follow-a-museumImmaginate un cantiere dell’arte e la possibilità di accedervi a tutte le ore. Il vostro museo preferito abbatte tutte le soglie e crea la sua piazza virtuale, un’agorà che apre le porte al dibattito e allo scambio di esperienze. No, non è un sogno ma una reale opportunità lanciata da Jim Richardson che ha pensato bene di promuovere un hashtag per seguire un museo nella sua giornata tipo on line. Istituito nel 2010, il primo febbraio di ogni anno è il follow a museum day, un esperimento nato dal desiderio di emulare la popolarità social di Bill Gates. L’obiettivo è in realtà accendere i riflettori sul variegato mondo dei musei dando la possibilità di sceglierne uno e di seguirlo con il #followamuseum.

“Find a museum to follow” è, infatti, l’esortazione alla caccia in rete del museo più amato o semplicemente di quello più interessante da seguire. I musei di tutto il mondo saranno chiamati ad aggiornare il proprio appeal e a indossare il “vestito buono della domenica” per aumentare la propria audience o almeno attirare l’attenzione su di sé. Sembra un gioco ma in verità è un’occasione per mettersi a nudo e far riemergere i nodi al pettine della difficile vita di un’istituzione culturale nell’era digitale: quelli che vivono all’ombra dei giganti avranno la possibilità di farsi conoscere attraverso una risorsa “gratuita”, ma forse faticheranno a ritagliarsi uno spazio di confronto sulla giostra guidata dalle realtà di punta del panorama internazionale. E’ un problema soprattutto in Italia dove piccole e piccolissime istituzioni convivono con colossi di fama mondiale che non sentono neanche il bisogno di essere presenti sui social network più popolari. E’ il caso clamoroso dei Musei Vaticani che siglano accordi istituzionali di ampio respiro (l’ultimo con l’ENEA per l’utilizzo delle nuove tecnologie nel campo dei beni culturali) per poi perdere l’occasione di raccontarsi attraverso uno strumento che può abbattere con un solo cinguettio anche la fastidiosa attesa delle code chilometriche alle sue porte.

C’è questa brutta abitudine a cullarsi sugli allori che mal si presta a un’Italia in perenne stato di allerta, con i piedi in guerra, con una spina dorsale pregna di linfa ma con le braccia conserte quasi a simulare un muro.
E’ accaduto con il #MuseumSelfie day che pochi giorni fa ha movimentato in Italia anche i musei meno social, rispolverando però quella cara vecchia canzone del divieto di scattare foto all’interno delle istituzioni culturali (divieto cancellato dal principale museo di Amsterdam, il Rijksmuseum, e dalla British Library: link).

Sull’altro fronte, sempre più musei si impegnano ad allargare i propri spazi all’esterno, progettando con open call l’estensione dei propri confini alle aree di incontro, ma spesso dimenticando che l’arena prediletta, o meglio Twitter, è capace di abbattere le vere barriere all’ingresso di un museo: costi, orari e sancta sanctorum velati. Ciò che accade con un cinguettio è proprio il disvelamento del reale stato dell’arte: è come essere in un cantiere con la libertà di esplorare e testare ciò che ci piace e soprattutto ciò che necessita di migliorie. Tutti, infatti, vorremmo prendere parte alla costruzione della nostra storia e l’arte è il terreno fertile di una battaglia ancora da combattere.

Dunque, il primo febbraio c’è la possibilità di partecipare alla “dura” vita di un museo. Immaginate pure cosa potreste cambiare e partecipate alla storia della vostra istituzione culturale preferita. Ma non fermatevi all’immaginazione, usate il #followamuseum come fischietto di richiamo e…eh si, questa volta non solo potete, dovete!

tafterFonte: Tafter.it