazzacurati. Di Renato Guttuso divenne una sorta di musa. Carpisce i segreti di Leoncillo Leonardi scultore, poeta disegnatore e, soprattutto per Wanda, ceramista.

Col nome d’arte Muky, espone le proprie opere e declama versi in Italia in altri paesi. Ma l’arte della ceramica, conosciuta grazie a Leoncillo è un tarlo che le rode il cuore.
Nel ‘55 si reca a Faenza – la faience, nome con cui s’identifica la maiolica ovunque – con l’idea di annusare l’ambiente per una decina di giorni, in particolare la scuola di ceramica, realtà rinomata.

Trovai un mondo distante anni luce da Roma. Le donne, con il fazzoletto nero in testa, a piedi o in bicicletta con lo sguardo a terra. E quando mi vedevano passare, truccatissima e con i pantaloncini all’inguine, poco mancava che si facessero il segno della croce. Mi iscrissi al corso di ceramica e dopo qualche giorno il direttore, Emiliani, mi disse che davo scandalo. ‘Ma come?’, replicai, ‘io sono una persona seria e perbene’. ‘Il fatto è’, rispose, ‘che lei così vestita dà scandalo a tutti. Se vuol continuare a frequentare la scuola deve togliersi jeans e pantaloncini corti’. Al che replicai che non potevo affatto toglierli, perché sotto ero nuda. E andò su tutte le furie.

Muky ritratta da Ermes Ricci.

La ragazza chiese a un esperto del posto chi fosse l’artista migliore della città e le fu indicato, senza dubbio alcuno, Domenico Matteucci.

Incontrai questo signore bellissimo, dall’anima profonda e solitaria. Iniziammo a frequentarci, scattò una scintilla mentale e decidemmo di dividere le giornate. In seguito anche le notti. Il primo impatto sul lavoro fu terribile. La bottega, piena di fuliggine, era cosparsa di legna per far alimentare il forno in cui cuocere la creta e uscirne ceramica. I topi scorrazzavano su e giù. Il bagno era un buco coperto da un asse. Al che decisi di eleggere a bagno le radici di un albero nel prato e lasciare lì i miei ricordi. La realtà faentina della ceramica era legata alla tradizione. Giorno dopo giorno, apprendevo le tecniche introducendo le mie idee di un’arte informale applicata alla ceramica. Con Matteucci vivevo un rapporto d’amore per lo più cerebrale, disgiunto da un’autentica passione fisica. All’inizio del nostro rapporto avevamo stabilito rapporti chiari. Chiunque era libero di innamorarsi e legarsi ad altre persone, purché non nascondesse alcunché. Dopo molti anni, mi sentii vibrare dalla testa ai piedi e capii cosa significasse perdere la testa. Lo dissi a Matteucci e andai a vivere a Bologna con questo amore paralizzante. Sebastian, neuropsichiatra, invece di portarmi a mostre, a teatro, mi portava a vedere i manicomi italiani e d’Europa. Esperienza di drammaticità e tenerezze assolute.

Indossava cappelli a larghe tese, oppure con veletta anni Venti. In città, così abbigliata, si spostava inforcando un monopattino rosso. A Bologna, un vigile voleva multarla perché sotto i portici è vietato andarci su due ruote, ma a piedi soltanto. Nacque una discussione, che Muky risolse esibendo una prescrizione medica nella quale Sebastian, medico-neuropsichiatra alquanto noto in città, le prescriveva passeggiata quotidiana su monopattino, rosso o di altro colore.

Verso le cinque del mattino, nei giorni di lavoro, partivo in macchina da Bologna, per andare al lavoro a Faenza, nella bottega mia e di Matteucci. Era ancora l’alba e lungo la via Emilia fui inseguita da un’auto. Mi spaventai e riuscii a fuggire. Presi così l’abitudine nei miei spostamenti in automobile di far sedere accanto a me un manichino con camicia, cravatta, giacca e cappello. Un mattino mi fermò la polizia, mostrai i documenti e li pretesero pure dall’ospite a bordo. ‘Ma non vedete che è un manichino?’ Tergiversarono un po’, poi alla fine alzando gli occhi al cielo, forse prendendomi per matta, mi lasciarono andare.

Muky con il fotografo Nino Migliori.

Il ménage a tre continuò nel tempo, con rispetto reciproco, in una sorta di convivialità religiosa.

A volte, anche di notte, quando ero a Bologna a letto con Sebastian, squillava il telefono. Il mio Sebastian si alzava, andava a rispondeva e poi ritornava dicendomi che era Matteucci e che aveva bisogno di me. Andavo a rispondere e mi chiedeva: ‘Muky bella, ma dove hai nascosto la mia scorta di sigarette?’. Ero costretta a svelare il nascondiglio dove avevo messo quel veleno, per fargliene fumare un po’ meno delle solite cento al dì. Poi tornavo a letto da Sebastian.

A Faenza, la ditta Muky&Matteucci, sodalizio di un amore sghembo eppur sincero, acquisì con risparmi e aiuti, il palazzo sorto sulle ceneri del palazzo che fu del Conte Filippo Bandini, realizzato tra il 1766 e il 1780 su disegno dell’architetto Giuseppe Pistocchi. Sarà a partire dagli anni Settanta la bottega, scuola, sala di concerti, ospiti di livello internazionale, invitati a portare in Faenza la bellezze del mondo. Sul fronte del Palazzo la Loggetta di Antonio Trentanove, il Trentanove plastificatore riminese che verso la fine del ‘700 eseguì le quattro grandi statue in stucco, tuttora in loco per le nicchie del porticato pensile che costituiva il fondale. Rappresentano acqua, aria, terra e fuoco. Matteucci fuma e lavora, con ritmi tutti suoi. Muky crea, persegue l’informale, modella, smalta forme in bianco e in nero, porta le proprie opere dal Giappone all’America, dalla Russia al Sud Africa. Sebastian, il neuropsichiatra, nel 1989 morirà in un incidente mortale in una curva dalle parti di Bologna. A consolare Muky accorrerà Matteucci dicendo alla comune compagna di farsi coraggio. E il Maestro d’arte faentino collocherà sulla tomba dello scomparso Sebastian, una propria scultura. Domenico Matteucci nato nel ’14, morirà nel ’91 a due anni di distanza.

Muky continuerà a promuovere l’informale, esponendo le sue opere ovunque. Continua a tenere aperte le porte di casa al pubblico, accogliendo ospiti di ogni parte, di qualsiasi ambito. A ognuno chiede la firma in un piatto. La serie è esposta alle pareti. Si leggono dediche e firme di Enzo Biagi, Ruggero Orlando, Roberto Gervaso, Alberto Bevilacqua, Vittorio Sgarbi, Franco Fontana, Nino Migliori (indelebile la fotografia Il tuffatore scattata da Migliori sul molo di Rimini nel ‘51. Al pari del ‘tuffatore’ dipinto sulla tomba sepolta a Paestum per 2.500 anni e rinvenuta cinque decenni fa), Maurizio Galimberti, Mario Pincherle, Dario Fo, Paolo Poli, Ottavia Piccolo, Alessandro Bergonzoni, Sabrina Ferilli, Raffaella Reggi. E Tonino Guerra, artista che Muky ha omaggiato nel tempo, donandogli attenzione, pensieri, idee e opere d’arte, ora esposte in Pennabilli, Russia e Georgia.

Muky con il fotografo Maurizio Galimberti. Una delle ultime ceramiche d’artista Muky l’aveva destinata alla Casa Museo faentina intitolata al famoso sismologo Raffaele Bendandi, diretta da Paola Pescerelli Lagorio, coordinatrice delle 19 Case della Memoria della Regione Emilia-Romagna: “I terremoti sono guerre senza confini”.

Alle spalle del palazzo dove Muky vive, è edificata la Torretta Rotonda Belvedere, costruita intorno al 1830 su progetto di Costantino Galli. Le persone anziane del posto ricordano che nei pressi c’erano le prigioni. E al 20 di via Maioliche, la casa di tolleranza, gestita da una signora di nome Brunetta. D’inverno passava lo spazzino, con un carretto raccoglieva la neve che scaricava poi nella ghiacciaia all’interno della Rotonda. E lì, d’estate, i macellai dell’intera città conservavano le carni.

Muky negli anni, all’interno della Torretta, ha curato mostre, eventi e performance. Suscitò scalpore la mostra dedicata ai martiri cristiani. In un piano il martirio di San Lorenzo. Secondo la leggenda, San Lorenzo sarebbe stato messo a bruciare vivo sul fuoco di una graticola. Griglia riprodotta da Muky in maiolica.

In un piano superiore, i visitatori avrebbero dovuto infilare le mani in un vaso e capire al tatto quale forma avessero le sculture in terracotta lì custodite. Erano gli occhi espiantati nel martirio a Santa Lucia. L’ingresso all’ultimo piano era riservato unicamente alle signore. Muky, all’ingresso della stanza in religioso silenzio. Una maschera nera dipinta sul volto, come ai concerti esibiva Michael Stipe, il mitico front-man dei REM. Nella penombra donne di tutte le età, entravano e una alla volta affondavano le mani nel vaso. Una di queste lanciò un grido d’imbarazzo, avendo compreso al tatto una parte del corpo da tenere nascosta. E Muky rispose che l’essere umano a volte è talmente crudele da giungere al punto di evirare un altro essere umano. Il Martire del quale Muky proponeva il ricordo attraverso una performance di arti diverse, era il Vescovo Florentio Asenzio Barroso. Arrestato dai miliziani spagnoli il 20 luglio del 1936, ai primi di agosto trasferito in una cella del municipio. Qui fu torturato senza pietà e infine evirato. E il suo corpo gettato in una fossa comune.

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* Nevio Casadio di professione giornalista (secondo le circostanze è definito: reporter, scrittore, autore televisivo, regista, considerandosi soltanto un cacciatore o un narratore di storie. Sperando di poterle e saperle narrare), ha scritto per la Repubblica, Oggi e Il Mattino. In Rai, già allievo di Sergio Zavoli con il quale ha collaborato in molte inchieste ha lavorato negli spazi di approfondimento da Speciale TgUno a La storia siamo noi; da tv7 a C’era una volta; da Frontiere a Piazzale degli Eroi. Nel 2007 Enzo Biagi lo ha chiamato a far parte di RT/Rotocalco Televisivo di Rai Tre, in qualità di coautore e di inviato speciale del programma per il quale ha firmato numerosi reportage, prevalentemente dedicati alle vittime di incidenti sul lavoro. Nel contesto del centenario della nascita di Indro Montanelli (1909-2009), ha firmato per Rai Sat il programma televisivo di 8 puntate ‘Montanelli tv’; per RCS ‘Gli anni della televisione’ un progetto editoriale in 8 dvd allegati al Corriere della Sera; per Speciale tg1 ‘Lo farei anche gratis’. In definitiva per Rai, tra inchieste, reportage e docufilm ha firmato centinaia di lavori, gli ultimi dei quali in ordine di tempo dedicati a Tonino Guerra (L’Ulisse di campagna); agli esuli istriani (Italiani per scelta. 7 storie istriane); al salvataggio di famiglie di ebrei nel corso dell’ultima guerra, da parte della comunità di un paese del ravennate (Cotignola, il paese dei giusti); alle realtà emergenti in segno di speranza in Napoli (N.U. Piovono fiori su Napoli e Scampia) e infine ai registi Pupi Avati (Il viaggio di Pupi), Michelangelo Antonioni (Antonioni Point), Federico Fellini (VIVA FELLINI). Nel 2016 ha firmato un docu-film dedicato al direttore d’orchestra russo-israeliano Yuri Ahronovitch. Ha vinto tre volte il Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi.

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