Desidero regalare un piccolo ma significativo frammento del passato mio e del mio professore di disegno Antonio Di Pillo, nella foto d’apertura, per questa meritevole iniziativa che torna a illuminare, con un libro (Antonio Di Pillo, un artista del Tavoliere, curato sapientemente dalla poetessa Grazia Stella Elia, edito dall’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore Scipione Staffa di Trinitapoli, retto dal dirigente scolastico Antonio Gissi) un artista che fu, e continua a essere, motivo di orgoglio per la nostra terra di Puglia. Di lui ricordo in particolare le mani, quelle mani che fuori dalle aule scolastiche indagavano la creta trovando fascinosi sbocchi alla sua creatività a tutto tondo, portando la storica dell’arte Clara Gelao a definirlo “il Modigliani del Tavoliere”. A scuola, invece, quelle mani plastiche e fantasiose si irrigidivano e si concretizzavano nei miei confronti, suo allievo fino al termine delle medie, sotto forma di ferrei divieti. “No, zuccone, questo disegno non va bene. Questa figura, o quella natura morta, vanno rifatte. Concéntrati, ascolta meglio i palpiti dell’anima”, mi apostrofava.

Eppure proprio quelle mani rigide mi aiutarono una sera degli anni Sessanta nella svolta cruciale per la mia crescita culturale e professionale. Accadde che, finite le medie, nella nuova casa di via Oberdan dove ci eravamo trasferiti da via Mameli, si discuteva molto tra me e mio padre Giacomo su quale scuola superiore iscrivermi. “Al liceo classico Casardi di Barletta”, dicevo io, deciso, conoscendo le mie doti più orientate alla scrittura e all’amore per i classici. “Istituto tecnico Saverio Altamura di Foggia”, ribatteva altrettanto sicuro papà. Tanta sicurezza gli veniva da un incontro che avevamo fatto a Sesto San Giovanni con un lontano parente che era emigrato dalla Puglia alle porte di Milano, diventando un dirigente delle Acciaierie Falck. “Giacomino, fai prendere a Salvatore il diploma dell’istituto tecnico e me lo mandi quassù, qui l’assunzione è assicurata”, disse quel congiunto, portandoci a visitare le varie sezioni delle acciaierie, incluso l’infernale reparto Vulcano dove, tra frastuoni fumi e fuochi, nascevano locomotori e vagoni ferroviari.

Antonio Di Pillo - 'Maternità', c. 172, bronzo patinato particolare

Antonio Di Pillo – ‘Maternità’, c. 172, bronzo patinato, particolare.

Antonio Di Pillo - 'Scena di toeletta' (La pettinatura), terracotta patinata, particolare

Antonio Di Pillo – ‘Scena di toeletta’ (La pettinatura), terracotta patinata, particolare.

Antonio Di Pillo - Bozzetto per un monumento all'emigrante, terracotta patinata, particolare

Antonio Di Pillo – Bozzetto per un monumento all’emigrante, terracotta patinata, particolare.

Antonio Di Pillo - 'Giovinetta del Tavoliere', 1989, terracotta patinata

Antonio Di Pillo – ‘Giovinetta del Tavoliere’, 1989, terracotta patinata.

Antonio Di Pillo - 'Ragazzo', 1977, terracotta patinata, particolare

Antonio Di Pillo – ‘Ragazzo’, 1977, terracotta patinata, particolare.

Antonio Di Pillo - 'Sorelle', terracotta

Antonio Di Pillo – ‘Sorelle’, terracotta.

Antonio Di Pillo - 'Giovinetto seduto in meditazione', c. 1960, bronzo patinato nero, particolare

Antonio Di Pillo – ‘Giovinetto seduto in meditazione’, c. 1960, bronzo patinato nero, particolare.

Antonio Di Pillo - 'Donna che lava', 1991, terracotta patinata, particolare

Antonio Di Pillo – ‘Donna che lava’, 1991, terracotta patinata, particolare.

Antonio Di Pillo - 'Figura femminile', 1964, bronzo, particolare

Antonio Di Pillo – ‘Figura femminile’, 1964, bronzo, particolare.

Le posizioni mia e di mio padre erano inconciliabili. L’autorità paterna stava per avere, ahimè, il sopravvento dopo una puntata esploratrice in segreteria del Saverio Altamura di Foggia quando mi venne un’idea. Nel piano di studi preso nell’Istituto tecnico dauno figuravano libri di disegno e di educazione tecnica, materie per me notoriamente poco familiari, incapaci (per dirla con Di Pillo) “di far vibrare la mia anima”. E se fosse lui, il mio maestro-artista, l’autorevole testimone della infelice scelta paterna? Andai a trovare il professore nel suo studio alla periferia del paese e lì, alla presenza del silenzioso popolo di statue da lui forgiate, gli spiegai la situazione.

Lui non esitò ad arrivare quella sera a casa nostra, nel salotto profumato dai dolci preparati da mamma Lucia, per il “vertice” con mio padre: “Giacomo, tuo figlio non è fatto per l’istituto tecnico. Lì è importante la materia del disegno e lui, se gli metti davanti una mela, ti fa una pera”. Quelle mani creative si alzarono nell’eloquente, ferreo divieto. E per me, quella sera, fortunatamente si aprirono le porte del liceo classico. “Grazie, professore”, lo salutai accompagnandolo alla porta. “Penso che dovrò esserle riconoscente per tutta la vita”. Più di mezzo secolo dopo (nei giorni in cui le scuole e l’amministrazione comunale rompono il silenzio dedicando a Di Pillo un libro, un busto e una piazza) confermo quel pensiero grato.

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Antonio Di Pillo, un Artista del Tavoliere - Grazia Stella Elia¹ Dalla recensione di Marco Ignazio de Santis, Giornale di Puglia: “… Nel volumetto su Antonio Di Pillo, dopo l’utilissima bibliografia con cui si chiude l’omaggio iniziale della curatrice, la poetessa Grazia Stella Elia, si snodano le significative testimonianze offerte dal giornalista Salvatore Giannella (Mi salvò dal Vulcano), dalla professoressa Antonietta d’Introno (Il sogno di bellezza di Antonio Di Pillo), dalle ex alunne Rosa Sarcina (Un ricordo incancellabile) e Maria Giovanna Regano (La figura solenne del professor Di Pillo), dal prof. Luigi Di Cuonzo (Di Pillo al Premio Piccolo Formato Giuseppe De Nittis di Barletta), dal preside Carmine Gissi (Ho incontrato Antonio Di Pillo), dall’assessore alla cultura Marta Patruno (Di Pillo parla ai giovani), dall’ex sindaco dr. Silvestro Miccoli (Riflessioni su Antonio Di Pillo) e infine dall’ex assessore alla cultura Rosario Manna (Antonio Di Pillo: lo scultore che resterà). Il viaggiatore curioso potrà fermarsi a Trinitapoli a contemplare il magnifico portale in bronzo della chiesa di San Giuseppe, di cui l’artigiano artista Ciccillo Regano è stato fedele custode fino alla sua morte per l’amicizia fraterna che lo legava all’artista, e il bassorilievo in travertino che adorna la facciata della chiesa dell’Immacolata dei Cappuccini. Entrambi portano la firma preziosa di Di Pillo. Info: Istituto “Scipione Staffa”, via Cappuccini 23, 76015 Trinitapoli (BT), www.istitutostaffa.gov.it  

LA RECENSIONE DI UN GRANDE SCRITTORE, RAFFAELE NIGRO

Sull’artista Di Pillo

abbattuto il silenzio

Sono passati quasi trent’anni da quando una banale caduta dalla bici causò la morte di Antonio Di Pillo. Non so quanti lo abbiano conosciuto e quanti si ricordino di lui, perché Antonio era un uomo gentile ma schivo e amava vivere tra scuola e studio, alla periferia di Trinitapoli.

Lo conobbi per un invito di Grazia Stella Elia, un’anima lieve e fine che scrive versi e che si presta anche allo scavo delle tradizioni popolari e allo studio del dialetto della sua cittadina. Visitai allora lo studio e approfittai per realizzare anche qualche racconto televisivo per mostrare quel giardino meraviglioso che era il suo mondo di terracotta. Perché Di Pillo era uno scultore raffinatissimo, nella cui esperienza si collocavano grandi maestri nazionali della prima metà del Novecento, penso a Martini, a Manzù, a Emilio Greco e soprattutto penso alla memoria del gotico abruzzese visto e amato nei tempi dio gioventù e alla statuarietà dei guerrieri di Sepino, dove a sostituire gli elmi sono le corone di capelli arati da un pettine di metallo, mentre la fissità degli sguardi rinvia alla pensosità di chi osserva il tempo che scorre inesorabile. Perché era nato a Pratola Peligna, in provincia dell’Aquila il 31 agosto 1909 e aveva assorbito le descrizioni della santità, del peccato e della vita dalle figure che abbellivano le chiese medievali di quel mondo dolce e arcaico che è l’Appennino abruzzese. L’insegnamento del disegno lo aveva sbalzato in varie sedi, tra cui Trinitapoli dove si era acceso di sentimento per una giovane farmacista, Angela Maria Iolanda Troysi. Antonio era agito da un profondo senso di religiosità, un senso di misticismo e di fede che vedeva incarnata nella vita, nei rapporti sociali. Perciò nel 1990 Michele Dell’Aquila sentì il bisogno di chiamare un corposo saggio che realizzò su questo amico che scolpiva in maniera sobria e a bassa voce L’umile Italia di Antonio Di Pillo. Mutuando quell’umiltà dalla memoria di Virgilio e applicandola alle creature impalpabili dello scultore abruzzese. A scorrere le testimonianze raccolte in quel volume, ci trovi molti intellettuali di una periferia silenziosa ma viva con i quali Antonio aveva quotidianamente a che fare. E tra questi Marino Piazzolla, il poeta orfico di San Ferdinando di Puglia; Domenico Lamura, un medico prestato alla scrittura letteraria; i critici Pietro Marino e Pietro De Giosa.

Nello studio di Antonio, al piano interrato della sua villa, erano collocati i suoi fantasmi di terracotta e di bronzo, i calchi in gesso che aveva realizzato per le colate successive e che erano diventati metope per alcune chiese della Capitanata. Mi sembrava che lo scultore amasse fissare la vita in un momento preciso, in quel paesaggio magico, spesso impalpabile dall’adolescenza alla giovinezza, perché i volti raffigurati nella raffinatezza compositiva sono posseduti dalla misteriosità del passaggio, in una sospensione tra sentimenti ancora sconosciuti e altri appena provati.

Conservo di lui un’opera di una tenerezza incredibile nella quale si esprime lo stupore che prova Giuda nell’attimo in cui sta posando il suo bacio sulla guancia di Gesù. Il discepolo costretto a rivestire il ruolo di traditore in una tragedia predefinita sembra interrogarsi sul senso di quel bacio, mentre Gesù è al tempo stesso inerme e consapevole, la mistica del bacio è resa dalla decisione di Antonio di rendere le due sculture oblunghe, alla maniera di El Greco, ma affidandosi alla raffinatezza di un classicismo novecentesco. Nulla di barbaro o di violento. Tutt’altro. Perché Antonio infondeva nelle cose, come nei sentimenti, la finezza spirituale che accompagnava il suo carattere, la levigatezza, la tornitura, la descrittività essenziale fatta per elevare la materia e farla spirito. Direi la finezza paradisiaca di Zeffirelli di Fratello Sole e sorella Luna.

Quante crocifissioni ha realizzato Di Pillo, e in quanti modi ha immaginato Cristo morente, anche se poi la storia è sempre la stessa e il condannato ha sempre una sola meta finale. Ma si è che ogni morte era per Antonio una morte precisa e individuale, applicata a tante crocifissioni che si verificano nel nostro lungo calvario e per le quali siamo costretti a imparare il credo della sopportazione.

La Puglia, la sua seconda patria, lo ha portato a stringere amicizia con molti artisti del posto. Incontrava gli Spizzico a Bari, nel Sottano di Scaturchio, e qui si imbatteva in Michele Campione, in Vito Maurogiovanni e in Ginetto Guerricchio.

Un momento importante per la scultura di Di Pillo è venuto nel 2011, quando Clara Gelao gli ha dedicato la retrospettiva: Uno scultore abruzzese in Puglia, con catalogo di Giacomo Adda.

Si è fatto intendere quanto profondo sia stato il silenzio degli enti e della critica verso questo artista. Sicuramente la ricorrenza del trentennale ha gettato benzina sul fuoco, producendo un’attenzione improvvisa da parte dell’Istituto Scipione Staffa di Trinitapoli, un risveglio che si è concretizzato in una pubblicazione curata dalla Elia, Antonio Di Pillo, un artista del Tavoliere, sposata anche dall’Amministrazione comunale di dedicare un busto e una piazza (con l’auspicio di un museo permanente) dedicati a un artista che ha fatto della Daunia la sua patria d’elezione.

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² Raffaele Nigro (Melfi, 1947), scrittore e giornalista (è stato caporedattore Rai), narratore e saggista. Tra le sue opere, tradotte in molte lingue, ricordiamo Viaggio a Salamanca, Diario mediterraneo, Burchiello e burleschi; per Rizzoli ha pubblicato I fuochi del Basento (1987, Premio Supercampiello), Malvarosa (2005, Premio Selezione Campiello), Santa Maria delle Battaglie (2009, Premio Acqui Storia) e Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway (2010). Il suo intervento è comparso nella sezione “Che Sud fa” della Gazzetta del Mezzogiorno del 24 giugno 2019.

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