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Sono in buona parte italiani, 555 su 758, i comuni europei che, nel corso del 2013, hanno presentato e approvato un proprio Piano di azione per l’energia sostenibile (Paes). Un dato che, per una volta tanto, pone il nostro Paese all’avanguardia del continente per quanto riguarda le politiche energetiche e ambientali. Il dato arriva da Alleanza per il Clima Italia onlus, sostenitore del Patto dei Sindaci (Covenant of Mayors), comunità di enti locali europei che ha deciso di intraprendere politiche territoriali condivise per raggiungere l’obiettivo 20-20-20: cioè, entro il 2020, riduzione del 20% delle emissioni di CO2 e aumento fino al 20% della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica (vedere riquadro a seguire).

Un numero che, seppure in calo rispetto al 2012 (quando furono 757 i Piani presentati), dà il quadro di un Paese impegnato, a partire dalla dimensione territoriale di prossimità, a elaborare piani di intervento per ridurre consumi energetici, promuovere energie rinnovabili e incentivare l’adozione di comportamenti virtuosi (dal trasporto pubblico alla raccolta differenziata dei rifiuti). E per premiare i comuni più virtuosi – e incoraggiare le amministrazioni comunali a dotarsi di Piani che siano strumenti di lavoro ambiziosi, qualificati e operativi – torna nel 2014 il Premio A+CoM, promosso da Alleanza per il Clima Italia onlus e da Kyoto Club.

C’è tempo fino al 14 marzo per partecipare (info sul sito di Alleanza per il Clima). Quest’anno A+CoM selezionerà i 4 “migliori” Paes elaborati e deliberati nel 2013, uno per ciascuna delle quattro categorie di comuni in gara (divisi a seconda del numero di abitanti: fino a 5.000, da 5.001 a 20.000, da 20.001 a 90.000, oltre 90.000 abitanti).

Nel 2013 furono otto i comuni premiati, tra i vincitori nelle 4 categorie e i meritevoli di una menzione speciale per particolari aspetti del proprio Piano: Sasso di Castalda (Potenza), Torri di Quartesolo (Vicenza), Treviso, Bologna, Pesaro, Foiano della Chiana (Arezzo), Unione dei Comuni dell’entroterra Idruntino (Lecce) e Vigonovo (Venezia).

Per poter partecipare all’edizione 2014 di A+CoM, è necessario che il Paes sia stato caricato sul sito e contenga un riferimento chiaro agli obiettivi di riduzione di CO2 di almeno il 20% entro il 2020. Allo stesso tempo, il Piano deve contenere un inventario base delle emissioni di CO2, e prevedere azioni concrete nel settore ente locale, in quello residenziale, nel terziario e nel trasporto, e azioni concrete in almeno tre dei seguenti settori: produzione locale di energia, pianificazione territoriale, acquisti pubblici, coinvolgimento della cittadinanza e degli stakeholder, settore industriale (escluso il settore ETS).

I Piani saranno valutati da un comitato tecnico e da uno scientifico: il Comitato Scientifico, che potrà altresì attribuire menzioni speciali, è composto da Mario Agostinelli, presidente dell’Associazione Energia Felice; Stefano Caserini, docente al Politecnico di Milano; Annalisa Corrado, direttore tecnico di AzzeroCO2; Antonio Lumicisi, coordinatore della campagna SEE-Italia del Ministero dell’Ambiente; Massimo Scalia, docente di Fisica a La Sapienza; Karl-Ludwig Schibel, coordinatore di Alleanza per il Clima Italia; Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club; Maria Rosa Vittadini, urbanista all’Università Iuav di Venezia e Silvia Zamboni, giornalista ambientale.

greenews* Fonte: Greenews.info è il web magazine dedicato all’informazione ambientale e al “green thinking” che nasce per dare visibilità ai progetti di sostenibilità delle imprese operanti in Italia, delle pubbliche amministrazioni, dei centri di ricerca e delle associazioni non-profit e per informare sulle politiche, le best practices, le normative ed i finanziamenti, i prodotti “eco” e “bio” e i nuovi trend mondiali.

A PROPOSITO

Dalla scienza alla conoscenza, all’azione: il modello Friburgo per centrare l’obiettivo 20-20-20

di Salvatore Giannella

20-20-20 è la formula strategica che ricorre nel testo precedente e spesso nelle pagine dell’utile rapporto “Progetto Kyoto Lombardia” della Fondazione Lombardia per l’Ambiente e della Regione Lombardia (2008) che autorevoli scienziati hanno portato sui tavoli dei decisori politici affinché essi passino dalla scienza alla conoscenza e all’azione. Un’azione che sia in grado di raggiungere, come indicato dall’Unione Europea, entro il 2020 un 20 per cento di riduzione dei gas serra, unita a un 20 per cento di aumento dell’uso di energie rinnovabili e a un analogo incremento dell’efficienza energetica. “Proprio il numero 20 fa riaffiorare alla mia mente alcune riflessioni: ne traggo un compleanno, un modello e un invito”, scrissi nella postfazione del rapporto che qui ripropongo.

  Il compleanno. Proprio nel 2008 compie 20 anni l’Effetto Serra. Era il 23 giugno 1988 quando, dai microfoni della Commissione Energia del Senato americano, lo scienziato della Nasa James Hansen denunciava ufficialmente l’effetto serra e per la prima volta si parlò di una minaccia reale per il presente e per le future generazioni. “Quel giorno fummo fortunati”, ricorda oggi Hansen. “La colonnina di mercurio era salita a 40 gradi e i senatori sudarono sette camicie nella sala dell’audizione”. Lo scienziato spiegò che nei primi cinque mesi di quell’anno la temperatura della Terra era stata la più alta mai registrata nei 130 anni precedenti e questo fenomeno era “al 99% una conseguenza dell’effetto serra”. Da quel giorno il global warming, di cui si parlava solo all’interno di una ristretta schiera di persone sensibili alla necessità di un nuovo equilibrio tra uomo e natura (all’epoca chi scrive dirigeva quello che allora era il primo e più diffuso mensile di natura e civiltà, Airone), è entrato a far parte dell’agenda dei politici di Washington e della vita di tutti noi. Oggi Hansen, a chi gli chiede se c’è ancora tempo per evitare un cambiamento climatico disastroso, risponde di sì, ma precisa che va recuperato il tempo perso: “1) lo scenario alternativo, benché praticabile, attualmente non è perseguito; 2) è necessario agire immediatamente; mantenere le condizioni attuali per un altro decennio elimina la possibilità di realizzare lo scenario alternativo; 3) la speranza: la gente deve informarsi e arrabbiarsi”.

  Il modello. L’Italia varava 20 anni fa il nuovo Piano energetico nazionale dopo l’incidente nucleare di Chernobyl e il conseguente referendum (1987) che aveva bandito l’energia nucleare. Il cammino del nuovo Piano energetico fu figlio di un disinteresse generale nei confronti delle fonti di energie rinnovabili. L’allora ministro Adolfo Battaglia lo presentò in un Senato deserto (erano presenti solo in nove). E dieci giorni dopo la presentazione, venivano tagliati dalla legge Carli-Pomicino i 1.200 miliardi dei fondi destinati al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili, segno eloquente del disinteresse italico per una materia così strategica. Se avessero alzato gli occhi al di là delle Alpi, i nostri politici avrebbero assistito in Germania al varo di un modello di efficienza ecologica e di una normativa sulle fonti rinnovabili oggi studiato in tutto il pianeta. Oggi i tedeschi sono al primo posto nella graduatoria mondiale dei produttori di energia solare. Un primato che stupisce il cronista che arriva dalla soleggiata Italia nela fredda Germania per un viaggio nell’Europa efficiente (il diario integrale è nel libro “Voglia di cambiare”, di Salvatore Giannella, ed. Chiarelettere, 2008). Ma dov’è il segreto dei tedeschi che pure hanno la metà dell’insolazione rispetto a noi italiani? Le risposte arrivano dall’esperienza di Friburgo. Nel 2006, con i suoi 21.223 metri quadrati di impianti solari termici, è arrivata prima nella classifica delle città tedesche. Il tutto era nato con una rivolta contro la costruzione di una nuova centrale nucleare a poca distanza dalla ciottà. Ma la gente non si limitò a dire: “Siamo contro”. Si chiese subito dopo: “Sono a favore di che cosa?”. Da quel momento Friburgo cominciò una politica energetica “dolce” (risparmio, energie rinnovabili, tecnologie efficienti), diventando gradualmente un grande laboratorio alla ricerca di soluzioni tese a sperimentare energie rinnovabili e cambiando la cultura della popolazione. Nello stesso tempo i tedeschi hanno percorso anche la strada della competitività economica di queste fonti innovative e dei loro investimenti attraverso una politica di tariffe e incentivi adeguati. A mano a mano che una fonte si diffonde e diventa più redditizia, grazie ai miglioramenti tecnologici e alla produzione su vasta scala, l’incentivo si riduce. Così si mantengono costanti sia gli esborsi per i cittadini, sia i profitti per i produttori. Continuando questo percorso si stima che nel 2050 almeno il 50% dell’energia tedesca verrà direttamente o indirettamente dal sole.

Il «motore» virtuoso della sfida di Friburgo è il più grande centro di ricerca europeo tutto dedicato all’energia solare, diretto dal fisico Eicke R. Weber: è una costola del noto Fraunhofer Institut, organizzazione che conta 12.500 dipendenti in 80 centri di ricerca diffusi in tutta la Germania. Quando iniziò il suo lavoro, negli anni Ottanta, il Fraunhofer Solar Institute contava appena 20 ricercatori. Oggi lo staff conta 180 ricercatori fissi più 370 collaboratori, assistenti e laureandi. Alcuni di loro hanno lasciato l’istituto per creare delle piccole imprese. Altri invece sono arrivati dall’estero, anche dall’Italia, per esempio Mario Motta poi emigrato al Politecnico di Milano.

Il budget nel 2006 è stato di 29,2 milioni di euro. Il frutto del lavoro dei ricercatori viene messo a disposizione di imprese private, autorità istituzionali e cittadini. L’albergo a quattro stelle Victoria, per citare un caso esemplare, costruito 130 anni fa nel cuore della città e ristrutturato con grande cura dagli eredi della famiglia Spath, è oggi il primo hotel al mondo completamente free oil, cioè va avanti a fonti rinnovabili, sole, vento (ha investito in una centrale eolica sulla vicina collina di Ettenheim che si scorge dal terrazzo riempito di pannelli solari), biomasse e un giacimento d’acqua calda da una falda sotterranea, con zero emissioni di anidride carbonica. I bravi albergatori italiani prendano atto e imitino questo hotel privato più rispettoso dell’ambiente al mondo, come rivendica orgogliosamente un cartello all’ingresso: the most environmental friendly private-hotel in the world. Accanto al cartello un segnalatore digitale indica la produzione al momento di chilowattora (1.960 kWh), la produzione complessiva dall’anno 2000 (45.927 kWh) e i chili di anidride carbonica risparmiati, cioè non immessi nell’atmosfera: 33.927 kg.

Fanno ricorso al Fraunhofer, in numero crescente, le istituzioni locali e centrali: grandi edifici pubblici come il palazzo del Reichstag, sede del Parlamento federale, o quello del consiglio regionale a Berlino coprono il 6 per cento del loro fabbisogno energetico e termico (riscaldamento). Lo stesso avviene per tutti gli edifici pubblici di Friburgo.

A completare il mosaico virtuoso ci sono anche le banche cui sta molto a cuore l’incremento sostenibile dell’economia locale e perciò rifornisce i cittadini e i comuni della regione con favorevoli servizi finanziari, promuovendo le innovazioni e la nascita delle aziende; le scuole (un quarto delle scuole cittadine ha presentato progetti a energia solare che sono stati realizzati da insegnanti, gruppi di studenti e genitori); e rinomate associazioni ambientaliste, a cominciare dall’Öko Institut (Istituto ecologico) che costituisce un’importante agenzia indipendente e di consulenze, ricerche e riferimento: fondato nel 1977, sforna più di cento progetti nazionali e internazionali all’anno.

In Germania l’ecologia è diventata un business: 10 mila posti di lavoro, 1.500 imprese, un giro d’affari di quattro miliardi di euro, il 1.000 per cento in più rispetto a soli sette anni fa. E un miliardo di euro è l’investimento lanciato nel 2007 dal ministro della Ricerca, Annette Schavan, per tenere insieme ricercatori e affari e tagliare i tempi di sviluppo dei prodotti innovativi nel campo delle energie rinnovabili.

Anche in Italia ci sono segni di risveglio: nel 2006 i collettori termici per l’acqua calda sono aumentati del 46% e nel 2007 il mercato fotovoltaico ha registrato in Italia un boom. Basti pensare che nei 20 anni precedenti erano stati installati sul territorio nazionale impianti per 40 Megawatt (40 mila kilowatt), mentre solo l’anno scorso abbiamo raggiunto la ragguardevole cifra di 60 Megawatt (l’equivalente di 20 mila impianti da tre kilowatt, il consumo medio di una famiglia). Un progresso reso possibile dal “conto energia”, il sistema approvato nel 2007 (sulla scia della legge voluta nel 2000 dal governo rosso-verde di Gerhard Schroeder, l’ Einspeisegesetz, che obbliga le società energetiche a comprare dai gestori di impianti fotovoltaici l’energia pulita a prezzo politico) e che incentiva le installazioni fotovoltaiche a un costo praticamente uguale a zero per l’utente finale, sia per quelle civili di piccola taglia sia per quelle industriali di grande taglia. Nel 2007 l’Italia si è così collocata al terzo posto in Europa, dopo Germania e Spagna.

  L’invito. Alla questione energetica gli elettori, i Parlamenti e i governi dovranno prestare sempre maggiore attenzione. L’inarrestabile crescita dei prezzi dei combustibili pesa sull’economia. Per via dell’effetto serra e del cambiamento climatico diminuire i gas climalteranti è anche una necessità ecologica. C’è poi la dimensione politica: la dipendenza dalla Russia e dai Paesi arabi può avere effetti indebiti e sgraditi sulle nostre scelte di politica estera, comprese quelle sul piano della tutela della democrazia e dei diritti umani. Esiste infine la dimensione sociale del problema: l’aumento dei prezzi del riscaldamento domestico e del trasporto pubblico e privato dell’energia ha le peggiori conseguenze sui cittadini più poveri. Il Parlamento europeo ha approvato di recente una risoluzione sulle fonti energetiche convenzionali e le nuove tecnologie. Si tratta di un cambiamento culturale, fatto di ricerca scientifica (ma nessun governo italiano nell’ultimo decennio ha aumentato la quota percentuale di Pil dedicata a questo capitolo, sicché con lo striminzito 1%, cioè la metà della media europea, siamo in coda alle classifiche) e di attenzione alle energie dolci e a un intelligente risparmio: un’attenzione che sta avanzando prioritariamente a Friburgo e in Germania, ma che tocca anche noi che, al NO a tecnologie che 20 anni fa la maggioranza degli italiani riteneva presentasse incontrollabili svantaggi e rischi, abbiamo colpevolmente affiancato un disinteresse verso le altre fonti energetiche.

Non perdiamo altro tempo, ammoniscono Hansen e gli altri colleghi scienziati. Il tempo perduto in Italia è recuperabile. Basta intensificare le ricerche, usare fantasia e coraggio e andare avanti insieme con energia, cementando l’alleanza tra ricerca scientifica e buona politica, tra scienziati e amministratori nell’interesse comune.