La Romagna piange Muky, l’artista che ha fatto ancor più grande Faenza, capitale della ceramica
Da Trento a Roma alla comunità faentina, 95 anni vissuti tra bellezza, creatività e qualche scandalo
GENTE NON COMUNE | ARTI & CULTURE
introduzione di Salvatore Giannella – testo di Nevio Casadio*
La Romagna piange Muky, l’artista che ha fatto ancor più grande Faenza, capitale della ceramica
Da Trento a Roma alla comunità faentina, 95 anni vissuti tra bellezza, creatività e qualche scandalo
GENTE NON COMUNE | ARTI & CULTURE
introduzione di Salvatore Giannella – testo di Nevio Casadio*
A questa figura di artista non comune (“In ogni partenza è nascosto il ritorno e tu, cara Muky, ritornerai a stupire le future generazioni”, ha scritto Lora Guerra al sindaco faentino Massimo Isola) il giornalista amico e cacciatore di storie, Nevio Casadio, aveva dedicato nell’estate di tre anni fa un interessante ritratto sulle pagine di Repubblica che, integrato di parti rimaste tagliate, illumina più di mezzo secolo del mondo dell’arte e dello spettacolo non solo italiano. Lo riproduciamo qui di seguito. (S.Gian.)
Faenza (Ravenna) –
“Ridono ancora i bambini?”. La risata le esce di getto, come un tempo i bambini ridevano di fronte a un clown. Risata, che la vita alle spalle non le ha scalfito innocenze e stupori, nonostante i suoi novant’anni passati. “Come posso non ridere pensando a quella serata a Chianciano? Ero arrivata lì per ritirare un premio conferito a una mia raccolta poetica di versi erotici. Tra i premiati con il Vip d’oro, Franco Zeffirelli, Belinda Lee, Alberto Sordi e altri personaggi che non ricordo. Quando fu il mio turno salii sul palco, il presentatore lesse la motivazione e quando pronunciò il titolo della mia opera premiata, Alberto Sordi scoppiò in una delle sue risate e da istrione qual era, irruppe sulla scena esclamando a tutta voce: ‘Ma che razza di titolo è Io sono la tua libellula e tu il mio uccello?’ Alzai la mano, ‘alt, fermati’, replicai. ‘Io, caro Alberto, quando vado al cinema per ridere a un tuo film, entro nella sala avendo pagato il biglietto. Quindi tu ridi pure, ma devi pagarmi per averti fatto ridere’. Ci abbracciammo ridendo come fossimo amici da sempre e mi pagò con tre piccoli baci, due sulla guancia e l’altro sulla fronte”.
Wanda Berasi, esile e filiforme, ha l’aspetto di un giunco sottile. Pittrice, scultrice, scrittrice, poetessa, ceramista, operatrice culturale, in definitiva categorie che sfuggono da recinti netti per sfociare nel suo universo di donna e artista. In arte Muky.
L’artista nacque a Trento a metà degli anni Venti e Trenta. “Mio padre, Augusto”, racconta, “funzionario di banca, era un austro-ungarico tutto d’un pezzo. Una persona meticolosa e ordinata. Mi proteggeva come il bene assoluto. Mi portava delle monetine e mi chiedeva di metterle in ordine, in colonnine separate. Poi, alla sera, mi chiedeva di quante monetine fosse composta ognuna di quelle minuscole torri. ‘Sai’, mi diceva, ‘nella vita insegui i tuoi sogni, ma facendo sempre i conti con la realtà’. Non ricordo alcun abbraccio da parte di mia mamma, donna bellissima, affascinante. La stanchezza non le dava tregua, iniziava a suonare il pianoforte e dopo alcuni minuti cominciava a tremare. E quando io compii otto anni, mia madre morì”.
La piccola Wanda non amava le bambole. Appena ricevute in regalo le rinchiudeva in un armadio. Un giorno chiese in dono un meccano e il padre glielo comprò. A vent’anni sposò un medico, di vent’anni in più e, dopo tre mesi, lo lasciò perché le tarpava le ali.
L’amore per l’arte la trasferisce a Roma. La giovane trentina inizia a frequentare gli artisti del posto. All’Accademia Tedesca di Villa Massimo si imbratta le mani nelle botteghe degli artisti in voga. Allieva prediletta del pittore e scultore Renato Marino Mazzacurati. Di Renato Guttuso divenne una sorta di musa. Carpisce i segreti di Leoncillo Leonardi scultore, poeta disegnatore e, soprattutto per Wanda, ceramista.
Col nome d’arte Muky, espone le proprie opere e declama versi in Italia in altri paesi. Ma l’arte della ceramica, conosciuta grazie a Leoncillo è un tarlo che le rode il cuore.
Nel ‘55 si reca a Faenza – la faience, nome con cui s’identifica la maiolica ovunque – con l’idea di annusare l’ambiente per una decina di giorni, in particolare la scuola di ceramica, realtà rinomata.
Indossava cappelli a larghe tese, oppure con veletta anni Venti. In città, così abbigliata, si spostava inforcando un monopattino rosso. A Bologna, un vigile voleva multarla perché sotto i portici è vietato andarci su due ruote, ma a piedi soltanto. Nacque una discussione, che Muky risolse esibendo una prescrizione medica nella quale Sebastian, medico-neuropsichiatra alquanto noto in città, le prescriveva passeggiata quotidiana su monopattino, rosso o di altro colore.
A Faenza, la ditta Muky&Matteucci, sodalizio di un amore sghembo eppur sincero, acquisì con risparmi e aiuti, il palazzo sorto sulle ceneri del palazzo che fu del Conte Filippo Bandini, realizzato tra il 1766 e il 1780 su disegno dell’architetto Giuseppe Pistocchi. Sarà a partire dagli anni Settanta la bottega, scuola, sala di concerti, ospiti di livello internazionale, invitati a portare in Faenza la bellezze del mondo. Sul fronte del Palazzo la Loggetta di Antonio Trentanove, il Trentanove plastificatore riminese che verso la fine del ‘700 eseguì le quattro grandi statue in stucco, tuttora in loco per le nicchie del porticato pensile che costituiva il fondale. Rappresentano acqua, aria, terra e fuoco. Matteucci fuma e lavora, con ritmi tutti suoi. Muky crea, persegue l’informale, modella, smalta forme in bianco e in nero, porta le proprie opere dal Giappone all’America, dalla Russia al Sud Africa. Sebastian, il neuropsichiatra, nel 1989 morirà in un incidente mortale in una curva dalle parti di Bologna. A consolare Muky accorrerà Matteucci dicendo alla comune compagna di farsi coraggio. E il Maestro d’arte faentino collocherà sulla tomba dello scomparso Sebastian, una propria scultura. Domenico Matteucci nato nel ’14, morirà nel ’91 a due anni di distanza.
Muky continuerà a promuovere l’informale, esponendo le sue opere ovunque. Continua a tenere aperte le porte di casa al pubblico, accogliendo ospiti di ogni parte, di qualsiasi ambito. A ognuno chiede la firma in un piatto. La serie è esposta alle pareti. Si leggono dediche e firme di Enzo Biagi, Ruggero Orlando, Roberto Gervaso, Alberto Bevilacqua, Vittorio Sgarbi, Franco Fontana, Nino Migliori (indelebile la fotografia Il tuffatore scattata da Migliori sul molo di Rimini nel ‘51. Al pari del ‘tuffatore’ dipinto sulla tomba sepolta a Paestum per 2.500 anni e rinvenuta cinque decenni fa), Maurizio Galimberti, Mario Pincherle, Dario Fo, Paolo Poli, Ottavia Piccolo, Alessandro Bergonzoni, Sabrina Ferilli, Raffaella Reggi. E Tonino Guerra, artista che Muky ha omaggiato nel tempo, donandogli attenzione, pensieri, idee e opere d’arte, ora esposte in Pennabilli, Russia e Georgia.
Muky con il fotografo Maurizio Galimberti. Una delle ultime ceramiche d’artista Muky l’aveva destinata alla Casa Museo faentina intitolata al famoso sismologo Raffaele Bendandi, diretta da Paola Pescerelli Lagorio, coordinatrice delle 19 Case della Memoria della Regione Emilia-Romagna: “I terremoti sono guerre senza confini”.
Muky negli anni, all’interno della Torretta, ha curato mostre, eventi e performance. Suscitò scalpore la mostra dedicata ai martiri cristiani. In un piano il martirio di San Lorenzo. Secondo la leggenda, San Lorenzo sarebbe stato messo a bruciare vivo sul fuoco di una graticola. Griglia riprodotta da Muky in maiolica.
In un piano superiore, i visitatori avrebbero dovuto infilare le mani in un vaso e capire al tatto quale forma avessero le sculture in terracotta lì custodite. Erano gli occhi espiantati nel martirio a Santa Lucia. L’ingresso all’ultimo piano era riservato unicamente alle signore. Muky, all’ingresso della stanza in religioso silenzio. Una maschera nera dipinta sul volto, come ai concerti esibiva Michael Stipe, il mitico front-man dei REM. Nella penombra donne di tutte le età, entravano e una alla volta affondavano le mani nel vaso. Una di queste lanciò un grido d’imbarazzo, avendo compreso al tatto una parte del corpo da tenere nascosta. E Muky rispose che l’essere umano a volte è talmente crudele da giungere al punto di evirare un altro essere umano. Il Martire del quale Muky proponeva il ricordo attraverso una performance di arti diverse, era il Vescovo Florentio Asenzio Barroso. Arrestato dai miliziani spagnoli il 20 luglio del 1936, ai primi di agosto trasferito in una cella del municipio. Qui fu torturato senza pietà e infine evirato. E il suo corpo gettato in una fossa comune.
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(via mail)
Buongiorno Salvatore,
leggo l’articolo su Muky e mi viene in mente che tra le foto nell’archivio di mio padre Alteo Dolcini c’era questa immagine di Alberto Sordi con in mano un libro di poesie di Muky. Si tratta proprio del libro, citato nell’articolo, che a Chianciano scatenò le risate di Sordi.
Buone cose
Andrea
credit photo: Archivio Alteo Dolcini
(via mail)
Caro Salvatore
spulciando sul tuo blog, mi sono imbattuto in un interessantissimo articolo che parla della ceramista faentina Muky. Ho poi letto l’articolo anche ad Anna Maria, mia compagna di vita e pittrice da te conosciuta.
Noi abbiamo incontrato Muky in diverse occasioni, anzi Anna Maria mi ha mostrato una sua foto con Muky (vedi sotto) scattata in occasione di una mostra di arte sacra organizzata dal FO-FA che si è tenuta a Forlì nella sala dei XC Pacifici quasi certamente nel ’97.
Siamo anche stati invitati alcune volte nel suo palazzo di Faenza. Anna Maria, sapendo che Muky aveva l’abitudine di tenere nelle sale della sua abitazione dei manichini vestiti a sua immagine e somiglianza, mi ha ricordato di averne trovato uno anche in bagno!
A proposito di Ennio e Anna Maria Ferretti: Nanni & Ferretti: una famiglia romagnola, un anniversario storico